Autosufficienza (del ricorso per cassazione)

14 Marzo 2016

Per un principio di fonte essenzialmente giurisprudenziale il ricorso per cassazione deve uniformarsi al canone dell'autosufficienza, quale requisito di contenuto-forma nell'esposizione dei motivi di impugnazione che ne condiziona l'ammissibilità.
Inquadramento

Per un principio di fonte essenzialmente giurisprudenziale il ricorso per cassazione deve uniformarsi al canone dell'autosufficienza, quale requisito di contenuto-forma nell'esposizione dei motivi di impugnazione che ne condiziona l'ammissibilità. L'istituto pone oneri nella redazione dell'atto introduttivo del giudizio di legittimità non compiutamente definiti da una disposizione processuale ma che sono il frutto di una risalente tradizione della giurisprudenza.

L'osservanza del canone dell'autosufficienza viene comunemente giustificata dall'esigenza di consentire ai collegi della Suprema Corte la decisione della causa sulla base delle sole deduzioni esplicitate nel ricorso, che deve quindi contenere in modo specifico e completo tutti gli elementi necessari per esaminare i vizi denunciati, senza imporre ulteriori indagini mediante l'accesso agli atti del giudizio.

Secondo la prevalente dottrina il requisito dell'autosufficienza non trova alcuna espressa regolamentazione normativa né alcun riferimento o indicazione che ne legittimi la ricostruzione esegetica sotto il profilo sistematico. Tanto da ingenerare, in qualche studioso, il sospetto che si tratti di una forma di «giurisprudenza difensiva» della Suprema Corte per fronteggiare l'incontrollabile afflusso di ricorsi, in modo da consentirne la pronta definizione. Si sottolinea, altresì, che la mancanza di una base legale certa dell'istituto contribuisce a generare oscillazioni interpretative nonché utilizzi discrezionali, segnalandosi il rischio potenziale che le letture più estreme del principio si risolvano in una forma di giustizia negata, in contrasto con la funzione di garanzia assegnata dalla Costituzione alla Corte di cassazione e in potenziale conflitto con le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che privilegiano soluzioni che consentano di esaminare il merito della questione.

Per comprendere il senso con cui può essere inteso il canone dell'autosufficienza è dunque indispensabile analizzarne, pur brevemente, l'origine e l'evoluzione, al fine di verificare poi come esso venga declinato più di recente nelle sue molteplici applicazioni giurisprudenziali.

Origini giurisprudenziali dell'istituto

Per comune opinione la prima manifestazione dell'uso testuale della parola «autosufficienza» è da ricercare in Cass. civ., sez. I, 18 settembre 1986, n. 5656, così massimata: «La mancata ammissione di un mezzo di prova è denunziabile in Cassazione, sotto il profilo del difetto di motivazione, solo se i fatti dedotti siano tali da costituire un punto decisivo della controversia ed il ricorrente indichi specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova e il nesso di causalità tra l'asserita omissione e la decisione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività della prova medesima: controllo che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, deve appunto avvenire sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative».

Nei primi sviluppi il principio dell'autosufficienza appare come diretta emanazione della necessaria specificità, completezza, chiarezza e precisione dei motivi di ricorso per cassazione, complesso di oneri redazionali che impone la compiuta illustrazione dei fatti e degli atti rilevanti ai fini del decidere, senza possibilità di integrazione aliunde, in particolare mediante il generico richiamo alle risultanze o agli atti di causa.

Terreno di elezione dell'originaria enunciazione del principio è quello del vizio di motivazione, sia asserendosi che occorre specificare quali parti della motivazione siano insufficienti, carenti o contraddittorie e quali siano le ragioni della decisività dell'errore motivazionale, sia richiedendo la dettagliata illustrazione delle risultanze di prova testimoniale o documentale di cui si lamenta l'erronea valutazione.

Nel 1998 le Sezioni Unite attestano che costituisce ormai jus receptum che il ricorrente il quale, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione, da parte del giudice del merito, di una prova testimoniale, ha l'onere di indicare specificatamente le circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare» in ossequio al principio di autosufficienza (Cass. civ., Sez. un., 24 febbraio 1998, n. 1988). I percorsi successivi marcano sempre più l'esigenza di una trascrizione, più o meno integrale, nel corpo del ricorso del verbale di causa, del documento o dell'atto cui il motivo si riferisce (tra le innumerevoli v. Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2001, n. 10493; Cass. civ., sez. II, 26 aprile 2002, n. 6078; Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2004, n. 9711; Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2006, n. 6679).

