Il giudicato esterno nelle imposte periodiche

Federico Sorrentino
30 Marzo 2017

In quali limiti e a quali condizioni al giudice tributario è precluso l'esame del caso concreto a fronte di una sentenza passata in giudicato sulla medesima questione sia pure vertente su una diversa annualità? La presente analisi offre uno spaccato della giurisprudenza di legittimità sul delicato tema dell'applicazione del giudicato esterno nelle imposte periodiche, tema che dalla storica apertura delle Sezioni Unite del 2006 continua ad agitarsi nelle concrete fattispecie presenti nel contenzioso tributario non solo con riferimento alla “comunanza” della questione passata in giudicato, ma soprattutto in punto di “durevolezza” della questione già decisa.
Premessa

La presente analisi si incentra sulla questione della applicabilità del giudicato esterno nelle controversie tributarie aventi ad oggetto le cd. imposte periodiche secondo quanto stabilito nella giurisprudenza di legittimità – in particolare da Cass., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916 fino a Cass., sez. V, 15 luglio 2016, n. 14509.

Come è noto, sulla base di principi attinenti alla natura del giudizio tributario (non giudizio sull'atto, ma sull'accertamento del rapporto) e tenuto conto anche dei principi costituzionali (art. 111 Cost. «che impone tra l'altro la realizzazione della effettività della tutela, scopo cui precipuamente risponde l'efficacia del giudicato») e di diritto comunitario (Cgue, 10 luglio 2014, n.C-213/13 sull'importanza che riveste, sia nell'ordinamento giuridico dell'Unione che negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio dell'intangibilità del giudicato) la sentenza Cass., Sez. Un., n. 13916/2006 ha affermato l'applicabilità del giudicato esterno nelle controversie aventi ad oggetto “imposte periodiche” .

Anche solo leggendo la stessa “massima” tratta dal CED della Cassazione, articolata su presupposti, requisiti, condizioni, ragioni ostative (fino alla citazione di esempi), si possono comprendere le difficoltà incontrate in questi anni dagli interpreti (difensori, giudici di merito, ma anche la stessa Cassazione) nel ragionare su tale tematica per la soluzione del caso concreto (con esiti, di conseguenza, non sempre coerenti), non solo con riferimento alla “comunanza” della questione passata in giudicato (cfr. infra Comunanza della questione passata in giudicato) , ma soprattutto in punto di “durevolezza” della questione già decisa (cfr. infra Durevolezza della questione passata in giudicato).

Prima di scendere nel dettaglio, nello sforzo di enucleare quelli che sembrano i punti fermi da tenere presenti (tutti concorrenti affinché operi l'efficacia espansiva del giudicato esterno in altro giudizio con riferimento alle imposte periodiche), vale dunque la pena riportare, per comodità di chi legge, la stessa massima della citata sentenza delle Sezioni Unite: «Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d'altronde coerente non solo con l'oggetto del giudizio tributario, che attraverso l'impugnazione dell'atto mira all'accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l'efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale "norma agendi" cui devono conformarsi tanto l'Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell'individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d'imposta».

Identità delle parti

Il punto in esame è quello meno complesso. In realtà in passato vi erano state alcune incertezze applicative al riguardo, allorquando con Cass., sez. V, sent., 15 giugno 2007, n. 14014 vi era stata una certa “forzatura” del principio, dal momento che l'effetto preclusivo della sentenza passata in giudicato formatasi sull'impugnazione della società di persone era stato affermato con riferimento al giudizio sul reddito di partecipazione introdotto dal socio, e quindi da soggetto diverso. La questione è stata peraltro superata in radice dall'affermarsi, in tale tipologia di controversie, del diverso principio del contraddittorio necessario tra socio e società di persone (cfr. Cass. Sez. Un., sent., 4 giugno 2008, n. 14815).

Inoltre, va ricordato che non può parlarsi propriamente di preclusione da giudicato esterno, quando si tratti di ipotesi rientrante nel caso di cui all'art. 1306 c.c. perché in tal caso manca, appunto, il presupposto della identità delle parti (alla efficacia del giudicato più favorevole del condebitore solidale si applicano in effetti i limiti costituiti dalle eccezioni personali ex art. 1297 c.c., principio da ultimo ribadito da Cass., Sez. V, sent., 23 dicembre 2015, n. 25890).

