Competenza nelle controversie in materia di lavoro

16 Maggio 2016

Competenza funzionale ed inderogabile, che si sostanzia nell'attribuzione delle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. al tribunale del lavoro, quale che ne sia il valore.
Inquadramento

La norma fondamentale in materia di competenza nel rito del lavoro è rappresentata, sotto il profilo sostanziale, dall'art. 413 c.p.c., rubricata «giudice competente» che introduce, al primo comma, la fondamentale regola di competenza per materia o funzionale, secondo cui le controversie previste dall'art. 409 c.p.c. sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro e, ai commi successivi, i criteri di radicamento della competenza per territorio, la cui applicazione è, logicamente, successiva all'accertamento della sussistenza di competenza per materia del giudice del lavoro.

Trattasi di competenza funzionale ed inderogabile, che si sostanzia nell'attribuzione delle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. al tribunale del lavoro, quale che ne sia il valore, riconducibili alle fondamentali categorie dei rapporti di lavoro subordinato privato e del pubblico impiego privatizzato, nonché dei rapporti di agenzia e parasubordinazione.

È, tuttavia, opportuno precisare che l'individuazione delle controversie da trattare con il rito speciale del lavoro in luogo del rito ordinario, sulla base dell'elencazione contenuta nell'art. 409 c.p.c., non concerne regole di competenza in senso stretto e proprio, attenendo viceversa alla ripartizione di affari interni all'ufficio giudiziario, con ogni conseguenza in ordine all'inesperibilità del regolamento di competenza avverso le relative decisioni (Cass. civ., sez. VI, 5 maggio 2015, n. 8905).

L'art. 428 c.p.c. regola i profili processuali dell'eccezione e del rilievo di incompetenza del giudice del lavoro, calibrati sulle specificità del rito laburistico, configurando modalità non del tutto coincidenti con quelle stabilite per il rito ordinario ed aprendo il campo, in ragione della sua criptica formulazione, ad una serie di questioni ermeneutiche che verranno analizzate nel paragrafo dedicato.

In evidenza

Le controversie di cui all'art. 409 nn. 1, 3, 4 e 5c.p.c., quale che ne sia il valore, sono devolute al tribunale in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, sulla base dei criteri di competenza per territorio di cui all'art. 413 c.p.c..

Le controversie attribuite alla cognizione del giudice del lavoro

Il richiamo, operato dall'art. 413, comma 1, all'art. 409 c.p.c., consente di definire, con adeguato grado di completezza, lo spettro delle controversie la cui trattazione, da un lato, è assoggettata alle norme del rito speciale del lavoro, previsto al libro II titolo IV del codice di rito e, dall'altro, innesca la competenza per materia del tribunale in composizione monocratica, in funzione di giudice del lavoro.

La prima categoria di controversie è quella dei rapporti di lavoro subordinato privato, benché in assenza di formalizzazione o con diversa formalizzazione, previa verificazione in concreto della ricorrenza degli indici di subordinazione di cui all'art. 2094 c.c., di natura primaria o secondaria, dalla giurisprudenza indicati nella collaborazione, continuità della prestazione lavorativa, inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale ed assoggettamento dello stesso al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 8 aprile 2015, n. 7024; Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2015, n. 66). Nell'alveo dell'ampia nozione di rapporto di lavoro subordinato rientrano le molteplici tipologie codificate dalla legislazione speciale stratificatasi nel tempo, tra le quali meritano menzione, per la particolare diffusione attuale, il lavoro domestico e quello del socio lavoratore di cooperativa, disciplinato dalla l. 142/2001.

