I limiti imposti al giudice civile dalla sentenza di assoluzione

31 Agosto 2016

Il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato.
Massima

Ai sensi dell'art. 652 (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'art. 654 (nell'ambito di altri giudizi civili) c.p.p., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche quando l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p.; inoltre l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale.

Il caso

Una società beneficiaria di fondi pubblici proponeva opposizione avverso l'ingiunzione intimata dal Ministero dell'economia per aver ricevuto indebitamente, mediante presentazione di documenti falsi, i benefici pubblici. Il Tribunale accoglieva l'opposizione, mentre la Corte d'Appello riformava la decisione sul rilievo che la sentenza di assoluzione dell'amministratore della società perché il fatto non sussiste non poteva spiegare alcun effetto nel giudizio civile e tenendo conto della circostanza che l'assoluzione era fondata esclusivamente su ragioni procedurali, relative alla inutilizzabilità di alcuni documenti.

I giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, accolgono il ricorso osservando che la sentenza penale aveva escluso la sussistenza del fatto addebitato all'amministratore della società, pervenendo ad un giudizio di assoluzione piena, avendo escluso la sussistenza di tutti gli elementi integrativi della fattispecie penale.

La questione

La questione esaminata dalla decisione in commento è la seguente: quali sono i limiti all'accertamento processuale del giudice civile di fronte ad una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste?

La soluzione giuridica

La S.C. osserva che in tema di giudicato, la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p., così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 c.p.p., costituiscono un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti, sicché soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente; ne consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (Cass. civ., sez. un., 26 gennaio 2011 n. 1768).

La Corte rileva, poi, che la sentenza penale ha «effetto di giudicato» nel giudizio civile di risarcimento del danno quando ricorrano tre condizioni: a) che la sentenza penale sia stata pronunciata in esito al dibattimento; b) che il danneggiato si sia costituito parte civile, ovvero sia stato messo in condizione di farlo; c) che in sede civile la domanda di risarcimento del danno sia stata proposta dalla vittima nei confronti dell'imputato, ovvero di altro soggetto che abbia comunque partecipato al giudizio penale nella veste di responsabile civile. Pertanto, solo ove ricorrano congiuntamente tutte e tre queste condizioni si produce il c.d. effetto di vincolo, ovvero l'impossibilità per il giudice civile di ritenere inesistenti i fatti accertati dal giudice penale, ovvero di ritenere esistenti fatti dei quali sia stata esclusa la verità in sede penale.

La pronuncia in commento conferma, pertanto, il consolidato orientamento secondo il quale, in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile - come disciplinato dal vigente codice di procedura penale del 1988 (ai sensi degli artt. 652 e 654), a differenza di quello previgente (art. 25) l'azione civile per danni è preclusa dal giudicato penale che rechi un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato. Inoltre, l'autorità del giudicato (anche penale) copre sia il dedotto che il deducibile, ovvero non soltanto le questioni di fatto e di diritto investite esplicitamente dalla decisione (c.d. "giudicato esplicito"), ma anche le questioni che - sebbene non investite esplicitamente dalla decisione - costituiscano comunque presupposto logico essenziale ed indefettibile della decisione stessa (c.d "giudicato implicito"), restando salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si è formato. Pertanto, alla stregua dei suddetti principi, il giudicato penale di assoluzione - con la formula "perché il fatto non sussiste" preclude la proposizione, nel giudizio di civile di risarcimento del danno derivante dal medesimo fatto-reato, di una ricostruzione della vicenda che postuli, sotto altra prospettazione, l'esistenza di elementi di fatto, che risultino esclusi - sia pure implicitamente dal giudicato penale (Cass. civ., 8 marzo 2016 n. 4498; Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2011 n. 3376; Cass. civ., n. 19559/2006).

L'efficacia oggettiva della sentenza irrevocabile di assoluzione riguarda l'accertamento che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che esso è stato compiuto nell'esercizio di una facoltà legittima o nell'adempimento di un dovere.

Peraltro, l'art. 652 c.p.p. attribuisce esclusiva rilevanza al positivo e concreto “accertamento” (che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso) compiuto dal giudice e contenuto in sentenza, non alla semplice formula utilizzata. Pertanto, non bisogna avere riguardo al solo dispositivo, ma all'intera motivazione (cfr. Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1987 n. 4622), in cui il giudice penale ha il dovere di precisare i motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie (art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p.).

Peraltro, l'efficacia della pronuncia assolutoria non è rilevabile d'ufficio da parte del giudice civile, ma deve essere eccepita dalla parte interessata (imputato o responsabile civile), a carico della quale è posto anche l'onere di provare che sia stato effettivamente garantito il diritto al contraddittorio della parte avversa (Cass. n. 6416/1985).

Ad ogni buon conto, l'effetto preclusivo del giudicato penale, espresso dalla formula “il fatto non sussiste”, si riferisce al nucleo oggettivo del reato comprensivo degli elementi che concorrono a costituirlo, quali la condotta commissiva o omissiva, l'evento ed il nesso di causalità materiale. Ciò vuole dire che l'assoluzione dell'incolpato con la formula il fatto non sussiste non esonera il giudice civile, davanti al quale sia stata proposta l'azione per il risarcimento dei danni, dal riesame dei fatti emersi nel procedimento penale ai fini propri del giudizio civile, quando il titolo della responsabilità civile sia diverso da quello della responsabilità penale (Cass. civ., 24342/2015; Cass. n. 24862/2010; Cass. civ., sez.III, 20 aprile 2007 n. 9508; Cass. civ., 26 febbraio 1999 n. 1678).

