Usi civici (semplificazione dei riti)

Cristina Asprella
10 Gennaio 2016

Controversie aventi ad oggetto l'appello contro le decisioni dei commissari regionali, ex art. 33 d.lgs. n. 150/2011.
Inquadramento

L'

art. 33, d.lgs. n. 150/2011

regolamenta le controversie aventi ad oggetto l'appello contro le decisioni dei commissari regionali, ai sensi dell'

art. 32, l. n. 1766/1927

. Le controversie sono state ricondotte al rito ordinario di cognizione; sono state mantenute ferme l'individuazione e la composizione dell'organo giudicante, che rimane la Corte d'appello, in grado unico di merito e la competenza territoriale, individuata nella Corte d'appello di Palermo, per i provvedimenti pronunciati dal commissario regionale per la liquidazione degli usi civici per la Regione Sicilia, e nella Corte d'appello di Roma, per i provvedimenti pronunciati dei commissari delle restanti regioni.

Nel rispetto della delega che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute alcune previsioni su cui sarà d'uopo tornare specificamente e, in particolare:

a)

il termine di 30 giorni, decorrente dalla notificazione del provvedimento impugnato, per la proposizione dell'appello, a pena di inammissibilità;

b)

la possibilità di proporre appello avverso le decisioni preparatorie o interlocutorie dei commissari regionali soltanto dopo la decisione definitiva ed unicamente all'impugnazione di quest'ultima;

c)

la partecipazione al giudizio del pubblico ministero;

d) il potere di acquisizione degli atti istruttori compiuti nella causa dal commissario che ha pronunciato la decisione impugnata;

e)

l'obbligo di comunicazione della sentenza che definisce il giudizio al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a cura della cancelleria.

Le modifiche apportate dal d.lgs. 150/2011 all'appello contro le decisioni in materia di usi civici

L'oggetto del giudizio di appello.

L'

art. 33, d.lgs. 150/2011

, comma 1, dispone

«l'appello contro le decisioni dei commissari regionali di cui all'

art. 32, l. 16 giugno 1927, n. 1766

». Parallelamente,

l'

art. 34 del d.lgs. 150/2011

abroga i commi 2-5 dell'

art. 32 della

l. 16 giugno 1927, n. 1766

, e gli

artt. 2-8 della l. n. 1078/1930

che, prima dell'ultimo intervento normativo, ne regolavano la disciplina processuale.

Non è pertanto mutato, consistendo, ora come allora, nell'impugnazione avverso

le questioni concernenti l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti di cui all'

art. 1 legge 1766/1927

, e la rivendicazione delle terre, così come disponeva l' art. 32 cit. È inutile indugiare sulle ragioni per cui il legislatore delegato ha limitato il proprio intervento all'appello avverso le decisioni commissariali.

È necessario però ricordare, per definire esattamente l'oggetto del giudizio di appello avverso le decisioni commissariali, come secondo la giurisprudenza del Supremo Collegio

le decisioni dei commissari agli usi civici siano soggette a reclamo o a ricorso per Cassazione, rispettivamente ai sensi della

l. 16 giugno 1927, n. 1766

, art. 32 e dell'

art. 111 Cost.

, a seconda che concernano «l'esistenza, la natura e la estensione» dei diritti di promiscuo godimento, «la qualità demaniale del suolo o l'appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni» e «la rivendicazione delle terre», oppure ogni diversa questione (

Cass.

civ.

, sez. U., 16 dicembre 1986, n. 7540

; Cass. civ., 23 giugno 1990, n. 424)

. In quest'ultimo caso, l'impugnazione deve essere proposta nel termine ordinario di sessanta giorni della notificazione della sentenza, anziché in quello ridotto di quarantacinque, stabilito per i ricorsi avverso le sentenze pronunciate in secondo grado dalla sezione speciale

(

Cass. civ.,

sez. U., 22 ottobre 2007, n. 22056

; Cass. civ., sez. U., 13 aprile 1970, n. 1013; Cass. civ., 26 aprile 1977, n. 1548.)