La seconda macro area è costituita dai rapporti di agenzia e da quelli caratterizzati dalla parasubordinazione, vale a dire da prestazioni d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, svolte in connessione o collegamento con il preponente, per il perseguimento delle finalità cui esso mira. In assenza di tali caratteristiche e, a fortiori, di quelle della subordinazione, il rapporto deve considerarsi alla stregua di lavoro autonomo ai sensi dell'art. 2222 c.c., la cui cognizione è devoluta al giudice ordinario. La vasta area dei rapporti parasubordinati ha trovato una fondamentale regolamentazione normativa ad opera del d.lgs. 276/2003 (cd. riforma Biagi), che ha introdotto la figura dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, da ultimo oggetto di abrogazione da parte del d.lgs. n. 81/2015.

Del pari devolute alla cognizione del giudice del lavoro e trattate con il rito speciale sono le controversie del cd. pubblico impiego privatizzato, aventi ad oggetto i rapporti promananti dai contratti individuali di lavoro stipulati con le pubbliche amministrazioni i quali, in virtù dei principi enucleati dal d.lgs. 29/1993, sono caratterizzati, sin dalla costituzione, dall'esistenza di poteri negoziali dell'amministrazione, con conseguente sottrazione alla giurisdizione amministrativa e devoluzione alla giurisdizione ordinaria, in funzione di giudice del lavoro.

La competenza per territorio

Una volta accertata la sussistenza di una controversia devoluta alla competenza per materia del giudice del lavoro, la ripartizione su base territoriale è regolata dai commi 2 e seguenti dell'art. 413 c.p.c., secondo cui la competenza è attribuita facoltativamente al giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto, si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. Tale competenza permane, ai sensi del comma 3, anche dopo il trasferimento dell'azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purché la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione.

Nel caso di rapporto di agenzia e dei rapporti cd. parasubordinati, competente per territorio è, in via esclusiva, il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente o del titolare del rapporto parasubordinato (in questo senso art. 413, comma 4, c.p.c.).

Trattasi di criteri di competenza per territorio concorrenti e facoltativi ma esclusivi rispetto agli ordinari criteri di competenza previsti dall'art. 18 e ss. c.p.c.. Tale competenza deve ritenersi, inoltre, inderogabile e, quindi, funzionale, in ragione della previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 413 c.p.c., che sanziona di nullità le clausole derogative della competenza per territorio, non rilevando in contrario i limiti temporali alla facoltà del convenuto di eccepirla e al potere del giudice di rilevarla d'ufficio posti dall'art. 428 c.p.c., aventi finalità di celerità del giudizio ed economia processuale. L'onere della prova in ordine alla ricorrenza degli elementi di fatto relativi al criterio di competenza per territorio prescelto grava sul lavoratore ricorrente (Cass. civ., sez. VI, 31 luglio 2014, n. 17513). Le regole alternative e concorrenti poste dalla norma in commento si applicano anche alle controversie introdotte dal datore di lavoro (Cass. civ., sez. VI, 27 luglio 2012, n. 13530).

Il luogo in cui è sorto il rapporto

Analizzando partitamente i singoli criteri, nell'ordine previsto dalla disposizione, deve evidenziarsi come per luogo in cui è sorto il rapporto non può intendersi il luogo dove abbia avuto inizio l'esecuzione della prestazione lavorativa, se questo diverga dal luogo di stipulazione del contratto (Cass. civ., sez. VI, 7 novembre 2011, n. 23139). Secondo la giurisprudenza di legittimità, difatti, il luogo ove la prestazione lavorativa ha avuto inizio rappresenta un criterio di collegamento utile ad individuare il giudice competente soltanto quando, mancando un'autonoma fonte del rapporto, non sia possibile individuare con certezza il luogo in cui lo stesso sia sorto (Cass. civ., sez. lav., 23 marzo 2004, n. 5837).

Il luogo in cui si trova l'azienda o una sua dipendenza

Per quanto attiene al luogo di ubicazione dell'azienda, siffatto foro speciale va determinato, per le imprese gestite in forma societaria, in riferimento al luogo in cui si accentrano di fatto i poteri di direzione ed amministrazione dell'azienda medesima (di norma coincidente con la sede sociale), indipendentemente da quello in cui si trovano i beni aziendali e nel quale si svolge l'attività imprenditoriale (Cass. civ., sez. VI, 22 maggio 2014, n. 11317), diversamente dal foro generale delle persone giuridiche di cui all'art. 19 c.p.c., che ha riguardo alla sede legale.