Infine deve rilevarsi che l'art. 652 c.p.p., come già detto, dà rilievo soltanto all'accertamento che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, o che è stato compiuto nell'esercizio di un diritto o di una facoltà legittima.

Qualunque altro accertamento, pur avendo forza di giudicato in sede penale, risulta irrilevante nel giudizio civile (e amministrativo) di danno. La norma in esame, quindi, come riconosciuto dalla prevalente dottrina, è di stretta interpretazione, in quanto norma eccezionale che deroga al generale principio del favor separationis (GIANNINI, L'azione civile per il risarcimento del danno e il nuovo codice di procedura penale, 55 ss., Diritto e procedura penale, Milano, 1990).

Secondo tale impostazione, in particolare, non avrà efficacia alcuna, in sede civile, l'accertamento che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. In tali ipotesi, infatti, la sentenza è di assoluzione, ma presuppone l'accertamento che il fatto sussiste e che l'imputato lo ha commesso, e cioè presuppone gli elementi di segno opposto a quelli che possono avere efficacia di giudicato in base al comma 1 dell'art. 652 c.p.p..

La tesi dottrinaria sopra riportata, tuttavia, non è condivisa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui, analogamente a quanto già avveniva con riguardo all'art. 25 del vecchio codice, anche l'art. 652 c.p.p., avente contenuto pressoché identico, deve essere estensivamente interpretato, a salvaguardia del principio dell'unità della funzione giurisdizionale, nel senso che non solo l'assoluzione dell'imputato, all'esito del dibattimento, perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto o perché questo è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, ma anche l'assoluzione con la formula “il fatto non costituisce reato” (adottata, di regola, per carenza dell'elemento psicologico del reato) ha efficacia preclusiva nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno, ogni qual volta l'illecito civile sia caratterizzato, dal punto di vista psicologico, in maniera identica all'illecito penale (Cass. civ., n. 9795/2001).

Osservazioni

Il richiamo all'accertamento del fatto, da intendersi ristretto agli elementi materiali del reato, condotta commissiva od omissiva, evento e nesso di causalità (Cass. civ., 8 ottobre 1999 n. 11283, a mente della quale l'efficacia di giudicato penale è limitata all'accertamento positivo o negativo dei fatti materiali nella loro oggettività naturalistica; in altri termini, il vincolo derivante dal giudicato penale concerne i fatti nella loro realtà fenomenica e, cioè, condotta, evento, nesso di causalità con esclusione di antigiuridicità, colpevolezza e di qualsiasi altra questione che, derivando dai fatti accertati, può assumere rilevanza ai fini della qualificazione giuridica dei rapporti controversi, da esaminare autonomamente in sede civile), pone il problema delle sentenze assolutorie motivate con il dubbio su tali elementi oggettivi, ed in particolare sull'esistenza del nesso causale (Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2001 n. 3006, per la quale la sentenza penale di assoluzione per avere il giudice escluso il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento preclude l'azione per il risarcimento del danno, non essendo consentito al giudice ricostruire gli accadimenti in modo da postulare l'esistenza di detto elemento, ancorché sotto altra prospettiva).

Nel codice di procedura penale del 1988 non figura più, come formula distinta, la sentenza di assoluzione per “insufficienza di prove”. Nell'art. 530, comma 2, c.p.p. le ipotesi di dubbio vengono equiparate alla mancanza di prove, pur sussistendo per il giudice il dovere di indicare la causa dell'assoluzione nel dispositivo (art. 530, comma 1, c.p.p.).

Va pronunciata, quindi, sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, ovvero quando è dubbia una delle esimenti indicate dall'art. 652 c.p.p..

Con particolare riferimento all'ipotesi in cui ad apparire insufficiente o contraddittoria sia la prova sul nesso causale, deve ritenersi comunque compiuto “l'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso”, dal momento che il fatto non sussiste quando non sia provato come ricorrente in tutta la sua oggettività, e quindi, anche quando non sia stato adeguatamente provato il nesso eziologico. Per tale ragione, è possibile affermare che anche nelle ipotesi in esame le sentenze assolutorie dispiegano i loro effetti vincolanti nel giudizio civile per il risarcimento dei danni, nei limiti dettati dall'art. 652 c.p.p. (CHILIBERTI, Azione civile e nuovo processo penale, in Teoria e pratica del diritto, 537 ss., Diritto e procedura penale, Milano, 1993).

Tutto quanto fin qui detto, relativamente alle sentenze assolutorie motivate con il dubbio sugli elementi oggettivi del reato, tuttavia, non è condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, filone nel quale si inserisce la sentenza in commento.

La Suprema Corte, infatti, mutando l'orientamento formatosi in vigenza del vecchio codice di rito, secondo cui l'efficacia vincolante della sentenza penale può essere validamente invocata anche quando il giudice penale assolva l'imputato per insufficienza di prove (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1993 n. 7068; Cass. civ., sez. I, 23 settembre 1986 n. 5706), è giunta ad affermare che il giudicato penale di assoluzione produce gli effetti preclusivi previsti dall'art. 652 c.p.p. solo quando contiene un effettivo accertamento dell'insussistenza del fatto o dell'impossibilità di attribuirlo all'imputato e non quando l'assoluzione sia motivata con la mancanza di sufficienti elementi di prova in ordine al fatto o all'attribuibilità di esso all'imputato (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1996 n. 11162; Cass. civ., 30 marzo 1998 n. 3330; Cass. civ. n. 77765/2003 che ha giustificato il cambiamento di rotta della Cassazione sul rilievo che i mutamenti della disciplina del processo penale giustificano sempre meno la compressione del diritto alla prova e del principio del libero convincimento del giudice che l'efficacia extrapenale del giudicato penale comporta).

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