Identità del rapporto giuridico

La questione del giudicato esterno può porsi solo allorquando le due controversie (quella passata in giudicato e quella sub iudice) si riferiscano «al medesimo rapporto giuridico». In altri termini l'obbligazione tributaria da accertare deve riguardare la “stessa imposta” (sia pure con riferimento a diverse annualità) (in tal senso si vedano, tra le tante elencate da Cass., Sez. V, n.14509 del 2016: Cass., sez. V, n. 2438/2007, n. 5943/2007, n. 15396/2008, n. 25200/2009, n. 235/2014).

Tuttavia nel processo tributario, il principio secondo cui l'efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi trova una deroga nell'ipotesi in cui le imposte siano tra loro collegate, quali, nella specie, quelle di registro e sul reddito conseguenti alla qualificazione - come agricola o edificabile - di un terreno compravenduto, attesa la comunanza ed unitarietà di disciplina introdotta dall'art. 36, comma 2, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla l. 4 agosto 2006, n. 248 (Cass., sez. V, 4 giugno 2014, n. 12456; Cass., sez. V, 20 febbraio 2014, n. 4116).

Sussistenza di un giudicato

Sembra una ovvietà, ma anche nel 2015 la Suprema Corte ha dovuto chiarire che la preclusione in discorso opera solo quando uno dei giudizi sia stato definito con sentenza passata in giudicato; non deve cioè trattarsi di sentenza non definitiva (Cass., sez. V, sent., 7 agosto 2015, n. 16615) ovvero di decisione non di merito (come nel caso di cessazione della materia del contendere, Cass., sez. V, sent., 23 ottobre 2015, n. 21590, ovvero quando il giudizio si sia risolto «nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione», ad es. cit. Cass. Sez. Un. n. 13916/2006).

Comunanza della questione passata in giudicato

Quando si parla di efficacia del giudicato esterno nel caso di imposte periodiche, l'incidenza dello stesso, formatosi su una determinata annualità, riguarderà sempre e soltanto una “frazione” del rapporto di imposta da accertare nel giudizio in cui il giudicato sia fatto valere, “frazione” o (come si rileva in Cass. Sez. Un. n. 13916/2006) “segmento” in comune con il rapporto sub iudice con riferimento ad una diversa annualità (non incidente quindi sui diversi effetti e ricadute specifiche da valutarsi in relazione a ciascun anno).

La preclusione da giudicato esterno si riferisce, in altri termini, solo allo «stesso punto di diritto accertato e risolto». Con la conseguenza che la incidenza del giudicato esterno sulla controversia sub iudice dipenderà dalla materia del contendere in concreto posta all'esame del giudice di merito in relazione ai motivi di ricorso formulati o meno rispetto alle altre “frazioni” o “segmenti” del rapporto (peculiari per ciascun anno e non interessati dal giudicato).

In tanto può aversi effetto preclusivo in quanto oggetto dell'accertamento compiuto nella sentenza passata in giudicato sia una “situazione giuridica” ovvero riguardi la «soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause».

Si è infatti ritenuto il giudicato formatosi con riguardo alla illegittimità dell'attività investigativa svolta dalla Guardia di finanza o dall'Ufficio (ad esempio, per illegittima acquisizione della documentazione contabile) posta a base di un avviso di accertamento relativo ad un'annualità d'imposta, e dalla quale attività siano scaturiti avvisi di accertamento relativi ad altre annualità, se ed in quanto la detta illegittimità sia tale da renderne del tutto inutilizzabili i risultati – e quindi sia comune cioè a ciascun anno - (Cass., sez. V,nn. 22036/2006, Cass. n. 19590/2014 e Cass. n. 23532/ 2014) (citate da Cass., Sez. V, n. 14509/2016).