Per dipendenza aziendale deve, viceversa, intendersi una struttura organizzativa di ordine economico funzionale, dislocata in luogo diverso dalla sede dell'azienda, e caratterizzata dall'esplicazione di un potere decisionale e di controllo conforme alle esigenze specifiche dell'attività ad essa facente capo (Cass. civ., sez. VI, 22 maggio 2014, n. 11320). La nozione, di elaborazione giurisprudenziale, di dipendenza è andata progressivamente ampliandosi, sino a ricomprendere anche un'elementare terminazione dell'impresa, costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l'espletamento della prestazione lavorativa (Cass. civ., sez. lav., 01 marzo 2001, n. 2971).

Ai fini del radicamento della competenza sulla base del criterio concorrente della dipendenza non deve aversi riguardo all'atto con cui il lavoratore sia stato destinato alla stessa, bensì all'effettivo svolgimento della prestazione di lavoro presso la medesima, con la conseguenza che competente a conoscere della causa concernente la legittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente, ove questa non abbia avuto concreta attuazione, non può essere il giudice del luogo ove si trova la nuova dipendenza, ma quello del luogo ove si trova la sede di lavoro di provenienza (Cass. civ., sez. VI, 19 ottobre 2011, n. 21690).

Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze della PA, l'equipollente della nozione di ubicazione aziendale o di dipendenza è quella di sede di effettivo servizio, purché dotata di un minimo di struttura sufficiente per l'operatività, in luogo della sede in cui viene effettuata la gestione amministrativa del rapporto secondo le regole interne delle singole amministrazioni, non rilevante ai fini dell'individuazione della competenza (Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2012, n. 3111).

Segue: casistica

CASISTICA: Nozioni giurisprudenziali di «dipendenze aziendali»

Cantiere stradale

Un cantiere stradale della società datrice di lavoro, in cui erano addetti lavoratori e nel quale esistano beni destinati a rendere possibile l'espletamento dell'attività appaltata e quindi il conseguimento dei fini imprenditoriali (Cass., sez. VI, 22 maggio 2014, n. 11320) .

Abitazione del dipendente

L'abitazione del dipendente che si configuri come un'elementare terminazione dell'impresa, costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l'espletamento della prestazione lavorativa (Trib. Bari, sez. lav., 23 giugno 2009) .

Punto vendita

Il punto vendita di una società dotato di organizzazione di mezzi, clientela e contabilità autonome da quelle degli altri esercizi consimili situati in diversi comuni della zona, e configurante, perciò, un'entità strutturale autonoma, anche se giuridicamente sottoposta alla direzione centrale dell'impresa, restando irrilevanti l'esistenza o meno di una particolare autonomia giuridica di tale entità e il numero (più o meno limitato) dei lavoratori che vi erano addetti nonché la circostanza che gli adempimenti previdenziali relativi ai rapporti di lavoro di detti dipendenti venissero curati dalla sede della società (Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 1984, n. 29).

Deposito di automezzi

Il deposito di automezzi del datore di lavoro dove i dipendenti prendono servizio registrando la loro presenza con l'orologio marcatempo, da dove partono per lo svolgimento della loro attività di raccolta rifiuti e dove infine rientrano per ricoverare gli automezzi (Cass. civ., sez. lav., 1 marzo 2001 n. 2971).

Il domicilio dell'agente o del lavoratore parasubordinato

Ai sensi del comma 4 dell'art. 413 c.p.c., competente per territorio per le controversie previste dal numero 3 dell'articolo 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3 dell'articolo 409.