Trapela l'assunto che l'autosufficienza (estesa anche ai casi di errores in procedendo), lungi dall'essere ispirata a finalità sanzionatorie, corrisponda al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell'atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nella individuazione degli atti, o parti di essi, che siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura (Cass. civ., sez. lav., 25 marzo 2005, n. 6462; Cass. civ., sez. V, 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. civ., sez. V, 27 luglio 2017, n. 18679).

La portata dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.

L'art. 5 d.lgs. 40/2006, nell'ambito della novellazione che ha riformato il processo per cassazione, ha inserito nell'art. 366 c.p.c., rubricato «contenuto del ricorso», tra gli elementi che l'atto deve contenere «a pena di inammissibilità», al comma 1, n. 6, «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda».

Secondo la dottrina la disposizione, realizzando un onorevole compromesso, avrebbe ridimensionato la portata assegnata all'autosufficienza da una giurisprudenza troppo rigorosa, attribuendo veste normativa ad un istituto pretorio da intendersi nella più ristretta accezione di onere di localizzazione dell'atto o del documento, all'interno dei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio, cui il motivo si riferisce, con la possibilità di un rinvio per relationem e con esclusione di una trascrizione testuale del contenuto.

Invece la giurisprudenza di legittimità ha prevalentemente interpretato il n. 6 dell'art. 366 c.p.c. come un incombente a carico del ricorrente ulteriore ed aggiuntivo rispetto a quello della trascrizione dell'atto posto a fondamento del motivo, quali condizioni non sovrapponibili ed entrambi indispensabili per evitare la sanzione dell'inammissibilità.

Pertanto il requisito del ricorso per essere assolto postula sia la «specifica» indicazione degli atti e dei documenti, sia che si dettagli in quale sede processuale essi risultino prodotti, «poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile» (v. Cass. civ., sez. un., 2 dicembre 2008, n. 28547; Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161).

Entrambe le pronunce correlano la prescrizione agli adempimenti posti dall'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. quali condizioni di procedibilità del ricorso.

Il doppio onere della localizzazione e della trascrizione ha avuto seguito nella giurisprudenza successiva (tra le altre v. Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ., VI sez., 16 marzo 2012, n. 4220).

In particolare, circa l'indicazione della sede processuale ove i documenti risultino prodotti, è stato sovente ribadito che è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2018, n. 5478) con precisazione (anche) dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2007, n. 12239; Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2008, n. 26888; Cass. civ., sez. VI, 24 ottobre 2014, n. 22607; Cass. civ., sez. V, 27 luglio 2017, n. 18679; Cass. civ., sez. V, 21 gennaio 2021, n. 9182).

Ancora da ultimo le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. civ., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469; sulla scorta di Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2016, n. 7701) hanno sancito il seguente principio: «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità. Altrimenti - soggiunge la motivazione della pronuncia - la Corte non viene posta nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento delle censure sulla base delle deduzioni contenute nelle medesime, ribadendosi che «i requisiti di formazione del ricorso rilevano ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso».

Quanto poi alla trascrizione dei contenuti si è detto in generale che «l'onere di specificazione non concerne solo il c.d. contenente, cioè il documento o l'atto processuale come entità materiale, ma anche il c.d. contenuto, ossia quanto il documento o l'atto processuale racchiudono in sé e fornisce fondamento al motivo di gravame. Sotto questo profilo l'onere di indicazione si può adempiere trascrivendo la parte del documento su cui si fonda il motivo o almeno riproducendola indirettamente in modo da consentire alla Corte di cassazione di esaminare il documento o l'atto processuale proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo, sì da scongiurare un inammissibile soggettivismo nella individuazione di quella parte del documento o dell'atto su cui il ricorrente ha inteso fondare il motivo» (Cass. civ., sez. III, 4 settembre 2008, n. 22303; conformi: Cass. civ., sez. lav., 7 febbraio 2011, n. 2966; Cass. civ., sez. lav., 18 agosto 2014, n. 18024).

