Termini a comparire

06 Febbraio 2016

Con la terminologia di «termini a comparire» si intende il numero minimo di giorni liberi che l'attore, nel fissare il giorno della prima udienza, deve lasciare intercorrere tra il giorno della notificazione della citazione e il giorno dell'udienza indicata nella vocatio ad ius ovvero nell'atto introduttivo. L'art. 2 della legge n.263/2005 – con effetto dal 1 marzo 2006 – ha modificato l'art.163-bis c.p.c fissando termini liberi non minori di novanta giorni, se il luogo della notificazione si trova in Italia, e di centocinquanta giorni, se si trova all'estero.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 

Con la terminologia di «termini a comparire» si intende il numero minimo di giorni liberi che l'attore, nel fissare il giorno della prima udienza, deve lasciare intercorrere tra il giorno della notificazione della citazione e il giorno dell'udienza indicata nella vocatio ad ius ovvero nell'atto introduttivo. L'art.2, l. n. 263/2005– con effetto dal 1 marzo 2006 – ha modificato l'art. 163-bis c.p.c. fissando termini liberi non minori di novanta giorni, se il luogo della notificazione si trova in Italia, e di centocinquanta giorni, se si trova all'estero. I termini per comparire in giudizio, stabiliti dall'art. 163-bis c.p.c.

, sono fissati in relazione non ai luoghi delle possibili notificazioni, ma al luogo in cui la notificazione è realmente e validamente avvenuta (Cass. civ., 5 novembre 1981, n. 5844). Per effetto del richiamo operato dall'art. 342 c.p.c., in appello vanno rispettati i medesimi termini a comparire del giudizio di primo grado.

Nelle cause che seguono il rito c.d. del lavoro (art. 415, art.447-bis c.p.c.), tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.

Con riferimento al giudizio di appello delle controversie in materia di lavoro, l'art. 435 c.p.c.

indica in venticinque giorni il termine minimo che deve intercorrere tra la data di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza e quest'ultima.

Natura giuridica e computo

I termini predetti hanno natura dilatoria e vanno perciò computati all'indietro. Essendo liberi non si deve tenere conto né del dies a quo (giorno dell'udienza), né del dies ad quem (ultimo giorno entro il quale deve essersi perfezionata la notificazione).

Il combinato disposto dell'

art.163-

bis

c.p.c

.

e del nuovo testo dell'

art. 155,

comma

4

,

c.p.c

.

implica che se l'attore indica come giorno dell'udienza un giorno festivo - non il sabato che ai sensi dell'

art. 155

c.p.c

per lo svolgimento delle udienze è da considerare giorno lavorativo - la scadenza del termine a comparire viene prorogata al primo giorno seguente non festivo.

A norma dell'

art.70-

bis

disp

.

att.

a

.

c.

p.c.

i termini di comparizione vanno rispettati avuto riguardo all'udienza indicata in citazione anche se questa subisca il differimento di cui all'

art. 168-

bis

, comma 4,

c.p.c.

.

Diversamente, laddove sia il Giudice istruttore a differire la data della prima udienza (

art. 168-

bis

,

comma

5,

c.p.c

.

), i termini dovranno essere computati rispetto alla nuova udienza indicata dal giudice. In senso contrario si è, tuttavia, espressa la Suprema Corte nella sentenza n.15128 del 2 luglio 2014 secondo cui, ai fini del calcolo dei termini minimi a comparire di cui all'

art. 163-

bis

c.p.c.

, occorre fare riferimento alla data dell'udienza fissata in citazione, anche ove l'udienza venga differita ai sensi del comma 5 dell'

art.163-

bis

c.p.c

.

sul presupposto che il convenuto faccia legittimo affidamento sulla data indicata nell'atto di citazione per valutare la ritualità della instaurazione del giudizio; risulterebbe altrimenti compromesso il suo diritto di difesa, implicitamente comprensivo della facoltà di autodeterminarsi in modo consapevole nel non costituirsi in giudizio confidando nell'ordine di rinnovazione della citazione.

Nel calcolo si deve considerare anche la sospensione feriale dei termini processuali di cui alla

l.

7 ottobre 1969 n. 742

(

C

ass

. civ.,

19 maggio 2014

,

n.10956

;

Cass

. civ.,

17 maggio 2010, n. 12044

) che a decorrere dal 2015 – per effetto della modifica introdotta con il

D.L. 12 settembre 2014, n. 132

(conv. con modificazioni dalla

L. 10

novembre

2014, n.