La Corte di cassazione non ha ritenuto, in definitiva, “punto fondamentale comune” il giudicato esterno formatosi su una certa annualità rispetto alla controversia sub iudice pure sussistendo “tratti storici comuni”, costituiti dal fatto che gli accertamenti derivavano dal medesimo verbale di constatazione, poiché il giudicato concerneva l'«annullamento di un avviso di rettifica, privo di adeguata motivazione e fondato su elementi inidonei a dimostrare l'inattendibilità della dichiarazione dei redditi»; i due giudizi in altri termini sono stati ritenuti «collegati ad emergenze fattuali variabili evidentemente diverse tra le singole [annualità, ndr] che non consentono, dunque, di traslare le valutazioni operate dal giudice dall'annualità per la quale si è formato il giudicato. E ciò vale tanto più quando le ragioni poste a base dell'illegittimità del metodo induttivo prospettate nel giudizio per cui è qui causa risultano parzialmente diverse rispetto a quelle esposte in occasione dell'impugnazione della rettifica relativa all'anno 1996, con ciò ulteriormente approfondendosi le distanze fra le due vicende» (cfr., in motivazione, Cass. Sez. V, sent., 29 gennaio 2014 n. 1837).

Allo stesso modo e sempre con riferimento a controversie relative a diverse annualità nascenti da un medesimo processo verbale di constatazione, è stato escluso l'effetto preclusivo del giudicato esterno quando questo verta su un mero «antecedente logico della decisione»; si è infatti rilevato che “non sembra … potersi applicare il principio della espansione automatica del giudicato (Cass. Sez. Un. n. 13916/2006) vertendosi in tema di accertamenti fondati su ricostruzioni contabili diversificate ancorché perseguenti un fine unitario e dunque difettando quella identità di elementi oggettivi immutabili da periodo a periodo destinati ad assumere valore di vera e propria regola costante” (Cass., sez. V, sent., 16 maggio 20007, n. 11226).

Da ultimo merita menzione il caso affrontato da Cass., Sez. V, n. 14509/2016 che ha riguardato la questione della sussistenza (ed eventualmente dei limiti) dell'efficacia espansiva del giudicato esterno formatosi sul rigetto di ricorso proposto avverso avviso di accertamento fondato sulla presunzione di maggior reddito derivante dalla spesa per incremento patrimoniale, rispetto alla controversia relativa all'impugnazione di distinto avviso emesso per altro anno d'imposta sulla base del medesimo elemento indiziario (ossia della stessa spesa per incremento patrimoniale), in quanto (detto elemento è) per legge a base di una presunzione di maggior reddito spalmabile nell'anno in cui essa è sostenuta e nei quattro precedenti (art. 38, comma 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo modificato dall'art. 2, comma 14-quater d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. con modif. dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, prima erano cinque). La sentenza ha evidenziato che tale fatto (la spesa per incremento patrimoniale) avente, per legge, efficacia pluriennale, pur essendo unico, produce, per previsione legislativa, «effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d'imposta, ed in cui l'elemento della pluriennalità ... costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d'imposta in una sorta di maxiperiodo» (alla stessa stregua di quanto ritenuto dalle Cass., Sez. Un., n. 13916/2006 ); e che, però, «da un lato si caratterizza per indirizzare detti effetti non al futuro ma in direzione retrospettiva e in misura parcellizzata o frazionata anno per anno, dall'altro e soprattutto concorre potenzialmente con altri elementi di segno opposto in grado di paralizzarne o neutralizzarne in tutto o in parte gli effetti, ossia con riferimento a tutti gli anni compresi nell'efficacia pluriennale del primo ovvero solo ad alcuni: elementi che, almeno in quest'ultimo caso, non hanno analoghi caratteri di permanenza e durata nel tempo ma sono anzi suscettibili di variare anno per anno».

Pregiudizialità della questione passata in giudicato

La questione “comune” (risolta con sentenza passata in giudicato) perché possa avere efficacia preclusiva in altra controversia deve formare o costituire “la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza” (Cass., Sez. Un.,n. 13916/2006); secondo quanto richiamato da Cass., Sez. V, n. 14509/2016, deve avere «valore condizionante inderogabile» (Cass., sez. V,n. 22941/2013, n. 1837/2014, citate da Cass., sez. V, n. 14509/2016).