Più di recente, in alcune occasioni è stata richiesta la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti e dei documenti (Cass. civ., sez. V, 7 giugno 2017, n. 14107; Cass. civ., sez. V, 4 ottobre 2018, n. 24340; Cass. civ., sez. lav., 5 agosto 2019, n. 20914); in altre si è fornita l'opzione tra trascrizione e riassunto del contenuto dell'atto posto a fondamento del motivo (Cass. civ., sez. V, 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2016, n. 19048; Cass. civ., sez. V, 13 novembre 2018, n. 29093); in altre ancora si è ritenuto sufficiente indicare nell'atto «il contenuto rilevante del documento stesso» (Cass. civ., sez. lav., 9 ottobre 2012, n. 17168) o la parte significativa del documento (Cass. civ., sez. VI, 21 maggio 2019, n. 13625).

Applicazioni del principio di autosufficienza

Per la migliore comprensione di come operi in iure l'autosufficienza è opportuna un'analisi casistica della giurisprudenza di legittimità più recente, secondo una classificazione che tenga conto della tipologia dei vizi denunciati e di come, rispetto ad essi, nelle singole ipotesi sia stato applicato il principio.

a) autosufficienza e giudizio di fatto

Naturale partire dal vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che, come detto, ha rappresentato l'alveo in cui ha trovato origine l'istituto in esame.

Innanzitutto, avuto riguardo alle censure relative all'ammissione, anche mancata, delle prove, da tempo è consolidato l'orientamento circa la necessità della trascrizione integrale dei capitoli di prova, anche al fine di consentire al giudice di legittimità di apprezzarne la «decisività» (Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2006, n. 11501; Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4178). Nella stessa logica si è ritenuto che vada riportata nella relativa censura la formula con cui era stato deferito il giuramento decisorio non ammesso (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2015, n. 4365) ovvero l'eccezione di nullità della testimonianza ex art. 246 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 23 novembre 2016, n. 23896) o anche l'indicazione specifica delle condotte processuali di non contestazione (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2016, n. 16655).

Più in generale, ove ci si dolga della erronea valutazione delle risultanze probatorie o processuali da parte del giudice del merito, è imposto l'onere di indicare specificamente, mediante trascrizione, le circostanze oggetto della prova (Cass. civ., sez. VI, 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. civ., sez. VI, 3 gennaio 2014, n. 483; Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2017, n. 19985).

L'affermazione dell'onere della trascrizione trova assai frequente applicazione con riguardo ai documenti (v., oltre la giurisprudenza prima richiamata in generale, Cass. civ., sez. I, 20 luglio 2015, n. 15137; Cass. civ., sez. V, 28 febbraio 2017, n. 5185, Cass. civ., sez. V, 30 novembre 2018, n. 31038, per la trascrizione della relata di notificazione, contra: Cass. civ., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 1150; Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2015, n. 16900, per la produzione in giudizio di un lodo arbitrale; Cass. civ., sez. V, 13 febbraio 2015, n. 2928, Cass. civ., sez. V, 29 luglio 2015, n. 16010; Cass. civ., sez. V, 28 giugno 2017, n. 16147; Cass. civ., sez. V, 6 novembre 2019, n. 28570, sulla trascrizione degli atti tributari impugnati).

Altro ambito in cui il canone dell'autosufficienza viene spesso impiegato è quello dei motivi di ricorso per cassazione che si fondino sulle contestazioni delle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio, risultando necessario che il contenuto della stessa, quanto meno nelle sue parti rilevanti, sia riportato in ricorso, oltre a precisare dove la stessa sia reperibile (cfr. Cass. civ., sez. I, 3 settembre 2013, n. 20131; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2014, n. 16368). Analoghi oneri di indicazione specifica e di produzione dovranno essere assolti ove il motivo sia fondato anche sulle osservazioni critiche contenute in una consulenza tecnica di parte (Cass. civ., sez. lav., 17 luglio 2014, n. 16391; Cass. civ., sez. I, 3 giugno 2016, n. 11482; Cass. civ., sez. I, 3 dicembre 2020, n. 27702).

In argomento non può trascurarsi infine che, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ad opera dell'art. 54 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012, si è introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Secondo le Sezioni Unite ne consegue che, nel rigoroso rispetto appunto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti nonché la sua «decisività» (Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

b) autosufficienza ed errores in iudicando

La richiesta di autosufficienza del ricorso si è progressivamente estesa anche alle ipotesi di censure ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., oltre l'iniziale esigenza di rendere adotta la Corte della situazione di fatto, o più in generale degli elementi della controversia, di cui si sollecita la diversa valutazione giuridica.

Si legge dunque con continuità la massima secondo cui «in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., giusta il disposto di cui all'art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione» (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. civ., sez. VI, 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. civ., sez. lav., 7 ottobre 2014, n. 21083; Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2020, n. 16700).