. Sono ad esempio ipotesi di sentenze impugnabili direttamente in Cassazione ex

art. 111 Cost.

, e non con reclamo/appello, quelle relative ai criteri di liquidazione o al regime giuridico dei beni delle università agrarie.

Ne consegue che il reclamo alle sezioni speciali della Corte d'appello costituisce l'unico rimedio contro le sentenze del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici anche nei capi relativi ai provvedimenti direttamente connessi, preliminari o consequenziali alla pronuncia concernente l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti di uso civico o la rivendicazione delle terre, come quelli dichiarativi della nullità di convenzioni, di atti amministrativi e, in genere, di atti di disposizione di terreni che risultino gravati da usi civici (

Cass.

civ.

, sez. U., 11 settembre 2003, n. 13352

).

La prima differenza tra la precedente formulazione dell'art. 32 e l'attuale disposto dell'articolo in commento è, certamente, il riferimento all'appello, piuttosto che al reclamo; pur se, come è stato evidenziato, l'

art. 34, c

omma

41, lett.

a)

,

d.lgs. 150/

2011

, dispone la modifica del comma 1 della disposizione, utilizzando ancora l'espressione «reclamo»

e rinviando, per la relativa regolamentazione, all'art. 33 del decreto stesso.

La disciplina procedimentale è senz'altro quella ordinaria, e l'impugnazione senz'altro un appello, come confermato dagli ulteriori commi dell'articolo in commento, e, pertanto, pare ovvio che il dettato dell' rt. 34 sia semplicemente una svista del legislatore.

L'appello, regolato dal rito ordinario di cognizione, salvo

il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», si propone, secondo le regole ordinarie, con atto di citazione nel termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato.

Alla stregua di quanto già previsto dalla disciplina previgente, esso va

notificato a tutti coloro che hanno interesse ad opporsi alla domanda di riforma della decisione impugnata; al giudizio partecipa il pubblico ministero.

Il previgente comma 4, art. 32, l. n. 1776/1927, stabiliva che «

Quando la Corte di appello, riformando la sentenza del commissario, non decida definitivamente in merito, dovrà sempre rinviare la causa per il corso ulteriore al commissario». Si è giustamente evidenziato che l'abrogazione della previsione, operata sic et simpliciter, senza recepimento, dall'

art. 34 del d.lgs. 150/2011

, fa sì che

la disciplina dei casi in cui sia imposta la decisione del merito e quelli in cui sia invece prevista la rimessione al primo giudice, necessariamente il commissario, sia quella prevista per il giudizio d'appello, a mente degli

artt. 353

e

354 c.p.c.

.

La competenza

Nel rispetto della delega, sono state tenute ferme sia l'individuazione che la composizione dell'organo giudicante, che rimane la Corte d'appello in grado unico di merito, e la competenza territoriale, individuata nella Corte d'Appello di Palermo, per i provvedimenti pronunciati dal commissario regionale per la liquidazione degli usi civici per la Regione Sicilia, e nella Corte d'Appello di Roma, per i provvedimenti pronunciati dei commissari delle restanti regioni.

Ne deriva una ulteriore differenza rispetto al rito ordinario di cognizione, atteso che si deroga, per espresso dettato legislativo, alla competenza orizzontale. Abbiamo già visto come fosse

l'

art. 2, l. n. 1078/1930

a prevedere che le decisioni dei commissari degli usi civici che decidono sull'esistenza, natura ed estensione dei diritti di uso civico, fossero reclamabili dinnanzi alla sezione speciale della Corte d'Appello di Roma; ed abbiamo altresì già accennato al fatto che il

d.lgs. 10 marzo 1948, n. 141

ha a sua volta istituito una sezione speciale della Corte d'Appello per la materia degli usi civici per la Sicilia a Palermo.

Come da regola generale, non modificata dalla attuale disciplina, questa competenza speciale delle due Corti d'Appello citate si radica, anche se le sentenze commissariali riguardano controversie accessorie, come ad esempio l'ipotesi della nullità degli atti di disposizione.

