Opposizione ai provvedimenti di recupero degli aiuti di stato
Annalisa Signorelli
06 Maggio 2019
I beneficiari di un aiuto di Stato illegittimamente concesso, in quanto incompatibile con la disciplina europea (artt. 107, 108 e 109 TFUE), possono proporre opposizione al provvedimento nazionale di recupero dell'aiuto secondo il rito speciale ex art. 9 d.lgs. n. 150/2011.
Inquadramento
L'ordinamento europeo stabilisce il principio del divieto degli aiuti di Stato al fine di evitare che tali agevolazioni, in qualunque forma siano concesse, falsino o minaccino di falsare la concorrenza nel mercato interno e incidano sugli scambi tra gli Stati membri in maniera contraria all'interesse comune (art. 107, par. 1, TFUE; ex multis, CGUE, 14/2/1990, C-321/97). La ratio di tutela della libera concorrenza (Pace, Iniziativa privata e governo pubblico dell'economia, in Scritti in onore di Egidio Tosato, vol. II, Milano,1982) si pone in linea con il principio di non discriminazione (ad. es., in materia tributaria, artt. 110 e 111 TFUE) e, al contempo, con la libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41, comma 1, Cost. (Donativi, Concorrenza e mercato nel prisma dell'ordinamento giuridico. Appunti per una ricostruzione storica, in Rivista di diritto industriale, 1992).
In evidenza
I beneficiari di un aiuto di Stato illegittimamente concesso, in quanto incompatibile con la disciplina europea (artt. 107,108 e 109 TFUE), possono proporre opposizione al provvedimento nazionale di recupero dell'aiuto secondo il rito speciale exart. 9 d.lgs. n. 150/2011, caratterizzato da concentrazione processuale e officiosità istruttoria funzionale alla celerità imposta dal contemperamento tra interessi pubblici di ordine generale e interessi dei privati delle imprese.
Il recupero degli aiuti di Stato illegittimamente concessi è assicurato mediante un meccanismo di cooperazione multilivello tra Istituzioni europee e autorità nazionali, al fine di assicurare l'effettività del diritto dell'Unione. L'esigenza di garantire il diritto di difesa (art. 24, comma 1, Cost.) e di tutelare il legittimo affidamento dei beneficiari della misura ha indotto il legislatore nazionale a disciplinare l'opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di stato mediante il rito speciale exart. 9, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 in materia di riduzione e semplificazione dei riti civili (Sassani – Tiscini, 2011).
Il rito speciale exart. 9 del d.lgs. 150/2011 e la disciplina “a specialità progressiva”
L'effettività della politica sugli aiuti di Stato è assicurata, sul piano dell'ordinamento italiano (Bove), attraverso i provvedimenti giurisdizionali o amministrativi di recupero delle misure incompatibili con il diritto dell'UE, in conformità alle decisioni negative o condizionate di recupero della Commissione Europea (art. 108 TFUE) adottate ai sensi dell'art. 14 del Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999.
A fronte dell'intervenuta erogazione di aiuti illegittimi a imprese o settori di produzione (art. 107 TFUE), i soggetti beneficiari della sovvenzione statale sono ammessi a proporre opposizione ai provvedimenti di recupero mediante il rito speciale previsto già dall'art. 1 del d.l. 8 aprile 2008, n. 59 conv. con modif. dalla l. n. 101/2008, e attualmente confluito nell'art. 9 del d.lgs. 150/2011.
L'operatività della disciplina speciale dettata dalla legislazione delegata è soggetta ad una duplice clausola di salvaguardia: da un lato, è fatta salvo l'art. 133, comma1, lett. z-sexies, c.p.a. (modificato dalla l. 24 dicembre 2012, n. 234, che individua una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A.: il riparto di giurisdizione in materia di aiuti di Stato seguirà il tradizionale criterio del petitum sostanziale, secondo quanto recentemente ribadito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sent. del 29 gennaio 2014, n. 6); dall'altro, vi è la giurisdizione del giudice tributario per i reclami avverso gli atti impositivi di recupero di agevolazioni ed esenzioni fiscali emessi dall'Amministrazione finanziaria, nei giudizi civili concernenti gli atti e le procedure volti al recupero di aiuti di Stato in esecuzione di una decisione di recupero.