È ribadito, poi, che in tema di spese processuali, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell'avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale per l'importanza del giudizio presupposto e per la complessità delle questioni giuridiche trattate, atteso che, in applicazione del principio di autosufficienza, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate (Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2014, n. 20808).

Tuttavia l'error in iudicando in relazione al quale si pone più frequentemente il tema dell'autosufficienza è quello che riguarda le regole legali in tema di interpretazione del contratto dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c.. È pacifico il principio per il quale le valutazioni del giudice di merito in ordine all'interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente, per cui, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione - ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l'anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito - non potendo le censure risolversi, in contrasto con l'interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata. Pertanto la parte che intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell'effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l'erronea applicazione della disciplina normativa (di recente: Cass. civ, sez. III, 8 marzo 2019, n. 6735; in precedenza: Cass. civ., sez. lav., 15 novembre 2013, n. 25728; Cass. civ., sez. V, 4 giugno 2010, n. 13587).

Avuto specifico riguardo alla denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, come noto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., come modificato dall'art. 2 d.lgs. 40/2006, essa è stata parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, per cui – secondo la più recente giurisprudenza della S.C. - anch'essa comporta, in sede di legittimità, l'interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell'esattezza e della congruità della motivazione (Cass. civ., sez. lav., 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. civ., sez. VI, 16 settembre 2014, n. 19507; Cass. civ., sez. lav., 18 dicembre 2014, n. 26738). Dunque pretesi errores in iudicando del giudice di merito postulano una conoscenza della normativa collettiva da parte della Corte tendenzialmente completa, con conseguente onere di produzione integrale del testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Cassazione nell'esercizio del sindacato di legittimità sull'interpretazione del CCNL (Cass. civ., sez. un., 23 settembre 2010, n. 20075; per i contratti integrativi pubblici v. Cass. civ., sez. lav., 11 aprile 2011, n. 8231; conf. Cass. civ., sez. lav., 11 ottobre 2013, n. 23177; di recente v. Cass. civ., sez. lav, 13 agosto 2020, n. 17070, che ha ribadito il principio secondo cui deve essere riportato integralmente il contenuto della norma collettiva colta a fondare la pretesa).

Infine, anche considerando il giudicato esterno come la regola del caso concreto, rilevabile ex officio in ogni stato e grado ed interpretabile dal giudice secondo il principio iura novit curia (cfr. Cass. civ., Sez. un., 28 novembre 2007, n. 24664), si è avuto cura di precisare che il testo del giudicato esterno deve essere riprodotto nel ricorso, in questo senso non bastando il riassunto sintetico dello stesso (da ultimo: Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2020, n. 17310; in precedenza: Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 2018, n. 5508; Cass. civ., sez. II, 23 giugno 2017, n. 15737; Cass. civ., sez. V, 11 febbraio 2015, n. 2617, con la giurisprudenza ivi richiamata; si rammenta che per Sez. un., 27 gennaio 2004, n. 1416, per l'osservanza dell'autosufficienza occorre indicare il momento e le circostanze processuali in relazione alle quali sono stati prodotti gli atti conferenti al giudicato; per il giudicato interno v. Cass. civ., sez. I, 15 marzo 2019, n. 7499).

c) autosufficienza ed errores in procedendo

Sicuramente l'ambito nel quale il principio dell'autosufficienza appare più controverso è quello delle censure formulate a mente dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., atte a determinare la «nullità della sentenza o del procedimento».

Invero suole dirsi che in tali casi la Cassazione diviene giudice del fatto, in quanto l'accertamento e la valutazione dell'evento processuale sono compiuti direttamente e non attraverso l'intermediazione del giudice di merito e della motivazione da questi fornita. Sicché la dottrina rileva che non dovrebbe configurarsi una preclusione ad indagini integrative ad opera della Corte su atti che si sono formati all'interno del processo.

In proposito, però, appare fondamentale l'arresto delle Sezioni unite contenuto nella pronuncia del 22 maggio 2012, n. 8077, secondo cui «quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un'attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell'atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell'oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda». Tuttavia le Sezioni unite precisano che «nemmeno in quest'ipotesi viene meno l'onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d'impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute negli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c.; sicché l'esame diretto degli atti che la corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato».