In entrambe le cause la comune questione deve costituire non un semplice obiter dictum (o anche oggetto di una valutazione preliminare), madeve rappresentare l'antecedente logico-giuridico ai fini della decisione. In effetti nella sentenza Cass. Sez. Un. n. 13916/2016 si parla espressamente di pregiudizialità della questione (rispetto alla decisione da assumere nei diversi periodi di imposta).

La S.C. ha ad esempio ritenuto privo di effetti preclusivi il dedotto giudicato formatosi in relazione al pagamento del canone di fognatura e depurazione relativo agli anni 1997, 1998 e 2000, in controversia relativa agli stessi tributi per annualità distinte, giacché il giudicato era «incentrato sulla difforme soluzione di una questione giuridica non condizionata dall'accertamento degli elementi di fatto essenziali»: in particolare – si è detto dalla Corte – «non era affatto essenziale (a stabilire la debenza o meno del canone di fognatura e di depurazione) la circostanza della proprietà dell'alveo ricevente, né la circostanza del coevo pagamento di un contributo consortile in beneficio del consorzio di bonifica» (Cass., sez. V, sent., 6 giugno 2014, n. 12763). In altri termini il giudicato su tali circostanze non era essenziale (e quindi pregiudiziale) ai fini della soluzione della controversia.

Durevolezza della questione passata in giudicato

Uno dei punti centrali della motivazione della sentenza Cass., Sez. Un., n. 13916/2006 (ripreso poi anche da ultimo da Cass.,Sez. V, n. 14509/2016), per l'estensione dell'efficacia preclusiva del giudicato esterno in tema di imposte periodiche, è quello relativo al superamento del limite fino ad allora costituito dal principio dell'autonomia dei periodi di imposta. Si è infatti detto che «se è vero che l'autonomia dei periodi d'imposta comporta l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori del periodo considerato, è altrettanto vero che una siffatta indifferenza trova ragionevole giustificazione solo in relazione a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo (ad es. la capacità contributiva, le spese deducibili): ma ben vi possono essere - ed effettivamente vi sono – elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta: così lo sono, ad esempio, le qualificazioni giuridiche (che individuano vere e proprie situazioni di fatto) - «ente commerciale», «ente non commerciale», «soggetto residente», «soggetto non residente», «bene di interesse storico- artistico», ecc. - assunte dal legislatore quali elementi preliminari per l'applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell'obbligazione per una pluralità di periodi d'imposta (a valere, cioè, fino a quando quella qualificazione non sia venuta meno fattualmente - ad es., trasformazione dell'ente non commerciale in ente commerciale - o normativamente); a questa stessa tipologia di elementi preliminari possono essere ascritti anche la categoria e la rendita catastale e la spettanza di una esenzione o agevolazione pluriennale».

In altri termini, nel ribadire il rilievo secondo cui «va quindi escluso che il giudicato relativo ad un singolo periodo d'imposta sia idoneo a "fare stato" per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica», si è conseguentemente ritenuta la sua applicabilità «solo in relazione a quelle statuizioni che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo».

Nella ricostruzione tratta da Cass., Sez. V, n. 14509/2016 si cita Cass. Sez. V, n. 25762/2014, con la quale la Corte ha riconosciuto efficacia preclusiva nel giudizio concernente l'irrogazione delle sanzioni (in tema di IVA) al giudicato formatosi sulla qualificazione giuridica del rapporto contrattuale, ad esecuzione prolungata, intercorso tra due società («appalto d'opera» e non «compravendita di cose mobili»), in ragione della invarianza nel tempo di tale elemento comune ad entrambi i giudizi.

Allo stesso modo il presupposto della «invarianza del tempo» (della “durevolezza”) dell'elemento oggetto di accertamento con sentenza passata in giudicato è posto a base della decisione in tema di illecito tributario reiterato in più periodi di imposta in quanto si è ritenuto che la qualificazione giuridica del contratto, da cui dipendeva la configurabilità dell'illecito, integrasse un elemento invariabile del rapporto (Sez. V, sent., 5 dicembre 2014, n. 25762).

Stesse conclusioni relativamente alla qualità d'imprenditore agricolo del contribuente in tema di ICI, in quanto concernente «un elemento costitutivo della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi d'imposta» (Cass., sez. V, sent., 11 novembre 2015, n. 23032).