La scelta della specialità del rito exart. 9 risulta essere funzionale alla celerità processuale imposta, in subiecta materia, dal contemperamento tra l'interesse pubblico al recupero della sovvenzione statale illegittima e gli interessi dei privati destinatari della misura che abbiano beneficiato dell'aiuto, riponendo legittimo affidamento sul rispetto dei presupposti sostanziali e procedurali per la concessione.
Infatti, in attuazione della delega contenuta nell'art. 54 della l. n. 69/2009, il legislatore ha ricondotto al modello del rito del lavoro quei procedimenti caratterizzati da concentrazione processuale e/o officiosità istruttoria, pur nel mantenimento delle disposizioni finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel c.p.c.
In particolare, mantenendo l'impostazione della normativa originaria (art. 1 del d.l. n. 59/2008 che rinviava agli artt. 22,22-bis e 23 della l. n. 689/1981), il procedimento di opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato viene ricompreso nell'alveo del procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione. Ne emerge un quadro regolatorio complesso, “a specialità progressiva”, attualmente ricomprensivo della disciplina ad hoc dettata dall'art. 9 e dall'art. 6 del decreto delegato, applicabile in quanto compatibile e ad esclusione dei commi 2, 3, 4, 5, 9 e 13; della disciplina del rito del lavoro “corretto”, i.e. le norme del codice di procedura civile del Libro II, Titolo IV, Capo I, Sez. II (artt. 413-441 c.p.c.) con le esclusioni indicate dall'art. 2 del d.lgs. n. 150/2011 in considerazione dell'impossibilità di applicare la normativa di favor per la parte debole prevista nelle controversie di lavoro exartt. 409 ss. c.p.c.; dalla disciplina generale di cui al Libro I.
La competenza in senso verticale è determinata secondo le regole ordinarie del codice di rito (artt. 7-17 c.p.c.), posto che il comma 1 dell'art. 9 esclude espressamente l'applicabilità dei criteri speciali di allocazione della competenza tra giudice di pace e tribunale previsti dagli artt. 3, 4 e 5 del decreto delegato per il procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione. Anche la competenza in senso orizzontale è disciplinata dalle regole generali, essendo stato abbandonato l'originario criterio del luogo della violazione. Si ritiene, inoltre, che la competenza per territorio sia derogabile con accordo scritto tra le parti (artt. 28-29 c.p.c.), dato che l'art. 2 del d.lgs. 150/2011 esclude l'applicabilità dell'art. 413, il cui ultimo comma prevede la nullità delle clausole derogative della competenza territoriale a presidio del lavoratore.
In ipotesi di errore nella scelta del rito nell'ambito dei procedimenti disciplinati dal d.lgs. 150/2011, l'art. 4 prevede una disciplina speciale rispetto a quella dettata dagli artt. 426,427 e 439 c.p.c. Fermo restando il principio generale per cui il rito si determina dalla domanda, la questione del mutamento del rito soggiace al limite temporale della prima udienza di comparizione, da intendersi come riferibile al rilievo dell'eccezione (e non alla pronuncia dell'ordinanza) a carico sia del convenuto che del giudice; con la conseguenza che il giudice potrà pronunciarsi anche successivamente. Inoltre, in ossequio ai principi generali, occorre assicurare comunque la possibilità di contestazione, l'instaurazione del contraddittorio e la rivedibilità della decisione sul rito. Quanto agli atti precedentemente compiuti, sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, mentre restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. In questo senso, certamente potrà essere più pregiudizievole il passaggio dal rito del lavoro – caratterizzato da un insieme di preclusioni più stringenti – al rito ordinario.
L'errore nel rito determina la nullità del processo solo se è causale rispetto alla competenza, ai poteri delle parti e alle prove utilizzabili. Tuttavia, posto che l'art. 2 del decreto esclude l'applicabilità dell'art. 421 c.p.c. (ossia l'ammissibilità delle prove oltre i limiti del c.c., che certamente rappresenta il discrimen principale tra rito ordinario e rito del lavoro), in concreto il pregiudizio derivante dall'erroneità del rito prescelto potrebbe essere riferibile solo alle conseguenze in punto di incompetenza del giudice prescelto. In tale ultima ipotesi, all'ordinanza sul rito, non impugnabile, si aggiungerà un'ordinanza di incompetenza impugnabile secondo le regole ordinarie. Dovrà comunque tenersi distinta la questione di incompetenza, per la quale troverà applicazione l'art. 45 c.p.c., dalla questione di rito, relativamente alla quale il giudice ad quem non sarà vincolato dall'indicazione ricevuta al giudice a quo.
