07 Luglio 2017

L'art. 50-bis c.p.c., introdotto dall'art. 56 del d.lgs. n. 51/1998, riserva alla decisione del collegio tutte le cause prima previste dall'art. 48 ord giud., tranne i giudizi di appello, i giudizi divisori, oltre che ogni ulteriore controversia relativa a rapporti sociali nelle società, nelle mutue assicuratrici e società cooperative nelle associazioni in partecipazione e nei consorzi.
Inquadramento

L'art. 50-bis c.p.c., introdotto dall'art. 56, d.lgs. n. 51/1998, riserva alla decisione del collegio tutte le cause prima previste dall'art. 48 ord giud., tranne i giudizi di appello, i giudizi divisori, oltre che ogni ulteriore controversia relativa a rapporti sociali nelle società, nelle mutue assicuratrici e società cooperative nelle associazioni in partecipazione e nei consorzi. Vengono aggiunte, rispetto all'impianto originario della parallela disposizione dell'ord. Giud., le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima, oltre che le cause relative all'impugnazione delle deliberazioni assembleari e del consiglio di amministrazione e le cause di ricusazione di uno dei componenti del Tribunale o della Corte d'Appello.

La norma sposa la vocazione per la decisione monocratica, riducendo la decisione collegiale a semplice eccezione. Mentre l'art. 50-bis c.p.c. indica quali siano in concreto le ipotesi di collegialità della decisione, l'art. 50-ter c.p.c. stabilisce che, fuori dai casi previsti dalla norma dell'art. 50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica.

In evidenza

L'art. 50-bis c.p.c., introdotto dall'art. 56, d.lgs. n. 51/1998, riserva alla decisione del collegio tutte le cause prima previste dall'art. 48 ord giud., tranne i giudizi di appello, i giudizi divisori, oltre che ogni ulteriore controversia relativa a rapporti sociali nelle società, nelle mutue assicuratrici e società cooperative nelle associazioni in partecipazione e nei consorzi. Vengono aggiunte, rispetto all'impianto originario della parallela disposizione dell'ord. Giud., le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima, oltre che le cause relative all'impugnazione delle deliberazioni assembleari e del consiglio di amministrazione e le cause di ricusazione di uno dei componenti del Tribunale o della Corte d'Appello.

La norma sposa la vocazione per la decisione monocratica, riducendo la decisione collegiale a semplice eccezione. Mentre l'art. 50-bis c.p.c. indica quali siano in concreto le ipotesi di collegialità della decisione, l'art. 50-ter c.p.c. stabilisce che, fuori dai casi previsti dalla norma dell'art. 50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica.

Cause nelle quali è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero

Ai sensi dell'art. 50-bis, primo comma, n. 1, il tribunale giudica in composizione collegiale nelle cause in cui è obbligatorio l'intervento del p.m. Il riferimento è senz'altro ai casi di intervento ex art. 70 c.p.c.ma anche a quelli in cui il p.m. ha il potere di agire in giudizio ai sensi dell'art. 69 c.p.c..

Ricordo a tal fine che il P.m. agisce nei casi previsti dall'art. 69 c.p.c. che, con una norma in bianco, stabilisce che il p.m. esercita l'azione civile nei casi stabiliti dalla legge. Sono casi tassativi che si possono dividere in due categorie: una legittimazione attribuita al P.m. in via esclusiva (per esempio l'impugnazione del contratto di lavoro stipulato in violazione delle norme sul collocamento o la dichiarazione dello stato di adottabilità); una legittimazione concorrente o sussidiaria rispetto al titolare del rapporto sostanziale (esempio, l'impugnazione del matrimonio nei casi di cui all'art. 117 c.c.; il ricorso per provvedimenti limitativi della potestà parentale; la denuncia al tribunale di gravi irregolarità di amministratori e sindaci di società). In questi casi si configura una legittimazione straordinaria del p.m. perché il giudizio verte su diritti che non sono suoi ma di altri soggetti. Per quanto riguarda il P.m. interveniente si distingue tra intervento obbligatorio e intervento facoltativo.

L'intervento è obbligatorio nelle cause che egli stesso avrebbe potuto proporre ex art. 69 c.p.c.; nelle cause matrimoniali comprese quelle di divorzio e separazione dei coniugi; nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone; nelle cause relative alla querela di falso; nelle cause di competenza del Tribunale per i minorenni e in tutte le altre espressamente previste dalla legge. Sono controversie in cui l'ordinamento ritiene che si profilino per la loro natura esigenze della comunità di garantire il pubblico interesse con la presenza di un organo indipendente.