Si è inoltre affermato dalla Suprema Corte (Cass. Sez. Un. n. 13916/2006 poi ripesa da Cass., sez. V, n. 14509/2016) che le statuizioni suscettibili di estensione di efficacia preclusiva in altro giudizio vertente su altra annualità di imposta, statuizioni relative a “qualificazioni giuridiche” o ad altri eventuali elementi preliminari, debbono avere il carattere della durevolezza nel tempo, fino a quando quella qualificazione non sia venuta meno “fattualmente” o “normativamente”.

Qualche chiarimento va dato con riferimento alla affermazione, contenuta in sentenza e nella massima del CED della Cassazione, secondo cui l'efficacia preclusiva del giudicato esterno «trova ostacolo in relazione alla "interpretazione giuridica" della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all'esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto» (cfr. Cass., sez. V, 21 ottobre 2013, n. 23723, citata nella sentenza Cass., sez. V, n. 14509/2016). Invero, come meglio emerge dalla motivazione della Cass., sent., 21 gennaio 2013, n. 23723, ciò che nella fattispecie costituiva ostacolo all'efficacia del giudicato esterno non era tanto la qualificazione giuridica e, inevitabilmente, la interpretazione normativa di una determinata situazione di fatto (qualificazione giuridica e interpretazione incluse pacificamente nell'efficacia preclusiva del giudicato esterno da Cass., Sez. Un. n. 13916/2006, sussistendo tutte la altre condizioni, né il successivo venir meno di quella qualificazione, “fattualmente” o “normativamente”; quanto invece la carenza della comunanza della questione e della durevolezza della stessa, posto che si trattava di “provvedimento di diniego del rimborso delle somme versate a titolo IRPEF sulla pensione privilegiata per causa di servizio percepita dal contribuente nell'anno 2003”, quando “tra le stesse parti era intervenuta - in ordine a controversia relativa ad analogo rimborso IRPEF per gli anni dal 1980 al 1987 - la pronuncia n. 7442/27/99 della Commissione tributaria centrale in data 15 dicembre 1999, passata in giudicato”. La sent. 21 ottobre 2013, n. 23723 ha rilevato infatti che “il diritto in questione … è condizionato al versamento della imposta - fatto che non assume caratteristiche di identità permanenti, bene potendo subire variazioni ogni anno; l'obbligazione di restituzione delle somme indebitamente versate si esaurisce in dipendenza del presupposto costituito dall'an e dal quantum dell'indebito”, non potendosi quindi ravvisare nella specie “un rapporto tributario di durata” (cfr. motivazione Cass., sez. V, 21 ottobre 2013, n. 23723).

Diversamente dai casi considerati, in relazione ai quali la Cassazione ha riscontrato in concreto, nel raffronto tra le diverse annualità, la sussistenza o meno di elementi fattuali comuni, nel caso considerato da Cass. 21 ottobre 2013, n. 23723 gli elementi da valutare per riscontrarne la invarianza ai fini della sussistenza o meno della preclusione da giudicato esterno sono ritenuti di per sé, per la loro intrinseca mutevolezza, ostativi all'applicazione dei principi sulla estensione del giudicato esterno come stabiliti da Cass. Sez. Un. n. 13916/2006 (nello stesso senso, nella considerazione di “presupposti di fatto potenzialmente mutevoli” in tema di avvisi di rettifica IVA ed IRAP riguardanti diverse annualità, Cass., Sez. V,n. 20029/2011; ovvero in tema di IRPEF quando il giudicato cada “su elementi, come è … il costo portato in deduzione, naturalmente mutevoli nel corso di ciascun periodo di imposta”, Cass., sez. V, sent., n. 14792/2015, non massimata; detta sentenza ha invero richiamato sul punto Cass.,sez. V, sent., n. 426/2015 – anch'essa non massimata – che, però, nell'escludere in tema di IRPEG e ILOR l'efficacia preclusiva del giudicato esterno con riferimento a fatture soggettivamente inesistenti, aveva specificamente evidenziato, anno per anno, la diversità dei soggetti tra i quali dette operazioni erano intercorse).