L'appello contro le decisioni preparatorie o interlocutorie

Ai sensi del quarto comma della norma in commento «

l'appello contro decisioni preparatorie e interlocutorie può essere proposto soltanto dopo la decisione definitiva e unitamente all'impugnazione di questa».

La previsione ripete il disposto dell

' art. 32 della

l. n. 1766/1927

,

secondo cui il reclamo contro decisioni preparatorie o interlocutorie può essere proposto solamente dopo la decisione definitiva ed unitamente al reclamo contro questa. Sicché, come già rilevato, emerge una differenza tra le decisioni appunto preparatorie o interlocutorie e le decisioni definitive, quindi suscettibili di reclamo alla Corte d'appello. Ai sensi dell'

art. 32, comma 3, l. 1766/27

, esse sono le decisioni che, sebbene non esauriscano l'intero giudizio, risolvono questioni concernenti l'esistenza, la natura o l'estensione dei diritti di uso civico (

Cass.

civ.

, sez. U., 25 luglio 2006, n. 16891

; Cass. civ., 12 marzo 1991, n. 2571;

Cass.

civ.,

15 maggio 1996, n. 4507

).

Si concorda con la dottrina che ha affermato che forse questa sarebbe stata l'occasione giusta per mutare la formulazione della previgente disposizione che, seppur non del tutto in linea con i tempi, sanciva l'impugnazione differita per le sentenze preparatorie e interlocutorie. Il nostro legislatore ripete la formula pedissequamente senza, evidentemente, porsi il problema di comprendere a cosa l'espressione facesse concreto riferimento, forse anche per il timore di sbilanciarsi in un senso o nell'altro.

Alla luce, pertanto, della non chiara disposizione normativa del 1927, soccorre necessariamente l'interpretazione giurisprudenziale e dunque sono decisioni definitive, suscettibili di appello, quelle che, sebbene non esauriscano l'intero giudizio, risolvano questioni concernenti l'esistenza, la natura o l'estensione dei diritti di uso civico. A maggior ragione sono definitive, e, quindi, suscettibili di appello immediato, quelle che esauriscono il giudizio; viceversa, quelle che non decidono di questioni attinenti all'esistenza, natura o estensione dei diritti di uso civico e che, comunque, non esauriscono il giudizio nel merito, devono essere ritenute non definitive. La Suprema Corte ha ritenuto che il riferimento alle decisioni preparatorie, contenuto nell'ormai abrogato art. 32 cit., fosse un provvedimento irretrattabile e con natura sostanziale di sentenza e coincidente con le sentenze che decidono questioni pregiudiziali di rito.

Per esse vale, ad onta del regime attuale dell'impugnazione delle sentenze non definitive in appello, la necessità di impugnazione insieme con la sentenza definitiva.

È noto, infatti, che a seguito della novella del 1950, che ha capovolto il regime in precedenza previsto dal codice di rito, contro la sentenza non definitiva può essere proposta impugnazione immediata e, come eccezione, è possibile differire l'appello facendone riserva.

E, quindi, sostanzialmente, il regime dei provvedimenti commissariali appellabili è identico a quello previsto, a seguito della riforma del processo civile del 2006, per l'impugnazione in Cassazione dall' art. 360, comma 3. In base a quest'ultima previsione non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio; senza necessità di riserva, infatti, il ricorso in cassazione è proponibile solo dopo l'emanazione di una sentenza che decida, anche solo in via parziale, il giudizio. Nel nuovo sistema è quindi preclusa l'immediata proposizione del ricorso in cassazione contro le sentenze c.d. non definitive, poiché è stata introdotta una specie di riserva di legge che prescinde del tutto dall'istanza della parte; mentre è possibile, ex

art. 361, comma 1, c.p.c.

, proporre immediatamente ricorso in cassazione contro le sentenze di condanna generica e quelle che decidono una o più domande senza definire il giudizio.

