Controversie di lavoroFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 409
26 Luglio 2018
Inquadramento
La legge 11 agosto 1973, n. 533 ha introdotto nel codice di rito il libro dedicato alle “Norme per le controversie in materia di lavoro”, interamente sostitutivo della disciplina previgente, elaborando un procedimento speciale, applicabile alla materia laburistica (art. 409 c.p.c.) ed a quella lato sensu locativa, per effetto dell'estensione operata dall'art. 447-bis c.p.c., in luogo del processo di cognizione ordinaria, i cui istituti appaiono applicabili in via sussidiaria e residuale, laddove non disciplinati dalle norme del rito speciale. La norma cardine per l'individuazione delle controversie di lavoro è quella contenuta nell'art. 409 c.p.c., che contiene l'elencazione tassativa, in base al criterio della materia, delle fattispecie alle quali si applica il rito speciale dinanzi al giudice del lavoro. Tale individuazione ha luogo sulla base del criterio della domanda, vale a dire al contenuto della pretesa ed ai fatti dedotti a fondamento della stessa, essendo irrilevante il nomen iuris prescelto dalle parti, ferma restando l'autonomia del giudice nella qualificazione giuridica dei fatti prospettati (Trib. Monza, 6 ottobre 2004). L'eventuale eccezione del convenuto può costituire fonte complementare degli elementi determinativi della competenza che non possa già radicarsi, in concreto, sulla base della domanda, ma non può importare l'esclusione di tale competenza ove essa sia già ravvisabile alla stregua del petitum sostanziale; in particolare, sono irrilevanti, ai cennati fini dell'individuazione del giudice competente, la contestazione, da parte del convenuto, dei fatti giuridici dedotti dall'attore a fondamento della domanda (art. 409 c.p.c.). Nessun dubbio, dunque, sussiste in ordine alla competenza ratione materiae del giudice del lavoro, ed all'applicabilità del rito laburistico laddove il rapporto sia stato formalizzato alla stregua di collaborazione autonoma ma sia allegata dal ricorrente l'esistenza di un rapporto inquadrabile alla stregua di lavoro subordinato o parasubordinato. Viceversa, dinanzi alla prospettazione in ordine all'esistenza di un rapporto facente capo all'elencazione di cui all'art. 409 c.p.c., il giudice del lavoro adito potrà declinare la propria competenza funzionale esclusivamente laddove le allegazioni risultino prima facie prive di fondamento (Cass. civ., sez. lav., 15 febbraio 1996, n. 1158). Nel caso in cui sia proposta dinanzi al giudice del lavoro una controversia esclusa dal novero di quelle di cui all'art. 409 c.p.c. (o, viceversa, in quello in cui venga incardinata dinanzi al giudice ordinario una controversia laburistica) insorgerà una questione non di competenza in senso stretto e proprio, ma di ripartizione degli affari all'interno dell'ufficio giudiziario, con la conseguenza che l'eventuale decisione del giudice privo di specializzazione non comporterà violazione delle norme sulla competenza, non ridondando nella nullità della pronuncia. Una volta provveduto alla trasmissione del fascicolo al giudice specializzato per materia, lo stesso provvederà alla trasformazione del rito, con assunzione dei provvedimenti previsti dagli artt. 426 e 427 c.p.c. Così, nel caso in cui una causa promossa nelle forme ordinarie riguardi uno dei rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c., il giudice specializzato, assegnatario del fascicolo, provvederà alla fissazione dell'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., fissando termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi, mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. Il mutamento del rito da ordinario a speciale non comporta, tuttavia, una rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, dovendosi correlare l'integrazione, prevista dall'art. 426 c.p.c., degli atti introduttivi, alle decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 28 aprile 2017, n. 10569). Nell'improbabile caso in cui la controversia prosegua con le modalità del rito ordinario, l'omissione del provvedimento di mutamento del rito non determina ipso iure l'inesistenza o la nullità della sentenza, assumendo rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 2017, n. 1332).