Nella medesima linea sopra enunciata sembra porsi Cass., sez. V, sent., 31 luglio 2015, n. 16245 in tema di agevolazioni fiscali per le fondazioni bancarie: si è infatti escluso che la sentenza passata in giudicato di non riconoscimento del beneficio ex art. 10-bis, l. n. 1745/1962, e della riduzione dell'aliquota IRPEG ex art. 6 d.P.R. n. 601/1973, in relazione ad un determinato periodo d'imposta, potesse far stato nella controversia avente ad oggetto il riconoscimento dei medesimi benefici per una diversa (e precedente) annualità, poiché «la concessione del beneficio dipende dalla concreta attività (di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale) svolta in ciascun periodo d'imposta rilevante e non discende da uno "status" personale o dall'astratta qualità dell'attività svolta dalla fondazione». E ciò si afferma appunto in termini generali, a prescindere cioè da un effettivo raffronto, nelle diverse annualità, della sussistenza o meno di una comunanza di elementi nell'attività svolta (Cass., sez. V, sent., 31 luglio 2015, n. 16245).

Ancora sul difetto del carattere della durevolezza nel tempo degli elementi da considerare ai fini in discorso si pone la pronunzia Cass., sez. V, sent., 16 settembre, n. 18923 che ha negato il carattere della durevolezza dell'elemento, asseritamente comune, passato in giudicato (nella specie, il valore venale di un'area fabbricabile ai fini ICI), allorquando tale carattere sia escluso “normativamente”, giacché la determinazione della base imponibile è “per sua natura” destinata a modificarsi nel tempo ex art. 5, quinto comma, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, a dispetto della circostanza che, nel caso concreto, il Comune avesse “utilizzato un'unica valutazione riferita a più annualità” (Cass., sez. V, sent., 16 settembre 2011, n. 18923).

Di segno diverso, nel senso della riconosciuta preclusione da giudicato, si pone Cass., sez. V, sent., 29 luglio 2011, n. 16675, che in tema di validità e congruità del calcolo dell'ICI ha escluso una riconsiderazione del decisum sulla stessa questione «sulla base della successiva variazione del classamento, e quindi della rendita, anche ove la contribuente assuma, come nella fattispecie, che tale variazione abbia effetto retroattivo».

Casi di non configurabilità del giudicato esterno in materia di IVA

La sentenza Cass. n. 14509/2016, nel ricostruire il quadro giurisprudenziale successivo a Cass. Sez. Un. n. 13916/2006 cita tra i casi in cui è “pacifica” l'esclusione, in radice, della configurabilità del giudicato esterno, le controversie concernenti l'IVA quando ciò impedisca il contrasto dell'abuso del diritto,in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare Sentenza della Cgue 3 settembre 2009, in causa C 2/08. La Corte di Lussemburgo ha infatti affermato: «il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 c.c., (il quale prevede che l'"accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa") in una causa vertente sull'Iva concernente un'annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva e su di una questione che, con riferimento allo stesso soggetto, sia già stata definita con autorità di cosa giudicata per un diverso periodo d'imposta, nella ipotesi in cui l'applicazione di tale giudicato esterno impedisca al giudice nazionale di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta».

La Corte di cassazione ha quindi preso atto di tale vincolante orientamento, così come risulta, ad esempio, da Cass., sez. 5, nn. 12249/2010, Cass., n. 18907/2011, Cass., n. 16996/2012.

Più in particolare la Suprema Corte, con le richiamate sentenze applicative di tali principi, ha disconosciuto il valore di giudicato esterno:

  • di sentenze che, pronunciatesi con riferimento ad avvisi di accertamento in materia di IVA relativi a anni diversi di imposta, avevano escluso che un contratto di comodato di impianti sportivi, stipulato fra una società ed un'associazione sportiva al solo fine di ottenere un risparmio fiscale, integrasse gli estremi dell'abuso di diritto (Cass. n. 12249/2010);
  • di sentenza di annullamento di un avviso di rettifica in materia di IVA in una controversia riguardante una diversa annualità, sul presupposto che gli avvisi erano fondati su autonomi accertamenti in rettifica, ex art. 54, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Cass. n. 18907/2011);
  • di sentenze di merito che, pronunciandosi con riferimento ad avvisi di accertamento in materia di IVA emessi in contestazione di fatture per operazioni inesistenti in ordine ad anni diversi di imposta, avevano escluso la fittizietà di tali operazioni (Cass. n. 16996/2012).