Forse la logica che ha indotto il legislatore del 2011 a mantenere la previsione in parola è stata proprio quella di derogare alla disciplina prevista per l'impugnazione delle sentenze non definitive in appello. Ma allora non sarebbe stato più semplice eliminare del tutto la previsione, stabilendo però che tra le norme del rito ordinario di cognizione applicabili al procedimento commissariale in appello non vi fosse la riserva d'impugnazione? Questa esclusione avrebbe consentito l'impugnazione delle non definitive unicamente con la definitiva, elevando a regola generale quella posta dall'

art. 360 c.p.c.

, evitando, altresì, il problematico e antistorico riferimento alle decisioni interlocutorie e preparatorie.

Gli adempimenti procedimentali

A norma dell'attuale comma 5 dell'

art.

33, d.lgs. 150/2011

«L'atto di citazione è notificato a tutti coloro che hanno interesse ad opporsi alla domanda di riforma della decisione impugnata e al giudizio partecipa il pubblico ministero».

La norma rinnova il precedente disposto dell'

art. 4, comma

1

, l. n. 1078/1930

, che disponeva che i

l reclamo dovesse essere notificato, nel termine indicato nell'

art. 32, l. 16 giugno 1927, n. 1766

, a tutti coloro che avessero interesse ad opporsi alla domanda di riforma della decisione impugnata con termine a comparire non minore di giorni venti né maggiore di trenta.

Il termine per l'appello, come detto, è di trenta giorni dalla notificazione della sentenza commissariale; e, pertanto, in base all'odierna previsione esso va notificato, in forma di citazione, a tutti coloro che hanno interesse a opporsi alla riforma della sentenza, con un termine per comparire che segue le regole ordinarie. Si applicano gli

artt. 165

e

166 c.p.c.

, norme in precedenza ritenute inapplicabili al giudizio d'appello contro le decisioni commissariali (Corte App. Roma, 13 aprile 1993, in Giur. merito, 1993, 1173).

Peraltro la espressa conservazione della disposizione contenuta nell'

art. 32, comma

2

, l. 1927/1766

relativa alla notificazione a tutti i controinteressati, fa sì che, ora come in precedenza, la disposizione integri una

norma processuale speciale che, in deroga all'

art. 331, comma 1, c.p.c.

, esclude la possibilità di integrare il contraddittorio dopo la scadenza di questo termine nei confronti dei litisconsorti necessari pretermessi, limitatamente a quelli interessati ad opporsi alla domanda di riforma della decisione impugnata, conservando invece questa possibilità nei confronti dei litisconsorti che, soccombenti in primo grado, hanno interesse ad aderire alla domanda.

È l'

art. 3, l. n. 1078/1930

a stabilire che il giudizio abbia luogo con l'intervento del Pubblico ministero, il quale, a norma di questa disposizione ora abrogata «vi esercita tutte le facoltà che competono alle parti e prende le sue conclusioni per iscritto». A tal fine, il comma 2 del citato

art. 4 della l. n. 1078/1930

, prevedeva che i

l reclamo dovesse essere comunicato al procuratore generale presso la Corte di appello. Il legislatore del 2011, nel quinto comma dell'articolo in commento, si limita a prevedere, come visto, che al giudizio partecipi il pubblico ministero.

La definizione non proprio lineare dell'

art. 4, l. n. 1078/1930

, ormai abrogato, poteva quasi far ritenere che nel caso di specie si vertesse in tema di intervento del P.M. nelle cause che egli stesso avrebbe potuto proporre; ciò perché la norma, come visto, faceva riferimento all'esercizio di «tutte le facoltà che competono alle parti». Ove si fosse acceduto a questa soluzione, il P.M. nel giudizio commissariale avrebbe avuto anche il potere di ampliare il thema decidendum, ovviamente nei limiti del proprio potere d'azione.

Si tratta, invece, certamente, di un intervento obbligatorio del P.M. analogo a quello esercitato nei casi previsti dall'art. 70, comma 1, nn. 2-3-5, ove il P.M. ha il potere di produrre documenti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti. Ancoraggio al petitum e alla causa petendi formulate dalle parti che, come è noto, non esclude che il P.M. possa formulare conclusioni anche opposte rispetto a quelle precisate dalle parti, visto che la sua partecipazione al giudizio ha la funzione di assicurare una corretta applicazione della legge. D'altro canto, l'ancoraggio dei suoi poteri ai limiti delle domande proposte dalle parti, consente di affermare che anche in questo caso il P.M. è condizionato alla disponibilità del processo dalle parti private e manca di un potere di impugnazione.