La nozione di domicilio di cui alla disposizione in commento deve interpretarsi, secondo il prevalente orientamento, sulla falsariga della nozione di domicilio exart. 43 c.c., quale sede principale degli affari ed interessi, che si presume coincidente con la residenza, non potendosi ritenere, di norma, che il domicilio si trovi nel luogo cui la persona si rapporti nei limiti della prestazione lavorativa, anche se resa con funzioni di massima responsabilità (Cass. civ., sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 403). Secondo altro orientamento, viceversa, il domicilio di cui all'art. 413, comma 5, c.p.c. va inteso alla stregua di luogo in cui il lavoratore ha il centro dei propri affari ed interessi, intendendosi per interessi non solo quelli economici e materiali, ma anche quelli affettivi, spirituali e sociali, attesa la natura unitaria della nozione, che impone la considerazione complessiva di questi aspetti. Soltanto laddove manchi qualunque concreto riferimento al luogo in cui il lavoratore ha svolto la sua attività d'agente o di lavoratore parasubordinato, risulterà corretto il rinvio al solo luogo di residenza anagrafica dichiarato nel ricorso introduttivo (Cass. civ., sez. lav., 11 maggio 2010, n. 11339).

Orientamenti a confronto: il

domicilio dell'agente o del lavoratore parasubordinato

Presunzione di coincidenza con la residenza, non potendosi ritenere, di norma, che il domicilio si trovi nel luogo in cui la persona svolga la prestazione lavorativa

Cass. civ., sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 403

Presunzione di coincidenza con la residenza soltanto laddove manchi qualunque concreto riferimento al luogo in cui il lavoratore abbia svolto la propria attività di agente o parasubordinato

Cass. civ., sez. lav., 11 maggio 2010, n. 11339

Nel caso in cui la controversia venga introdotta dopo lo scioglimento del rapporto, il criterio di collegamento in questione impone di aver riguardo al domicilio che l'agente aveva in costanza di rapporto, mentre non ha rilievo il domicilio che egli abbia al momento dell'inizio della controversia, e ciò perché si consentirebbe altrimenti al lavoratore - in contrasto con l'art. 25 Cost., comma 1 - di scegliere il giudice con il preventivo trasferimento del proprio domicilio, in quanto la questione di competenza deve essere decisa "allo stato degli atti" (App. Perugia, sez. lav., 6 maggio 2013, n. 55).

La disciplina dell'eccezione e del rilievo dell'incompetenza

Sotto il profilo strettamente processuale, l'art. 428 c.p.c. prevede che, nel caso di proposizione di una causa relativa ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. dinanzi ad un giudice incompetente, l'incompetenza potrà essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva di cui all'art. 416 ovvero rilevata dal giudice non oltre l'udienza di cui all'art. 420. Il comma 2 soggiunge che quando l'incompetenza sia stata rilevata o eccepita nei termini di cui al comma 1, il giudice rimette la causa al tribunale in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con rito speciale.

Ferma restando la pacifica ricomprensione, nell'alveo applicativo della norma, delle ipotesi di incompetenza per territorio, l'incerta formulazione della norma pone interrogativi in ordine alla sua applicabilità alle fattispecie di incompetenza per materia, vale a dire alla proposizione di cause di lavoro con rito ordinario dinanzi a giudici diversi dal tribunale (ovvero il giudice di pace posto che, come visto, il caso di proposizione di causa con rito ordinario dinanzi al tribunale non configura questione di incompetenza in senso stretto e proprio bensì di ripartizione degli affari interni all'ufficio giudiziario).

L'orientamento giurisprudenziale prevalente è nel senso che le regole dell'art. 428 c.p.c. trovino applicazione con riferimento esclusivo all'incompetenza per territorio, mentre l'incompetenza per materia resta disciplinata dalla norma generale di cui all'art. 38 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 1998 n. 180). La soluzione alla questione appare, tuttavia, a seguito della riforma dell'art. 38 c.p.c. operata con dalla legge n. 69/2009, di minore rilievo pratico rispetto al regime ex lege 353/1990, essendo ora previsto a carico del convenuto l'onere, a pena di decadenza, di sollevare tutte le eccezioni di incompetenza, senza alcuna distinzione ed indipendentemente dalla natura derogabile o meno, nel primo atto difensivo di costituzione. La residua differenza attiene, pertanto, al rilievo d'ufficio dell'incompetenza per materia, consentito in ogni stato e grado del processo (Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2000, n. 14379).

