Il fatto che l'avvocato agisca in proprio non comporta automaticamente l'irripetibilità delle spese

Redazione scientifica
26 Gennaio 2017

Se il difensore si avvale della facoltà di difesa personale prevista dall'art. 86 c.p.c. e risulta, alla conclusione del processo, essere parte vittoriosa, non si esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione.

La vicenda. Il Tribunale, in riforma della sentenza del giudice di pace, annullava il verbale di violazione del codice della strada e dichiarava irripetibili le spese di entrambi i gradi di giudizio, dal momento che: l'opposizione risultava proposta in proprio dal legale opponente/appallente, l'Ente territoriale opposto non aveva contrastato la pretesa e non risultava neppure che avesse iscritto a ruolo la sanzione estinta.

Il legale ricorreva allora in Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Il principio della soccombenza. La Suprema Corte, nel decidere la questione in esame ricorda che «la condanna alle spese non ha natura sanzionatoria né costituisce un risarcimento del danno, ma è un'applicazione del principio della causalità», in sintesi «l'onere delle spese grava su chi ha provocato la necessità del processo». Inoltre, in tema di spese processuali (per un maggior approfondimento v. F. Agnino, Spese del giudizio, in ilProcessoCivile.it) vige il «criterio della soccombenza» ex art. 91 c.p.c., per cui «il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa».

La deroga. A tale criterio si può derogare ex art. 92 c.p.c. quando la parte che risulta vincitrice abbia violato i doveri di lealtà e probità (v. anche M. Vaccari, Principio di lealtà processuale) imposti dall'art. 88 c.p.c., oppure per reciproca soccombenza, oppure per gravi ed eccezionali ragioni. In questi casi il Giudice può disporre l'irripetibilità delle spese sostenute e/o la compensazione.

Non ha alcuna rilevanza: 1) che l'avvocato abbia agito in proprio. Nel caso in esame il difensore era parte pienamente vittoriosa e non sussistevano le ragioni per non seguire il principio della soccombenza. Pertanto il Tribunale è incorso in errore per non aver tenuto conto che «la circostanza che l'avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall'art. 86 c.p.c.. non incide sulla natura professionale dell'attività svolta in proprio favore, e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione».

2) Che il convenuto non si sia opposto. Non va nemmeno esclusa la soccombenza «nel caso in cui il convenuto non si sia opposto alla pretesa dell'attore, posto che la soccombenza non va riferita all'espressa contestazione del diritto fatto valere in giudizio, che può anche mancare, ma al fatto oggettivo di aver provocato la necessità del processo.

3) Che il convenuto fosse contumace. Infine, neppure la contumacia del convenuto – come nella fattispecie – è ragione sufficiente per disporre la compensazione o per dichiarare l'irripetibilità delle stesse, «permanendo, comunque, la sostanziale soccombenza della controparte che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese» (Cass. nn. 901/2012, 23632/2013).

Sulla baste di tali argomenti, la cassazione accoglie con rinvio il ricorso.

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