Nel caso in cui la causa relativa all'opposizione al provvedimento di recupero degli aiuti di Stato, soggetta al rito speciale exart. 9, sia connessa ad altra causa soggetta ad un rito diverso, troverà applicazione la regola generale di cui all'art. 40 c.p.c. Quindi, il simultaneus processus con cause soggette l'unica ad un rito speciale del decreto e l'altra al rito ordinario sarà trattato con il rito ordinario, poiché il comma 3 accorda un regime preferenziale al rito speciale del lavoro solo quando si tratti di controversie di lavoro exartt. 409 ss. c.p.c.; se, invece la connessione intercorre tra una causa soggetta al rito del lavoro e una causa soggetta al rito sommario, si seguirà il rito della causa in base alla quale è determinata la competenza o, in subordine, il rito della causa di maggior valore.
Il principio di effettività del diritto europeo (Scuffi, Aiuti di Stato e misure fiscali: i contributi della giurisprudenza tributaria italiana, in Rivista di Diritto Tributario n. 10/2012), che giustifica l'interpretazione funzionale dei quattro elementi costitutivi – secondo il criterio c.d. VIST – dell'aiuto: vantaggio economico; incidenza sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri; selettività; trasferimento; cfr. Cass. civ., sez. trib., 24 agosto 2018, n. 21080), incide sulla disciplina processualistica della legittimazione.
La legittimazione ad agire spetta all'impresa beneficiaria del provvedimento concessorio di un
vantaggio economico diretto o indiretto, non conseguibile in condizioni normali di mercato (CGUE, Steenkolenmijnen, 30/59; SFEI e a., C-39/94). La figura del beneficiario ricomprende persone fisiche, professionisti e qualsiasi entità, anche pubblica (principio di neutralità della proprietà: art. 345 TFUE; cfr. CGUE, sez. I, 9 novembre 2017, n. 656) che svolga un'attività economica consistente nell'offerta di beni o servizi sul mercato, anche senza fini di lucro, travalcando la definizione nazionale contenuta nell'art. 2082 c.c.
Legittimato passivo è, invece, non soltanto l'Amministrazione centrale o territoriale, ma anche qualsiasi da enti pubblici o privati designati o istituiti dagli Stati (CGUE, PreussenElektra, C-379/98), o che agiscano sotto il controllo e secondo le direttive delle pubbliche autorità (CGUE, Van der Kooy /Commissione, 67, 68 e 70/85; CGUE, Cassa di risparmio di Firenze+2, C-222/04), posto che gli aiuti possono essere concessi sia in via diretta sia indirettamente «mediante risorse statali».
Non trova applicazione la disciplina speciale prevista dal comma 9 dell'art. 6 per l'ordinanza-ingiunzione, che legittima l'Amministrazione e l'opponente a stare in giudizio anche personalmente, in assenza di difensore tecnico. La rappresentanza tecnica resta dunque un presupposto processuale e un obbligo, in tutti i gradi di giudizio.
La domanda volta a proporre l'opposizione è proposta con ricorso, che deve avere il contenuto di cui all'art. 414 c.p.c. ed essere depositato, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento di recupero, ovvero 60 giorni se il ricorrente risiede all'estero (art. 6, comma 6, d.lgs. n. 150/2011). Il regime dei termini a difesa è disciplinato dall'art. 415, comma 5, c.p.c.
La sospensione dell'efficacia del titolo giudiziale o amministrativo e il raccordo con la giurisdizione europea della CGUE
La peculiarità del regime del procedimento di opposizione al recupero di aiuti di Stato – oltre che il principale profilo differenziale rispetto agli altri procedimenti speciali exd.lgs. n. 150/2011 – è data dalla disciplina dell'inibitoria, sotto due profili.