In evidenza

La norma di cui all'art. 428 c.p.c. trova applicazione con esclusivo riferimento alla fattispecie di incompetenza per territorio, essendo l'incompetenza per materia soggetta alla disciplina generale di cui all'art. 38 c.p.c..

A norma dell'art. 428 c.p.c., l'incompetenza per territorio può, dunque, essere eccepita dal convenuto soltanto con la memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c., vale a dire con l'atto di costituzione depositato, ai sensi del comma 1, almeno dieci giorni prima dell'udienza di discussione di cui all'art. 420 c.p.c.. La costituzione tardiva, al pari del sollevamento dell'eccezione al di là di detto termine, comporta decadenza dalla stessa.

L'eccezione di parte resistente non dovrà essere valutata esclusivamente con riferimento ai suoi profili di tempestività ma altresì sotto l'aspetto della completezza, dovendo la contestazione della competenza del giudice adito, in ossequio ai principi generali, riguardare ognuno dei possibili criteri di collegamento, alternativamente previsti dall'art. 413 c.p.c.. (Cass. civ., sez. lav., 28 agosto 1996, n. 7903).

Il riferimento all'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., quale termine ultimo per il rilievo d'ufficio, deve essere interpretato in senso ampio, compatibile con eventuali rinvii della stessa, impregiudicati diritti di prima udienza. Così, ad esempio, esperito tentativo di conciliazione e disposto rinvio per trattative ad udienza successiva, sarà consentito al giudice, in caso di fallimento del tentativo, rilevare ex officio la propria incompetenza territoriale all'udienza di rinvio. La preclusione al rilievo d'ufficio opererà, viceversa, laddove il giudice abbia adottato provvedimenti afferenti l'istruzione probatoria (Trib. L'Aquila, sez. lav., 28 gennaio 2015, n. 17), o si sia pronunciato sulla richiesta di provvedimenti ex art 423 c.p.c. o d'urgenza in corso di causa (Cass. civ., sez. lav., 13 maggio 1998, n. 4838).

Qualora l'eccezione non sia stata ritualmente e tempestivamente sollevata dalla parte resistente, o rilevata d'ufficio dal giudice, la competenza per territorio si consoliderà dinanzi al giudice del lavoro adito, restando del tutto precluso, tanto nel giudizio di primo grado quanto in sede di eventuale gravame, il rilievo dell'eventuale difetto originario di competenza.

Una volta rilevata, su eccezione di parte o d'ufficio, l'incompetenza per territorio, il giudice provvederà con ordinanza alla declinatoria della propria competenza in favore di altro tribunale del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione del processo dinanzi al giudice competente e regolamentando le spese di lite della fase celebrata dinanzi a sé.

Laddove il giudice ometta di fissare il termine previsto dal comma 2, deve ritenersi tempestiva la riassunzione effettuata dalla parte entro il termine indicato in via generale dall'art. 50 c.p.c., non operando in tal caso il limite dei trenta giorni per la riassunzione previsto dal secondo comma dell'art. 428 c.p.c. - che è operante verso il giudice e non anche verso la parte – né potendosi imporre o consentire alla parte una correzione o integrazione dell'ordinanza con la quale il giudice ha declinato la propria competenza, al di fuori del meccanismo previsto dall'art. 289 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 2013, n. 6139).

Qualora il giudice fissi erroneamente un termine superiore ai trenta giorni, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, sarà da ritenersi tempestiva la riassunzione della causa effettuata dalla parte nel termine più lungo indicato dal provvedimento (Cass. civ., sez. lav., 2 giugno 2000, n. 7368).

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