162

) - comprende il periodo dall'1 al 31 agosto di ciascun anno.

In caso di notificazione dell'atto di citazione a mezzo del servizio postale, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477/2002, ai fini della osservanza dei termini a comparire, per giorno della notificazione si intende il momento del perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario e quindi, quello in cui si realizza non l'effetto, anticipato e provvisorio, a vantaggio del notificante, ma il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, ancorato al momento in cui l'atto è da questi ricevuto o perviene nella sua sfera di conoscibilità. Pertanto, ai sensi dell'

art.149,

ultimo

comma,

c.p.c

.

, in caso di notifica a mezzo posta eseguita ai sensi della

l.

n. 890/1982

(art. 8

), quest'ultima si ha per eseguita:

  1. nel momento in cui il piego è consegnato al destinatario;

  2. in caso di mancata consegna ai sensi dell'

    art.140

    c.p.c.

    (irreperibilità nella residenza conosciuta o incapacità o rifiuto delle persone ivi rivenute ai sensi dell'

    art. 139

    c.p.c

    .

    ) nel momento in cui l'atto è stato ritirato durante la giacenza;

  3. in caso di mancata consegna ai sensi dell'

    art.140

    c.p.c.

    , se l'atto non è stato ritirato, decorsi dieci giorni dalla data di avvenuto deposito presso l'ufficio postale.

Ciò in quanto, ha evidenziato la Suprema Corte (

C

ass.

civ.,

sez.

I

, 12 aprile 2006, n. 8523

) il "notum facere" rileva come risultato che, in tanto può considerarsi raggiunto, in quanto la conoscenza effettivamente si produca con il ritiro dell'atto, ovvero si siano verificati tutti gli elementi previsti per consentirla o per propiziarla, ivi compreso il decorso del tempo. L'effetto anticipato a vantaggio del notificante riguarda, pertanto, il termine pendente al momento in cui l'atto è consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica. Tale effetto, invero, è correlato all'esigenza di tutelare, nell'ambito applicativo degli

artt. 3

e

24 Cost.

, il diritto di difesa del notificante, anche sotto il profilo del principio di ragionevolezza, nonché l'interesse del medesimo a non vedersi addebitato l'esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri d'impulso (così anche Cass. civ., Sez.Un., ordinanza 13 gennaio 2005, n. 458).

Ragioni analoghe non sussistono quando il momento in cui la notifica si perfeziona sia rilevante, non tanto per l'osservanza di un termine pendente nei confronti del notificante, quanto piuttosto per stabilire il dies a quo relativo alla decorrenza di un termine successivo del processo. In tali casi (e, più in generale, a fini diversi dall'osservanza di un termine pendente) il dies a quo prende a decorrere dal momento in cui il procedimento notificatorio si perfeziona anche per il destinatario dell'atto (cfr., già,

Cass.

civ.,

Sez. Un., 5 marzo 1996, n. 1729

; e - dopo la pronuncia del Giudice delle leggi -

Cass.

civ.

, sez.

III

, 10 novembre 2004, n. 21409

a

Cass.

civ.

, sez.

II

, 18 marzo 2005, n. 5967

).

L'abbreviazione dei termini e l'anticipazione dell'udienza

Con ricorso diretto al Presidente del tribunale, ovvero se la causa è stata già assegnata ad una sezione, al Presidente di questa, si può ottenere l'abbreviazione dei termini fino alla metà nelle cause che richiedono «pronta spedizione». Il Presidente provvede con decreto motivato apposto in calce all'originale ed alle copie della citazione.

Nel caso in cui invece il termine assegnato dall'attore eccede il minimo, il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al Presidente del tribunale l'anticipazione dell'udienza, sempre nel rispetto dei termini a comparire. In questo caso sia il ricorso che il decreto saranno notificati alle parti non costituite in un congruo termine, fissato dal Presidente.

Inosservanza del termine a comparire

Con riferimento al giudizio di primo grado, l'assegnazione al convenuto di un termine a comparire inferiore a quello stabilita dalla legge determina la nullità della citazione ai sensi dell'

a

rt. 164

,

comma 1

,

c.p.c

.

: trattasi di nullità sanabile e rilevabile d'ufficio.

In caso di mancata costituzione del convenuto, il giudice, rilevata la nullità disporrà la rinnovazione della citazione entro un termine perentorio con efficacia sanante ex tunc; gli effetti sostanziali e processuali della domanda si produrranno, infatti, dalla prima notificazione. La mancata rinnovazione della notifica dell'atto introduttivo, determinerà, invece, la cancellazione della causa dal ruolo e la estinzione del processo ai sensi dell'

art.