In relazione al primo, l'art. 9, comma 2, definisce puntualmente il fumus boni iuris e il periculum in mora, non essendo sufficienti le gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione cui fa riferimento l'art. 4. Si ritiene, tuttavia, che la deroga alla disciplina “generale” dettata dall'art. 4 (prevista per tutti i procedimenti subd.lgs. n. 150/2011) sia limitata ai soli presupposti, e non riguardi anche il regime processuale: ne consegue che la sospensione può essere disposta sia con ordinanza non impugnabile, sentite le parti, ovvero con decreto emesso inaudita altera parte da confermarsi, a pena di inefficacia, entro la prima udienza successiva con ordinanza parimenti non soggetta ad alcun rimedio. La non reclamabilità pone significativi interrogativi sul piano della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della piena garanzia del diritto di difesa (art. 24, comma 1, Cost.), secondo due ordini di considerazioni (Carratta, La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, Torino, 2012). In primis, alla luce dell'indiscussa natura cautelare del provvedimento sospensivo la previsione si pone in contrasto con quanto stabilito dalla Corte cost. con sent. n. 253/1994 in punto di reclamabilità exart. 669-terdecies c.p.c. dei provvedimenti di rigetto delle istanze cautelari, nell'ottica di assicurare alle parti il diritto di ottenere da parte di un giudice diverso e collegiale il controllo sugli errores in procedendo e in iudicando eventualmente commessi dal giudice della tutela.
In secundis, l'esclusione dell'impugnativa si pone in contrasto legislazione speciale di provenienza prevedeva (art. 1, comma 3,d.l. n. 59/2008) una diversa soluzione, prospettando la possibilità di riesame, da parte dello stesso giudice e su istanza di parte, del provvedimento di sospensione entro 90 giorni – termine di efficacia massima della misura cautelare – dalla data di emanazione.
Infine, si introduce un'ingiustificata disparità rispetto alle controversie in materia di aiuti di Stato devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A., per le quali l'art. 119, comma 3, c.p.a. prevede l'appello al Consiglio di Stato dei provvedimenti sospensivi del TAR.
Per ovviare a tali censure, la testuale non impugnabilità del provvedimento che decide sull'istanza cautelare è ritenuta comunque non vincolante da parte della dottrina: l'ordinanza in questione potrebbe essere revocabile o modificabile secondo la disciplina generale (art. 177 c.p.c.), ovvero, seguendo un approccio sostanzialistico che la qualifica come provvedimento cautelare ai “compatibili” effetti, si applicherebbe la normativa sul processo cautelare uniforme, perché non escluso esplicitamente. In quest'ultima prospettiva, nel rispetto della clausola di compatibilità, non troverebbe certamente cittadinanza la disciplina del reclamo cautelare exart. 669-terdecies c.p.c., mentre potrebbe ben ammettersi la modificabilità o revocabilità del provvedimento di accoglimento “al deducibile” exart. 669-decies c.p.c., nonché la riproponibilità “al dedotto” dell'istanza cautelare a fronte del rigetto ai sensi dell'art. 669-septies c.p.c. (Bove)
Quanto al secondo profilo di specificità, è previsto un singolare meccanismo di raccordo tra l'inibitoria del giudice ordinario per motivi sostanziali, i.e. attinenti alla illegittimità della decisione di recupero, e il deferimento della questione alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, secondo uno schema circolare che parte dall'ordinamento dell'Unione, passa per gli ordinamenti nazionali, per i giudici e le impugnative dei privati, per ritornare alla verifica della conformità al diritto dell'Unione Europea rimesso alla Corte di Lussemburgo. Da un lato, l'accoglimento dell'istanza di sospensione per motivi attinenti alla legittimità della decisione di recupero è subordinato alla preventiva impugnazione, da parte del soggetto legittimato correttamente individuato o individuabile in qualità di ricorrente non privilegiato, avverso la decisione di recupero ai sensi dell'art. 263 del TFUE, ovvero all'ipotesi in cui quando, avendo proposto l'impugnazione, abbia richiesto la sospensione della decisione di recupero ai sensi dell'articolo 278 TFUE e questa sia stata concessa. Dall'altro, quando accoglie l'istanza di sospensione per motivi attinenti alla illegittimità della decisione di recupero, il giudice provvede all'immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia dell'Unione europea, se ad essa non sia stata già deferita la questione di validità dell'atto comunitario contestato.