La partecipazione del p.m. era, finora, obbligatoria nei giudizi davanti alla Corte di Cassazione, con l'intento di favorire così la funzione di nomofilachia; il relativo intervento si estrinsecava nella requisitoria scritta, nel rito in camera di consiglio e nella requisitoria orale nella pubblica udienza. Adesso, la legge 9 agosto 2013, n. 98, ha modificato gli artt. 70 e 380-bis c.p.c. e l'art. 76, T.U. dell'Ordinamento Giudiziario. Mentre nella precedente formulazione l'art. 70, comma secondo, prevedeva che il p.m. dovesse intervenire in ogni causa davanti alla Corte di Cassazione, il nuovo secondo comma prevede che esso: “Deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge”. Ciò significa che il p.m. non deve intervenire in ogni caso nei giudizi davanti alla Corte. Quali siano in concreto i casi cui la norma fa rinvio si deduce dall'art. 380-bis c.p.c., secondo comma, e dall'art. 76 Ord. Giud.; ai sensi della prima norma quando il Presidente pronuncia il decreto di fissazione dell'adunanza della Corte, il decreto e la relazione sono notificati agli avvocati delle parti (in precedenza anche al p.m.); ai sensi della seconda, nella attuale versione, “Il pubblico ministero presso la Corte di Cassazione interviene e conclude:a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni Unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'art. 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile. 2. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione redige requisitorie scritte nei casi stabiliti dalla legge”.

In sostanza la figura del P.m. è stata eliminata dai procedimenti in camera di consiglio e permane unicamente nel caso di pubblica udienza.

L'intervento del P.m. è facoltativo in ogni causa in cui ravvisi un pubblico interesse. In questa forma egli esercita le proprie attribuzioni dirette a far osservare le norme di ordine pubblico.

Sia nell'intervento obbligatorio che in quello facoltativo le modalità di partecipazione sono lasciate alla libera scelta del P.m.

Cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti di cui al r.d. 16 marzo 1942 n. 267 e alle altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa

L'art. 50-bis c.p.c., primo comma, ai nn. 2 e 4, riserva alla decisione collegiale le cause in oggetto. Si è giustamente evidenziato come la norma debba fare i conti con la proliferazione e stratificazione legislativa in argomento, sicché è necessario verificare volta per volta se operi la riserva di collegialità o meno. In particolare rispetto alle leggi previgenti dovrebbe prevalere l'art. 50-bis c.p.c., mentre rispetto alle leggi successive esse dovrebbero prevalere rispetto alla norma codicistica, in base alle regole generali (Delle Donne, 845).

Si può quindi dire, rispetto alla normativa fallimentare, che la riserva di collegialità opera senz'altro per la dichiarazione di fallimento nonché per i giudizi di opposizione, impugnazione e revocazione dello stato passivo una volta dichiarato esecutivo; mentre per l'amministrazione straordinaria è soggetto alla riserva di collegialità la dichiarazione dello stato di insolvenza e le controversie sull'accertamento del passivo e sulla approvazione del concordato (Delle Donne, 846).

Dubbia l'attribuzione al giudice monocratico o collegiale delle azioni revocatorie su cui la dottrina propende per la collegialità, la giurisprudenza di merito per la soluzione opposta (per un esame della dottrina sul punto si veda Delle Donne, 845; in giur. nel senso della devoluzione alla cognizione del giudice monocratico di Tribunale si veda Trib. Prato 10 novembre 2009).

Cause devolute alle sezioni specializzate

Ai sensi dell'art. 50-bis, primo comma, nr. 3, sono riservate alla decisione collegiale le cause devolute alle sezioni specializzate. Queste sono le Sezioni Specializzate istituite dalla l. n. 69/1963 (professione di giornalista); le Sezioni specializzate agrarie; le Sezioni specializzate per la proprietà industriale e intellettuale (trasformate dal D.lgs. n. 168/2003 nelle Sezioni Specializzate in materia di impresa); il Tribunale dei minorenni in materia civilistica; vi rientrano altresì I Tribunali regionali delle acque pubbliche che sono costituiti da una sezione della Corte di Appello con integrazione di tre esperti.

Cause di impugnazione delle delibere assembleari e del consiglio di amministrazione e cause di responsabilità

Nelle cause in oggetto, che sono state ridotte nell'introduzione dell'art. 50-bis c.p.c. rispetto alla originaria previsione dell'art. 48 ord. Giud. (essendo state escluse le controversie relative a rapporti sociali nelle società, nelle mutue assicuratrici e società cooperative, nelle associazioni in partecipazione e nei consorzi), tendenzialmente la riserva di collegialità è limitata alle azioni di responsabiità e alle cause di impugnazione delle delibere assembleari.

