Legge Pinto: il ricorso non sufficientemente documentato può essere integrato
25 Novembre 2016
Il caso. Tizio agiva in sede giudiziale civile ed il relativo processo si concludeva dopo oltre diciassette anni; chiedeva quindi al Ministero della Giustizia, il pagamento di una somma a titolo di equo indennizzo. La domanda veniva, però, respinta, prima, dal consigliere designato e, poi, in sede di opposizione dal Collegio, in entrambi i casi per mancato deposito degli atti e documenti nello stesso termine di sei mesi previsto per il ricorso, e senza concedere un termine per relativa integrazione.
L'integrazione della domanda. Il soccombente ricorreva allora in Cassazione per aver i giudici violato: l'art. 3 L. n. 89/2001, gli artt. 2712 e 2719 c.c., gli artt. 156 e 640 c.p.c. nochè il principio del giusto processo. Nel dettaglio il ricorrente sosteneva che l'art. 3 Legge Pinto – nel richiamare l'art. 640 comma 1, c.p.c., «in base al quale il giudice della fase monitoria può invitare la parte ad integrare la prova» - dovesse interpretarsi nel senso contrario all'inammissibilità della domanda non sufficientemente documentata.
Come interpretare la Legge Pinto. La Cassazione stabilisce che gli artt. 3 e 4 della legge Pinto si coordinano tra loro senza però integrarsi, come invece aveva sostenuto la Corte territoriale, la quale aveva affermato che «il ricorso privo di uno o più degli atti o dei documenti da allegare in copia autentica sia invalido, e non rinnovabile una volta decorso il termine di proposizione dell'art. 4».
La tesi prospettata dal Giudice di merito è priva di pregio. Gli argomenti enunciati dalla Suprema Corte possono essere così riassunti:
In conclusione. Pertanto, alla stregua di quanto affermato dalla Cassazione, «respinta la domanda con decreto ex art. 3, comma 6, legge Pinto, per la sua insufficiente documentazione, il ricorrente può produrre gli atti e i documenti mancanti nella successiva fase d'opposizione, che per la sua natura pienamente devolutiva non subordina l'esercizio di tale facoltà ad alcuna previa concessione di quel medesimo termine non concesso ai sensi dell'art. 640, comma 1, c.p.c.».
La Suprema Corte formula il principio di diritto per cui «soggiace al termine perentorio stabilito dall'art. 4 l. n. 89/2001 unicamente il deposito nella cancelleria della Corte d'appello adita di un ricorso avente i requisiti di cui all'art. 125 c.p.c., richiamato dal primo comma dell'art. 3 stessa legge. Pertanto, il deposito degli atti e dei documenti elencati nel terzo comma del medesimo articolo può sopravvivere in qualunque momento utile, prima che il presidente della Corte o il consigliere da lui designato provvedano con decreto sulla domanda, ovvero nel termine eventualmente concesso ai sensi dell'art. 640, comma 1, c.p.c., richiamato dal successivo comma 4 dello stesso art 3».
La Cassazione quindi cassa con rinvio il decreto impugnato. |