307

,

comma 3

,

c.p.c

.

.

In caso di costituzione del convenuto la nullità risulterà invece sanata con efficacia ex tunc ove questi si difenda nel merito senza eccepirla. Ove nel costituirsi il convenuto sollevi invece l'eccezione senza anche svolgere difese e chiedendo la fissazione di una nuova udienza, il giudice dovrà differire l'udienza garantendo il rispetto dei termini minimi di comparizione. La Suprema Corte ha infatti ribadito (

C

ass

. civ., s

ez.

VI,

ord

., 16 ottobre 2014,

n. 21910

e

Cass.

civ.,

sent.

, 16 ottobre 2014,

n. 21957

) che, se il convenuto costituendosi svolge le sue difese, non sussiste il presupposto per differire l'udienza giacchè il legislatore, non avendo richiesta un'istanza del convenuto di differimento in aggiunta all'eccezione di nullità, ha inteso ricollegare il dovere di fissazione di una nuova udienza ad una costituzione finalizzata alla sola formulazione dell'eccezione e non anche ad una costituzione che alla formulazione dell'eccezione accompagni lo svolgimento delle difese. Tant'è vero che la nuova udienza fissata dal giudice assume, rispetto al convenuto, la stessa funzione di quella indicata nella citazione, e dunque di una udienza in relazione alla quale il comportamento del convenuto è regolato dagli

artt. 166

e

167

c.p.c.

e non di una udienza rispetto alla quale egli dovrà meramente integrare le proprie difese.

Nei procedimenti soggetti al rito del lavoro (

Cass.

civ., Sez. Un.,

21 marzo 2001, n.122

) e verosimilmente per tutti i procedimenti che iniziano con ricorso, invece, si ritiene che la inosservanza del termine dilatorio a comparire non è configurabile come un vizio di forma o di contenuto dell'atto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l'impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, sicchè tale inosservanza non comporta la nullità dell'atto introduttivo (diversamente dalla citazione

ex

art.164

c.p.c

.

) , bensì quello della sua notificazione (

C

ass.

civ.,

26 luglio 2013, n. 18168

), sanabile “ex tunc” per effetto di spontanea costituzione del resistente o di rinnovazione, disposta dal giudice

ex

art.291

c.p.c.

(

C

ass.

civ.,

28 agosto 2013, n. 19818

e in precedenza

Cass.

civ.,

n. 488/2010

))

costituendo questa norma espressione di un principio generale dell'ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili "ex tunc", con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall'

art. 160 c.p.c.

, ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all'atto di raggiungere lo scopo a cui è destinato (

art. 156 c.p.c.

, comma 3), ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante . Con riferimento a tale specifico caso le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 122/2001) hanno precisato che il giudice di appello che rilevi la nullità dell'introduzione del giudizio di primo grado determinata dalla inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall'

art.415

c.p.c

, comma 5, non può dichiarare la nullità e rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi né la nullità dell'atto introduttivo nè alcuna delle altre ipotesi previste dagli

artt.

353

e

354 comma 1

c.p.c.

), ma deve trattenere la causa e decidere nel merito .

In una recentissima sentenza la Suprema Corte (

C

ass.

civ.

,

21 dicembre 2015,

n. 25684

), non solo ha individuato la violazione del termine non minore di venticinque giorni, che a norma dell'

art.

435, comma 3

,

c.p.

c

deve intercorrere tra la data di notifica dell'appello e quello dell'udienza di discussione, come un vizio della notificazione ma ha precisato che non produce alcuna nullità se l'atto abbia raggiunto il suo scopo per effetto della costituzione dell'appellato ai sensi degli

artt.156

e

160

c.

p

.

c

.

.

Va distinta, in ogni caso, l'ipotesi della notifica «inesistente», dunque non sanabile ex tunc, qualora l'abnormità del procedimento notificatorio sia tale da non consentirne in alcun modo l'inserimento nello sviluppo del processo. Ove il vizio attenga alla fase della consegna è, infatti, inesistente la notifica fatta a soggetto o in luogo totalmente estranei al destinatario, mentre è nulla, e suscettibile di sanatoria, quella effettuata in luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario (

Cass.

civ.,

30 maggio 2014

,

n. 12301

).

Nei procedimenti soggetti al rito del lavoro, introdotti mediante ricorso da notificarsi al convenuto unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di discussione, trova applicazione la disciplina dettata dall'

art. 415

c.p.c.