I blocchi fondamentali di controversie attribuiti alla cognizione del giudice del lavoro e soggetti all'applicazione del rito speciale possono ricondursi al rapporto di lavoro subordinato, da suddividersi nell'impiego privato ed in quello pubblico (nn. 1, 4 e 5 art. 409 c.p.c.), ed alla vasta e frammentata area della parasubordinazione (n. 3 art. 409 c.p.c.). A seguito dell'istituzione delle sezioni specializzate agrarie, in relazione al combinato disposto di cui all'art. 53, comma ultimo legge 3 maggio 1982, n. 203 ed art. 9 legge 14 febbraio 1990, n. 29, è venuta meno la competenza del giudice del lavoro con riferimento alle controversie di cui al n. 2 art. 409 c.p.c., (mezzadrìa, colonìa parziaria, compartecipazione agraria, affitto a coltivatore diretto, altri contratti agrari). Allo stato, dunque, le residuali controversie agrarie sono devolute alle sezioni specializzate agrarie, dinanzi alle quali sarà applicato il rito del lavoro di cui agli artt. 414 c.p.c. e ss. Per la ricostruzione del modello fondamentale della subordinazione, quale specifico modo di atteggiarsi della prestazione lavorativa, occorre far riferimento alla norma di cui all'art. 2094 c.c., che definisce subordinata la prestazione che si svolge nell'organizzazione del datore di lavoro, alle dipendenze e sotto la direzione dello stesso. Nelle frequenti controversie nelle quali il giudice sia chiamato all'accertamento della ricorrenza della subordinazione relativamente ad un rapporto non formalizzato (cd. lavoro nero), o formalizzato con diverse tipologie contrattuali non riconducibili alla subordinazione (es. lavoro autonomo), occorrerà dare rilievo agli indici semantici della subordinazione, enucleati per via giurisprudenziale, quali il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale (cd. indici primari), l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione (cd. indici secondari o sussidiari) (Cass. civ., sez. lav., 14 giugno 2018, n. 15631). Il modello fondamentale di rapporto di lavoro è stato accompagnato dalla tipizzazione di numerosi rapporti di lavoro speciali che, pur essendo riconducibili all'archetipo della subordinazione, se ne discostano in relazione ad elementi di specializzazione, giustificando la previsione di una regolamentazione speciale. Fondamentale appare, in considerazione della sua enorme diffusione, il lavoro in cooperativa, disciplinato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, che individua in capo al socio-lavoratore un duplice rapporto, quello mutualistico, di natura eminentemente associativa, e quello ulteriore lavoristico, di natura subordinata. Secondo l'insegnamento della giurisprudenza, le controversie rientranti nel novero sub 1) art. 409 c.p.c. non sono solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l'eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 8 ottobre 2012, n. 17092).
I rapporti di agenzia e parasubordinazione
Ulteriore blocco di controversie devolute alla competenza funzionale del giudice del lavoro ed assoggettate al rito speciale laburistico è quello previsto al n. 3 dell'art. 409 c.p.c., nel quale sono ricompresi “i rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. La definizione del contratto di agenzia è contenuta nell'art. 1742 c.c., alla stregua di contratto con il quale una parte, l'agente, assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra e verso retribuzione (il cd. compenso provvigionale), la conclusione di contratti in una zona determinata. Le controversie concernenti i rapporti di agenzia sono assoggettate al rito del lavoro soltanto se l'attività continuativa e coordinata sia svolta, almeno in prevalenza, personalmente dall'agente. Tale ipotesi non ricorre allorché la qualità di agente sia assunta da una società, anche quando l'attività di agente sia svolta personalmente da uno o più soci, in quanto in ogni caso la suddetta attività viene mediata dalla società - la quale, benché priva di personalità giuridica, costituisce comunque un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici - e perde, pertanto, il carattere di personalità nei confronti del preponente (Cass. civ., sez. lav., 27 novembre 2000, n. 15241). La rappresentanza commerciale trova, invece, il riferimento normativo privilegiato nell'ambito dell'art. 1752 c.c., che contempla tale figura professionale alla stregua di soggetto incaricato di concludere contratti in una determinata zona. Figura contigua all'agente è quella del procacciatore di affari, soggetto che svolge attività di collaborazione consistente nel raccogliere proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmetterle al preponente. La differenza tra le due forme contrattuali è da individuarsi, eminentemente, nella stabilità del rapporto agenziale e nella occasionalità di quello del procacciatore, caratterizzato da durata limitata nel tempo e avente ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l'attività promozionale stabile di conclusione di contratti (Cass. civ., sez. lav., 12 febbraio 2016, n. 2828). Ne consegue che tali controversie non saranno soggette al rito ed alla competenza funzionale del giudice del lavoro, a meno che il rapporto non presenti le caratteristiche di coordinamento, continuità e prevalente personalità della prestazione. Con una previsione di chiusura, la norma stabilisce l'applicabilità delle disposizioni del capo codicistico a tutti i “rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. In