Più di recente si è ribadito, sempre nella composizione più autorevole della Corte, che «allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli» (Cass. civ., sez. un., 26 febbraio 2019, n. 5640).

L'espressa salvezza della regola di cui al n. 6 dell'art. 366 c.p.c., cui si riconnette la radice normativa dell'autosufficienza, ha indotto la giurisprudenza successiva a preservare il canone anche in caso di errores in procedendo.

Così è stato argomentato che, pure in tali casi, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali (Cass. civ., sez. lav., 7 gennaio 2015, n. 18; Cass. civ., sez. lav., 19 agosto 2014, n. 18037, con la giurisprudenza ivi citata). Precisamente l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell'iter processuale (Cass. civ., sez. V, 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. civ., sez. lav., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. civ., sez. VI, 25 settembre 2019, n. 23834).

Ad esempio, proprio con riferimento alla nullità dell'atto introduttivo di un giudizio in materia di lavoro, ritenuta dai giudici di merito e contestata dalla parte attrice, in dichiarata applicazione della pronuncia delle Sezioni unite citata, si è affermato che «non viene meno l'onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi di impugnazione: sicché l'esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti e a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato» (Cass. civ., sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 896; sulla necessaria riproduzione in ricorso dell'atto introduttivo della lite v. Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 2014, n. 2886).

In ordine alla denunciata incoerenza di un atto di appello con il modello normativo imposto dall'art. 434, comma 1, c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 54, comma 1, lett. c-bis d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, contestualmente al novellato art. 342 c.p.c., fermo il rispetto degli oneri imposti dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., si è ritenuta sufficiente la trascrizione dei passaggi della sentenza gravata con il ricorso per cassazione, ai quali si attribuiva la violazione processuale lamentata, puntualmente illustrata con riferimento al contenuto del ricorso in appello ed alla correlata sentenza impugnata di primo grado (Cass. civ., sez. lav., 5 febbraio 2015, n. 2143). Ancora nel caso di censure che riguardino la denunciata genericità dei motivi di appello si è ritenuta condizione di ammissibilità del ricorso la trascrizione per esteso del contenuto dell'atto di appello (Cass. civ., sez. V, 20 luglio 2012, n. 12664) ovvero l'indicazione dell'impianto specifico dei motivi di appello formulati dalla controparte ed asseritamente affetti da nullità (Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2012, n. 86; Cass. civ., sez. V, 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. civ., sez. lav., 5 agosto 2019, n. 20924; Cass. civ., sez. I, 23 dicembre 2020, n. 29495).

Ove il ricorrente censuri la statuizione dell'inammissibilità del motivo di appello dichiarata dalla corte territoriale per difetto di specificità, si è affermato che il ricorrente per cassazione deve specificare le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la specificità (Cass. civ., sez. V, 29 settembre 2017, n. 22880).

Frequente applicazione del criterio selettivo dell'autosufficienza si ha nel caso di denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c. che governa il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, atteso che l'inosservanza del precetto processuale che regola la corrispondenza tra «il chiesto e il pronunciato» configura un vizio riconducibile alla previsione dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..

Affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (in termini: Cass. civ., sez. lav., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2007, n. 6361).

Si è così statuito che, ove la parte interessata abbia fatto oggetto di specifico motivo di ricorso la pretesa violazione dell'art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito, indipendentemente dalle motivazioni da questi offerte, la Corte di cassazione possa direttamente esaminare il ricorso introduttivo del giudizio, sempre che esso sia stato ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 366, comma 1, n. 6 e art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata (Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 2014, n. 8008).

Parimenti, allorquando si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, occorre che essi siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano "nuove" e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. civ., sez. II, 20 agosto 2015, n. 17049; Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26155).

Secondo un consolidato orientamento, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non ricorrere nell'inammissibilità per “novità” della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (tra molte: Cass. civ., sez. V, 13 dicembre 2019, n. 32084; Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2017, n. 27568).

Il protocollo del 17 dicembre 2015

La preoccupazione che il ricorso per cassazione possa essere giudicato inammissibile per violazione del canone dell'autosufficienza sovente induce chi si rivolge alla Corte a redigere l'atto sovradimensionando l'esposizione dei motivi di impugnazione nonché le argomentazioni a supporto, con la conseguenza di incorrere nella violazione dell'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (ex multis: Cass. civ., sez. VI, 28 maggio 2018, n. 13312; Cass. civ., sez. V, 4 aprile 2018, n. 8245).