, per il giudizio di primo grado e dall'

art

.

435

c.p.c

.

, per l'appello; in particolare nel primo caso tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni, mentre nel secondo di venticinque.

La disciplina di tali procedimenti non prevede specificamente le conseguenze processuali derivanti dalla mancata osservanza del prescritto termine dilatorio, come avviene, invece, per il procedimento ordinario, nel quale, è esplicitamente prevista la nullità della citazione in caso di assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge

(artt. 164

e

163-

bis

c.p.c.

). Ne discende che il giudice di appello, ove la nullità non sia stata sanata in primo grado mediante costituzione del convenuto o rinnovazione dell'atto di citazione, deve necessariamente disporre la rinnovazione degli atti nulli,

ex

art. 162

c.

p.

c.

, comma 1, e decidere la causa nel merito, non potendo comunque trovare applicazione il disposto dell'

art. 354

c.p.c.

, comma 1, che prevede la rimessione al primo giudice nel caso di nullità della sola notificazione e non anche dello stesso atto introduttivo.

Se la disciplina ordinaria sia integralmente applicabile ai procedimenti di rito speciale è questione risolta da

Cass.

civ., Sez. Un.,

21 marzo 2001, n. 122

.

Le Sezioni Unite, in particolare, già nel 2001 affrontavano il problema della qualificazione del vizio predetto nei giudizi soggetti al rito laburistico e, risolvendo il contrasto esistente, concludevano nel senso che la violazione del termine di comparizione afferisce alla sola fase di notificazione, senza che il vizio si estenda allo stesso atto introduttivo del giudizio (ascrivevano all'orientamento contrario Cass. civ., S.U., n.6128/1983;

Cass.

civ.,

sez. lav.

,

n. 4879/1986

) .

Ciò in ragione della diversità strutturale tra l'atto introduttivo del giudizio ordinario (che inizia con la citazione ad udienza fissa) e l'atto introduttivo del giudizio secondo il rito del lavoro, caratterizzato dalla scissione della editio actionis (si realizza con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice) e della vocatio in jus (si attua mediante il concorso del comportamento del giudice, che emette il decreto di fissazione dell'udienza, e dell'attore, che deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto al convenuto entro un termine sufficiente ad assicurare il prescritto spatium deliberandi).

Tale struttura (scissione tra l'editio actionis e la vocatio in jus) non sembra consentire l'automatica trasposizione dell'

art. 164

c.p.c.

, comma 1, nella parte in cui qualifica come causa di nullità della citazione l'inosservanza del termine dilatorio di comparizione, al rito del lavoro, che assume la struttura di fattispecie complessa a formazione progressiva.

Si considerava, quindi, che l'inosservanza del termine di comparizione di cui all'art. 415, comma 5, sia essa dovuta al provvedimento del giudice ovvero alla successiva condotta dell'attore, è causa di invalidità della sola vocatio in jus e non può, quindi, incidere sulla validità dell'editio actionis, perfezionata mediante il deposito del ricorso, in ragione del principio generale di cui all'

art. 159

c.p.c.

, comma 1, secondo cui per la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti. Ma, tuttavia, non attiene specificamente all'elemento di detta fase rappresentato dalla notificazione in senso proprio. Precisa la Corte infatti che non si verte in una ipotesi di nullità della notificazione dell'atto introduttivo, determinante il difetto di conoscenza nel convenuto della pendenza del giudizio, ma in una ipotesi di nullità della fattispecie introduttiva determinata dalla lesione del diritto di difesa del convenuto, inciso dall'assegnazione di uno spatium deliberandi inferiore a quello garantito dalla legge.

Poiché questa ipotesi non è espressamente prevista dagli

ar

t

t.

353

e

354

c.p.c.

, comma 1, la conseguenza è la insussistenza, per il giudice di appello, dell'obbligo di rimettere la causa al primo giudice: dovrà infatti trattenere la causa e decidere nel merito, previa ammissione dell'appellante ad esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado se il processo si fosse ritualmente instaurato.

Riferimenti

C. Mandrioli – A. Carratta

, diritto processuale vol. I e II, Torino, XXIV, 2015;

V. De Gioia, Manuale di diritto processuale civile, Vol.I, Forlì 2008;

G. Stella Richter, La giurisprudenza sul codice di procedura civile coordinata con la dottrina, libro I, Tomo 1, Giuffrè 2006;

L. Montesano - G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile vol.I, Milano 2001.

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