Da ultimo Cass., sez. V, sent., 4 maggio 2016, n. 8855, dopo aver richiamato i principi in materia (per cui la massima del CED della Cassazione recita: «Le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall'art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Cgue 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell'effettività del diritto euro-unitario») ha poi disatteso l'eccezione di giudicato esterno sollevata dal contribuente nel controricorso in relazione a sentenza di annullamento di avviso di accertamento, derivante dal medesimo p.v.c. di quello per cui è causa, passato in cosa giudicata, rilevando che «il giudicato prodotto dal controricorrente ha ad oggetto non elementi costitutivi della fattispecie dotati di carattere tendenzialmente permanente, ma il difetto di motivazione dell'avviso di accertamento e la non congruità del parametro di ricarico ricavato dal settore di appartenenza».

La rilevabilità del giudicato esterno in giudizio

Le SU della Suprema Corte fin dal 2001 (Cass., Sez. Un., sent., 25 maggio 2001, n. 226) hanno affermato in generale che l'allegazione della sussistenza di un giudicato esterno può essere effettuata «in ogni stato e fase del giudizio di merito», con il potere del giudice di legittimità di accertarne l'esistenza con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

Per quanto riguarda i gradi di merito del contenzioso tributario, nel 2011 la Corte ha avuto occasione di affermare il potere d'ufficio di acquisire elementi al riguardo: cfr. Cass., sez. V, sent., 14 gennaio 2011, n. 779, secondo cui «Nel processo tributario, il giudice può acquisire d'ufficio un giudicato esterno invocato da una delle parti, anche a prescindere dalla previsione di cui al comma 3 dell'art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, (vigente "ratione temporis" e poi abrogato dall'art. 3-bis d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito nella l. 2 dicembre 2005, n. 248) in quanto il giudicato esterno costituisce un elemento che non può essere incluso nel fatto ma è assimilabile agli elementi normativi ed il suo accertamento, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione».

Alla luce di tale principio v'è quindi da chiedersi in che misura siano applicabili i limiti temporali (venti giorni liberi prima della data di trattazione) previsti dall'art. 32 d.lgs. n. 546/1992 e, per l'appello, dagli artt. 61 e 32 d.lgs. n. 546/1992 per la produzione di documenti in giudizio (nel caso di specie, dei documenti comprovanti il giudicato esterno). Invero, trattandosi in generale di “sentenze” (anche se recanti l'attestazione della segreteria sulle impugnazioni proposte) si ritiene generalmente che esse possano essere sempre prodotte. In ogni caso si tratta di questioni incidenti sulla permanenza della materia del contendere, al fine di scongiurare un inutile bis in idem se non un contrasto di giudicati. In tal senso si richiama, oltre alle cit. SU n. 226 del 25/05/2001 (in cui si afferma che l'allegazione della sussistenza di un giudicato esterno può essere effettuata “in ogni stato e fase del giudizio di merito”), anche Cass., sez. V, sent., 29 luglio 2011, n. 16675 secondo cui «L'esistenza del giudicato esterno è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in sede di legittimità; a tale riguardo, pertanto, non si applicano le limitazioni imposte dall'art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, concernenti il divieto di proposizione di questioni nuove nel giudizio tributario di secondo grado, e pertanto la relativa eccezione può essere validamente proposta per la prima volta dalla parte interessata con l'atto di appello».

Con la sentenza delle Sez. Un. n. 13916/2006, resa in una controversia tributaria, si è ammessa la rilevabilità d'ufficio anche in Cassazione in caso di giudicato formatosi dopo la proposizione del ricorso e, sulla stessa linea, Cass. Sez. VI - 5, sent., 1 giugno 2015, n. 11365 ha chiarito che i documenti giustificativi relativi all'esistenza di un giudicato esterno possono essere prodotti, dalla parte regolarmente costituitasi, fino all'udienza di discussione.

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