Corretta pare in ogni caso l'abrogazione del

secondo comma del citato

art. 4, l. n. 1078/1930

, che prevedeva che i

l reclamo dovesse essere comunicato al procuratore generale presso la Corte di appello. Ciò perché una norma speciale risultava assolutamente inutile attesa la vigenza dell'

art. 71 c.p.c.

, applicabile certamente al procedimento in esame, secondo cui il giudice dinanzi a cui è proposta una delle cause ex

art. 70 c.p.c.

ordina la comunicazione degli atti al P.M. affinché questi possa intervenire.

Poiché sono stati abrogati gli

art

t

. 5

e

6

della l. n. 1078/1930

,

anche rispetto all'esibizione in giudizio di

atti e documenti si applicano integralmente le regole della fase introduttiva e della trattazione/istruzione di cui agli

artt. 342 ss c.p.c.

A norma del comma 7 dell'

art. 33, d.lgs. n. 150/2011

, «La sentenza che definisce il giudizio è comunicata, a cura della cancelleria, al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali». La disposizione ripete, con qualche modifica, il disposto del previgente

art. 7, l. n. 1078/1930

, secondo il quale l

a notificazione della sentenza della Corte di appello è fatta dalla cancelleria, d'ufficio, mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti col mezzo del servizio postale. La norma stabiliva, insieme con la previsione della «notificazione» alle parti del dispositivo, anche che la sentenza fosse altresì comunicata al Pubblico ministero ed al Ministero delle politiche agricole e forestali.

Mentre il legislatore del 2011 mantiene la previsione, non ottenibile tramite il ricorso alle disposizioni del rito ordinario, della comunicazione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, viene meno, come visto, la disposizione che prevedeva la notificazione-comunicazione d'ufficio alle parti. Pertanto la disciplina sarà quella ordinaria, senza eccezioni, ai fini della notificazione della sentenza che decide in grado di appello.

Viene meno quindi il profilo problematico dovuto alla considerazione che, a

i sensi dell'

art. 8, l. 10 luglio 1930 n. 1078

, il ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d'appello, emessa sul reclamo contro le decisioni dei commissari regionali per la liquidazione degli usi civici, deve proporsi nel termine di quarantacinque giorni dalla notificazione della medesima, tale dovendosi considerare, a norma dell'art. 2 della citata legge, la notificazione a mezzo del servizio postale del dispositivo della sentenza a cura della cancelleria. Dunque la notifica della stessa ad istanza delle parti non era ritenuta idonea a modificare la sequenza cronologica voluta dalla legge.

Il ricorso in Cassazione

Norme speciali erano altresì dettate dalla

l. n. 1078/1930

per il ricorso in cassazione; le sentenze della Corte d'Appello erano infatti ricorribili in cassazione, nel termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione del dispositivo. Il Supremo Collegio ha specificato che il termine decorre dalla notificazione a mezzo del servizio postale del dispositivo della sentenza a cura della cancelleria, mentre la notifica della stessa ad istanza delle parti non è idonea a modificare la sequenza cronologica voluta dalla legge; siffatta disciplina, non abrogata dal vigente codice di procedura civile, non è in contrasto con gli

ar

t

t. 3

e

24 C

ost.

, perché la diversità trova giustificazione nelle peculiarità del procedimento in materia di usi civici ed è comunque consentita un'adeguata possibilità di difesa (in termini

Cass.

c

iv.

, sez. U., 5 ottobre 2009, n. 21193

).

Si tenga presente che il ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di reclamo dalla Corte d'appello - sezione speciale usi civili - non va notificato al P.M. presso il giudice a quo, atteso che tale organo, nel procedimento in materia di usi civici disciplinato dalle disposizioni della

l. n. 1078 del 1930

, pur essendo tenuto per legge ad intervenire, non è titolare di un autonomo diritto di impugnazione (

Cass.

civ.