Se, invece, il fumus consiste nell'erronea individuazione del soggetto tenuto alla restituzione ovvero nell'errore sul quantum della somma da recuperare, il giudice non è tenuto ad operare il rinvio pregiudiziale; quando accoglie l'istanza di sospensione il giudice fissa la data dell'udienza di trattazione nel termine di 30 giorni, e la causa viene decisa nei successivi 60 giorni.
Infine, le esigenze di celerità e speditezza processuale sono presidiate dalla garanzia della vigilanza sul rispetto dei termini processuali della trattazione e decisione da parte del presidente di sezione, in ogni grado del procedimento e con l'onere di riferire con relazione trimestrale, rispettivamente, al presidente del tribunale o della corte di appello per le determinazioni di competenza.
La trattazione e la decisione dell'opposizione
La disciplina di cui all'art. 2 del decreto delegato non prevede l'utilizzo dei poteri istruttori ex officio al di fuori dei limiti (processuali) previsti dal c.c. (art. 421, comma 2, c.p.c.) – talché l'unica peculiarità di tale rito speciale finisce per ridursi alla sola officiosità istruttoria. L'esclusione ha suscitato alcune perplessità, posto che gli ampi poteri ufficiosi erano prevista a favore di ambo le parti si è ravvisata alcuna specificità tipica delle sole controversie individuali del lavoro (Bove, cit.; Carratta, cit.).
Il regime di ripartizione dell'onere della prova segue le regole ordinarie, per cui graverà sull'impresa beneficiaria l'onere di dimostrare la liceità dell'aiuto concesso ovvero l'insussistenza dei presupposti soggettivi e/o oggettivi, grava sulle imprese beneficiarie atteso che la regola del diritto europeo è nel senso che chi ha usufruito di un aiuto deve collaborare con l'autorità amministrativa per consentire la verifica della legittimità di tale fruizione, in specie quando l'aiuto non è stato previamente notificato. Rimane, invece, a carico dell'Amministrazione la prova contraria, nonché la prova che l'impresa abbia effettivamente fruito dell'aiuto illegittimo (Cass. civ., sez. trib., 27 aprile 2012, n. 6546; Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2401).
Il legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto può essere eccepito dal beneficiario soltanto qualora la misura sia stata concessa nel rispetto della procedura prevista dal TFUE (Cons. Stato, sez. V, ord., 24 maggio 2018, n. 3123), in linea con il principio di autoresponsabilità per cui un operatore economico diligente ha l'onere di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata, anche quando l'illegittimità della decisione di concessione dell'aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una misura tale che la sua revoca appare contraria al principio di buona fede (App. Cagliari, sez. I, 1 ottobre 2018, n. 827).
Riprendendo la formulazione del comma 11, art. 6 del d.lgs. n. 150/2011, l'accoglimento dell'opposizione è subordinato alla mancanza di prove sufficienti a suffragare la responsabilità dell'opponente.
Infine, in forza del rinvio al comma 12 dell'art. 6 del decreto, è confermata l'esclusione del criterio equitativo.
L'apparente contraddittorietà della modulazione procedurale della fase ultimale del processo è superata dalla considerazione che il procedimento in esame, benché soggetto al rito del lavoro, non acceda ai benefici delle controversie di lavoro, giustificati dall'esigenza di ovviare alle asimmetrie di potere processuale del lavoratore. Infatti, la fase decisionale segue il rito del lavoro “classico” – l'art. 429, commi 1 e 2, c.p.c., con pronuncia di sentenza – previo esaurimento della discussione orale e audizione delle conclusioni delle parti – mediante lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; in caso di particolare complessità, il giudice dà lettura solo del dispositivo e fissa un termine non superiore a 60 giorni per il deposito della sentenza. Tuttavia, il regime di esecutività della sentenza si riporta alla previsione generale degli artt. 282 e 283 c.p.c.: la sentenza è immediatamente esecutiva dal momento del deposito e il titolo esecutivo sta nella sentenza completa, non essendo sufficiente il solo dispositivo. Ne consegue, inoltre l'esclusione della possibilità di proporre appello con riserva dei motivi e l'inapplicabilità dell'art. 438, comma 2, c.p.c. La sospensione in appello della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado è subordinata a “gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”; tale regola è valida sia per l'impresa opponente sia per l'Amministrazione opposta, non trovando quivi applicazione la previsione di favore per le sole controversie exartt. 409 ss. c.p.c., di cui all'art. 431, comma 1, c.p.c.