tale ambito della cd. parasubordinazione, possono annoverarsi una pluralità di rapporti, accomunati dalla contestuale presenza di talune caratteristiche morfologiche, ed in particolare dei tre requisiti della: 1) continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale, ma perduri nel tempo ed importi un impegno constante del prestatore in favore del committente; 2) coordinamento, inteso quale connessione funzionale derivante dal protratto inserimento nell'organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente, caratterizzata dall'ingerenza di quest'ultimo nell'attività del prestatore; 3) personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura materiale, indice del fatto che il risultato economico dell'attività del lavoratore non deve essere ottenuto attraverso l'opera altrui organizzata sotto forma di impresa. La legge 22 maggio 2017, n. 81, attuativa del cd. Jobs Act ha introdotto, nell'ambito del n. 3), un inciso a puntuale specificazione del requisito del coordinamento della collaborazione, precisando che «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa». L'inciso è destinato, secondo i primi commentatori, a ridurre sensibilmente l'area della parasubordinazione, contestualmente ampliando quella della subordinazione. Il coordinamento della prestazione diviene, difatti, incompatibile con l'esercizio di poteri direttivi o organizzativi del creditore della prestazione, non potendosi manifestare attraverso prerogative eterodirettive unilaterali non concordate nell'ambito negoziale definito di comune accordo, nel rispetto della piena autonomia organizzativa del prestatore, intangibile ad opera del committente. Parallelamente, per espressa previsione dell'art. 2 d.lgs. n. 81/2015, «a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Le medesime disposizioni normative hanno, inoltre, provveduto all'eliminazione dell'istituto del contratto di lavoro a progetto, introdotto dagli artt. da 61 a 69 d.lgs. n. 276/2003, e modificato con disposizioni antielusive ad opera della legge n. 92/2012, pacificamente devoluti alla cognizione del giudice del lavoro trattandosi, secondo la medesima definizione resa dall'art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, di fattispecie esemplificativa dei rapporti parasubordinati.
I rapporti di impiego pubblico
Sono assoggettati al rito laburistico innanzi al giudice del lavoro anche le controversie relative ai dipendenti degli enti pubblici o gli altri rapporti di lavoro pubblico, dovendosi ricomprendere sia i cd. enti pubblici economici sia gli enti pubblici non economici, compresi lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali. Sino all'epocale riforma di cui al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, la quasi totalità dei rapporti di pubblico impiego con gli enti pubblici non economici apparteneva alla giurisdizione esclusiva dei TAR e, in grado di appello, del Consiglio di Stato. Successivamente alla riforma si è provveduto all'attribuzione delle controversie relative al pubblico impiego al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, fatta eccezione per talune controversie, tassativamente indicate in relazione al particolare status soggettivo dei dipendenti. Disposizione generale in materia è quella di cui all'art. 63 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che prevede la devoluzione al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazione, incluse «le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti», con espressa previsione della facoltà del giudice di disapplicare, sulla scorta dei principi generali in materia di riparto di giurisdizione, gli atti amministrativi presupposti ritenuti illegittimi, ivi incluse le questioni relative a comportamenti antisindacali del datore di lavoro pubblico, ai sensi dell'art. 28 legge 20 maggio 1970, n. 300. Restano esclusi, con perdurante vigenza della giurisdizione amministrativa in materia di lavoro, talune categorie di dipendenti pubblici, caratterizzate da peculiarità dello status soggettivo, segnatamente:«magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dallart. 1 decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287», nonché il «personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 novembre 2000, n. 362, e il personale volontario di leva» ed ancora «il personale della carriera dirigenziale penitenziaria». Sovente la giurisprudenza è intervenuta al fine di chiarire i criteri di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo nelle controversie relative ai rapporti di lavoro pubblico cd privatizzato, in particolare laddove si assista all'adozione, da parte del datore di lavoro pubblico, di provvedimenti amministrativi di natura autoritativa. Così, è stato precisato che la giurisdizione compete al giudice amministrativo, in sede di legittimità, laddove la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo nell'organizzazione delle linee fondamentali dell'ufficio, competendo viceversa al giudice ordinario laddove l'atto di macro organizzazione costituisca il presupposto degli atti di concreta gestione del rapporto di lavoro, con diretta incidenza sulla situazioni giuridiche soggettive del lavoratore, con facoltà del giudice di disapplicare l'atto presupposto, laddove lo ritenga illegittimo (Consiglio di Stato, sez. III, 11 ottobre 2017, n. 4719).
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