, sez. U., 23 novembre 2000, n. 1197

). In base alla regola generale, ma con disposizione reiterata dall' art. 8 della l. n. 1078, in caso di sentenza cassata, la causa doveva essere rinviata alla stessa Corte di appello di Roma, la quale doveva conformarsi alla decisione della Corte di cassazione sul punto di diritto della pronuncia.

Mentre, almeno negli intenti, il legislatore del 2011 non incide sul giudizio di cassazione avverso la sentenza di secondo grado, limitandosi, per espresso dettato dell'articolo in commento, a riformare il giudizio d'appello, tuttavia l'

art. 34 del d.lgs. n. 150/2011

, comma 42, abroga gli

artt. 2-8 della l. n. 1078/1930

, alcuni dei quali relativi al procedimento di appello (reclamo) e dunque sostituiti dalla nuova disciplina, altri invece (precisamente gli artt. 7-8), disciplinanti il giudizio di cassazione.

In particolare, l'art. 7 prevedeva la notifica della sentenza della Corte d'appello ad opera della cancelleria, e dunque in via ufficiosa, «

mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti col mezzo del servizio postale»;

l' art. 8 determinava invece il termine breve di quarantacinque giorni dalla notifica ufficiosa per la proposizione del ricorso in cassazione e prevedeva, a seguito della cassazione, il rinvio alla Corte d'appello di Roma.

Ci si è domandati se, con riferimento alla attuale disciplina del ricorso in cassazione contro la decisione d'appello, debba prevalere la limitazione dei nova normativi alla sola fase di appello, o se il riferimento alle

«controversie previste dal presente comma»,

operato dal nuovo testo dell'

art. 32 della l. n. 1766/1927

, unito alla rubrica dell'art. 33 in commento che fa generico riferimento alle «

controversie in materia di liquidazione degli usi civici», faccia sì che vada attratto nella disciplina ordinaria ex

art. 360 e ss. c.p.c.

anche il giudizio di Cassazione.

Il dubbio non sembra essere a monte prospettabile, ove si consideri che l'espressa abrogazione degli

artt. 7-8, l. n. 1078/1930

rendeva necessario sostituire la “speciale” disciplina ivi prevista con una disciplina ad hoc che, se non dettata dall'articolo in commento, deve essere necessariamente ricondotta a quella ordinaria. Sicché l'esplicito riferimento all'appello per la riconduzione al rito ordinario di cognizione sembra dettato soltanto dall'esigenza di limitare le norme «speciali» conservate dall'art. 33 al giudizio di appello, e di ricondurre integralmente alla disciplina codicistica il giudizio di cassazione.

Quali siano le conseguenze pratiche di questa affermazione è d'evidenza. Viene meno la previsione della notifica della sentenza d'appello ad opera della cancelleria, tramite invio del dispositivo a ciascuna delle parti con il servizio postale. Dunque la notifica della sentenza d'appello segue le regole ordinarie;

in difetto di tale notifica, il ricorso resta proponibile nel termine di decadenza di cui all'

art. 327 c.p.c.

. Il termine, a norma dell'

art. 325 c.p.c.

, passa quindi da quarantacinque giorni a sessanta giorni, secondo le regole generali.

Il ricorso per cassazione, ai sensi dell'

art. 111 Cost.

, avverso la pronuncia resa in unico grado giurisdizionale dal commissario regionale per la liquidazione degli usi civici, deve essere proposto, come già in precedenza, nel termine di sessanta giorni dalla data della notificazione della pronuncia a cura delle parti e non più dalla notificazione del dispositivo, effettuata d'ufficio dalla segreteria del commissario, attesa l'abrogazione dell'

art. 2, l. n. 1078/1930

.

Il ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di appello dalla Corte d'appello - sezione speciale usi civici - non va invece notificato al P.M. presso il giudice a quo, posto che, nel procedimento in questione, tale organo, pur essendo tenuto per legge ad intervenire, non è titolare di un autonomo diritto di impugnazione.

Sommario