CASISTICA
Vincolatività delle decisioni della Commissione UE
Le decisioni della Commissione dell'Unione Europea in tema di aiuti di Stato, ancorché prive dei requisiti della generalità e dell'astrattezza, costituiscono fonte di produzione del diritto e, pertanto, vincolano il giudice nazionale anche nei giudizi pendenti, in quanto "jus superveniens" incidente sul rapporto controverso: ne deriva che, laddove detta disciplina venga adottata nel corso del giudizio di legittimità e renda necessario procedere ad accertamenti di fatto, incompatibili con la struttura dello stesso, la pronuncia impugnata, se incompatibile con il nuovo regime, deve essere cassata con rinvio (Cass. civ., sez. trib., 19 gennaio 2018, n. 1325).
Recupero di aiuti di stato – impossibilità
Il recupero di aiuti illegali è impossibile da realizzare solo quando la Commissione accerti, dopo un vaglio minuzioso, la sussistenza di due condizioni: l'esistenza delle difficoltà addotte dallo Stato membro e l'assenza di modalità alternative di recupero, a nulla rilevando le mere difficoltà interne allo Stato membro (nella specie, relativa all'esenzione ICI, la circostanza addotta dallo Stato italiano per ritenere impossibile il recupero degli aiuti di Stato a beneficio degli enti ecclesiastici o religiosi vale a dire il fatto che le informazioni necessarie per il recupero degli aiuti illegali non potessero essere ottenute utilizzando le banche dati catastali e fiscali italiane non è sufficiente a ritenere il recupero come assolutamente impossibile) (Corte di giustizia UE, grande sezione, 6 novembre 2018, n. 622).
riparto di giurisdizione tra A.G.O. e G.A. in materia di aiuti di Stato
Si radica sempre la giurisdizione dell'A.g.O. quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge e l'attività della P.A. è completamente vincolata; se la controversia riguarda una fase precedente e discrezionale di attribuzione del beneficio, o se una volta attribuito, lo stesso venga poi revocato per questioni inerenti la legittimità o un contrasto col fine pubblico che ab origine intendeva perseguire e non per inadempimenti del beneficiario, allora si radicherà la competenza del G.A.; qualora - ferma la legittimità del provvedimento amministrativo di concessione - il ritiro lato sensu costituisca solo una sorta di reazione all'inosservanza da parte del beneficiario degli obblighi dallo stesso assunti con la concessione, lo stesso avrà il carattere di un'autotutela di matrice privatistica e pertanto la posizione di diritto soggettivo del privato incardinerà la competenza dell'A.g.O. (Consiglio di Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2014, n. 6).
Onere della prova
L'onere della prova, con la quale dimostrare la liceità dell'aiuto concesso ovvero l'insussistenza dei presupposti soggettivi e/o oggettivi, grava sulle imprese beneficiarie atteso che la regola del diritto europeo è nel senso che chi ha usufruito di un aiuto deve collaborare con l'autorità amministrativa per consentire la verifica della legittimità di tale fruizione, in specie quando l'aiuto non è stato previamente notificato. Rimane, invece, a carico dell'Amministrazione la prova contraria, nonché la prova che l'impresa abbia effettivamente fruito dell'aiuto illegittimo (Cass. civ., Sez. trib., 27 aprile 2012, n. 6546; Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2401).
Prescrizione
In tema di recupero di aiuti di Stato, l'azione di recupero è soggetta al termine ordinario di prescrizione stabilito dall'art. 2946 c.c., in quanto idoneo a garantire sia l'interesse pubblico di assicurare l'effettività del diritto comunitario mediante il ripristino dello "status quo ante" alla violazione della concorrenza, sia l'interesse privato ad evitare l'esposizione ad iniziative senza limiti di tempo, non essendo invece applicabile il termine di cui all'art. 15 del regolamento Cee del Consiglio 22 marzo 1999 n. 659, il quale si riferisce esclusivamente ai rapporti tra Commissione e Stato membro. Ne consegue che il momento di inizio del termine di decorrenza della prescrizione va individuato non nella data della fruizione dell'aiuto, ma in quella della notifica della decisione della Commissione allo Stato membro, essendo solo da quel momento l'aiuto erogato qualificabile come illegale (Cass. civ., Sez. trib., 12 settembre 2012, n. 15207).