Tuttavia, come ha giustamente evidenziato la dottrina (Delle Donne, 849), le disposizioni normative vigenti in materia impongono anche per le cause escluse il procedimento camerale ex art. 737 e ss. sicché, anche laddove non rientranti, a livello di elencazione, nella previsione dell'art. 50-bis, le cause in questione sarebbero attratte alla collegialità in virtù delle previsioni di diritto sostanziale.

Cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima, cause per la responsabilità dei magistrati, cause ex art. 140-bis Cod. Cons.

Queste due previsioni sono contenute nei nn. 6 e 7 dell'art. 50-bis c.p.c..

Esse comprendono qualunque ipotesi di impugnativa del testamento nel primo caso (quindi comprese le azioni di nullità e annullamento dello stesso, purché relative alla validità dell'atto, stante il richiamo alla natura impugnatoria) e, nel secondo caso, le norme relative al giudizio di responsabilità del magistrato, nessuna azione esclusa.

L'ultima ipotesi, quella relativa alle cause ex art. 50-bis cod. cons., non inserita all'interno dell'art. 48 ord. Giud., è stata poi introdotta nell'art. 50-bis c.p.c. con legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Procedimenti in camera di consiglio

Per quanto riguarda i procedimenti in camera di consiglio, questa previsione è contenuta nell'ultimo numero dell'art. 50-bis c.p.c., come già nell'art. 48 ord. Giud., in cui, tuttavia, il riferimento era più generico non essendovi il richiamo specifico agli artt. 737 e ss. c.p.c. Questo richiamo dei procedimenti camerali ha indotto a ritenere che la riserva di collegialità potesse essere nell'intento legislativo limitata ai procedimenti di giurisdizione volontaria così come la dottrina aveva già affermato rispetto alla versione contenuta nell'art. 48 ord. Giud. (Civinini, 399; Laudisa, 2-3). La dottrina, tuttavia, si è indirizzata verso l'opposta soluzione e afferma, attualmente, che il riferimento alla decisione in camera di consiglio, indipendentemente dal procedimento o dalla forma del provvedimento finale, è sufficiente per ritenere operante la riserva di collegialità, a meno che le disposizioni normative non prevedano diversamente (Olivieri, 472).

Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale

A norma dell'art. 50-quater c.p.c., le disposizioni di cui agli artt. 50-bis e 50-ter non si considerano attinenti alla costituzione del giudice. Alla nullità derivante alla loro inosservanza si applica il principio della conversione dei vizi di nullità in motivi di impugnazione di cui all'art. 161, primo comma, c.p.c..

In sostanza i rapporti tra giudice monocratico e collegio non vengono configurati in termini di competenza ma unicamente di riparto interno di attribuzioni tra organi dello stesso ufficio giudiziario. Il principio è confermato dalla giurisprudenza con riferimento al rapporto tra sede principale e sezione distaccata che non possono mai comportare questioni di competenza (Cass. 26 aprile 2010, n. 9915). La conseguenza di tale impostazione è che, una volta accertata dal giudice d'appello la nullità della sentenza per violazione delle regole sulla ripartizione interna, non potrà rimettere la causa al primo giudice (per tutte Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28040).

In evidenza

L'articolo 50-quater c.p.c. prevede espressamente che le disposizioni di cui agli art. 50-bis e 50ter non si considerano attinenti alla costituzione del giudice e che alla nullità derivante dalla loro inosservanza si applica l'art. 161, comma 1, c.p.c., norma, questa ultima che, nel prevedere a sua volta il principio generale della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione si riconnette all'art. 354 c.p.c. che prevede espressamente i casi di nullità che comportano la rimessione degli atti al primo giudice. Con la conseguenza - quindi - che non essendo prevista tra tali casi anche la nullità per essere stata la sentenza di primo grado emessa dal giudice monocratico e non invece, come avrebbe dovuto essere, dal collegio, correttamente il giudice di appello decide la causa nel merito (Cass. 22 marzo 2016, n. 5598; Cass. 18 giugno 2014, n. 13907).

Riferimenti
  • C. Delle Donne, sub artt. 50-bis, ter e quater, in Commentario del Codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012, vol. I, T. 1, 833 e ss.;
  • Auletta, Commento sub artt. 50-bis e 50-quater, in Commentario Verde-Vaccarella, Agg. 2001, Torino, 2001, 132 e ss.;
  • Olivieri, Il giudice unico di primo grado nel processo civile (Tribunale monocratico e collegiale. Sede principale e sezioni distaccate), in Giust. civ., 2998, II, 466 e ss.

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