Nella considerazione dell'importanza della chiarezza e della sinteticità degli atti processuali, anche ai fini della qualità della risposta alla domanda di giustizia, con lettera del 17 giugno 2013, inviata dal Primo Presidente della Cassazione al Presidente del Consiglio Nazionale Forense, veniva avviato un dialogo funzionale al miglioramento della reciproca intelligenza degli atti processuali, suggerendo come primo obiettivo una significativa riduzione della dimensione dei ricorsi, in modo da poterne contenere la stesura in un ragionevole numero di pagine, pur tenendo conto della eventuale maggiore o minore complessità dell'impugnazione.

Nel contempo veniva avviata in seno alla Corte una nuova riflessione sul senso da attribuire al principio di autosufficienza, rilevando che, con tale formula, la giurisprudenza di legittimità avesse inteso richiamare il rispetto dei canoni di specificità, completezza e chiarezza del motivo; in particolare ci si interrogava se, alla luce della riforma dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., il richiamato principio potesse essere inteso nel senso che, fermo l'onere irrinunciabile di specificità dei motivi di impugnazione, il ricorrente sia soggetto ad un ulteriore onere di puntuale indicazione, con riferimento agli atti e documenti del giudizio, del «tempo» e del «luogo» ove era stata formulata una determinata istanza o prodotto un determinato documento, senza doverne trascrivere integralmente il contenuto.

Dai lavori di una commissione mista composta da magistrati e avvocati è risultata l'elaborazione di un «Protocollo d'intesa sulle regole redazionali degli atti processuali», sottoscritto il 17 dicembre 2015 dal Primo Presidente della Corte di Cassazione e dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense su talune raccomandazioni che definiscono i limiti di contenuto del ricorso e ne agevolano l'immediata comprensione da parte del giudicante, senza ovviamente che il mancato rispetto comporti un'automatica sanzione di tipo processuale, salva la valutazione ai fini della liquidazione delle spese del giudizio.

In punto di autosufficienza il Protocollo afferma che detto principio «non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso o nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento».

Secondo l'intesa il principio «deve ritenersi rispettato quando:

1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito;

2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l'atto, il documento, il contratto o l'accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell'atto, del documento, del contratto o dell'accordo collettivo al quale si riferisce;

3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, etc.) del deposito dell'atto, del documento, del contratto o dell'accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, etc.) in cui esso è avvenuto;

4) siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all'allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi di giudizio) ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., «gli atti, i documenti, il contratto o l'accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso».

Si è ritenuto che la violazione delle regole per la redazione del ricorso per cassazione contenute nel Protocollo in esame «dà luogo ad inammissibilità, laddove tale violazione implica la violazione - non già, ovviamente, del Protocollo in sé, bensì - del dato normativo di riferimento nell'interpretazione recepita nello stesso Protocollo» (Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2018, n. 10112).

Riferimenti
  • Amoroso, Il giudizio civile di cassazione, Milano 2019, 219;
  • Castagno, L'autosufficienza del ricorso per cassazione, in Giur. It., 2019, 2547;
  • Conforti, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, Salerno 2014;
  • Di Marzio M., Il potere di riesame del «fatto processuale» ed il principio di autosufficienza: la linea di demarcazione è sottile, ma netta, in Ilprocessocivile.it, 9 settembre 2019;
  • Frasca, Ricorso, controricorso, ricorso incidentale, in La Cassazione civile, (a cura di Acierno, Curzio, Giusti), Bari 2020, 101;
  • Giusti, L'autosufficienza del ricorso, in La Cassazione civile, (a cura di Acierno, Curzio, Giusti), Bari 2020, 213;
  • Metafora, Il requisito dell'autosufficienza del ricorso per cassazione e l'onere di localizzazione, in GiustiziaCivile.com, 17 agosto 2018;
  • Rusciano, Nomofilachia e ricorso in cassazione, Torino 2012, 136;
  • Ricci, Sull'autosufficienza del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l'avvocato cassazionista come amanuense, in Riv. Dir. Proc., 2010, 736;
  • Santangeli, Sui mutevoli (e talora censurabili) orientamenti della Suprema Corte, in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, ina attesa di un (auspicabile) intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, in www.judicium.it.;
  • Sassani, Il nuovo giudizio di cassazione, in Riv. Dir. Proc., 2006, 228;
  • Scarselli, Note sulle buone regole redazionali dei ricorsi per cassazione in materia civile, in Foro it., 2016, V, 61.

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