Opposizioni esecutive in materia di lavoro, di previdenza e di assistenzaFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 409
27 Novembre 2019
Inquadramento
L'art. 618-bis, introdotto nel corpo del codice di rito dal legislatore della riforma del processo del lavoro (l. n. 533/1973), stabilisce al primo comma che «per le materie trattate nei Capi I e II del Titolo IV del Libro secondo, le opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili». Al secondo comma, la norma - come modificata dalla l. n. 52/2006 - stabilisce che «resta ferma la competenza del giudice dell'esecuzione nei casi previsti dal secondo comma dell'articolo 615 e dal secondo comma dell'art. 617 c.p.c. nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza». La norma fu introdotta allo scopo di assicurare anche ai giudizi di opposizione sorti nell'ambito del processo esecutivo la stessa celerità ed efficienza che il legislatore aveva inteso assicurare alle cause di lavoro, tutelando in tal modo anche nella fase esecutiva in maniera «incisiva e differenziata il lavoratore, in quanto – di regola – il creditore» (Cass. civ., 15 giugno 2001, n. 8110, in Foro it., 2001, I, 3132). L'art. 618-bis si applica alle opposizioni instaurate avverso l'esecuzione iniziata sulla base di titoli esecutivi formatisi all'esito di procedimenti in materia di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie, a causa della sottoposizione di tali ultime controversie al rito del lavoro (Oriani, Opposizione all'esecuzione, in Digesto civ., XIII, Torino, 1997, 630). Il riferimento espresso contenuto nella norma alle opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi ha spinto la dottrina ad affermare che essa riguarda ogni tipo di esecuzione iniziata in virtù di un titolo esecutivo relativo a prestazioni lavorative, previdenziali e assistenziali, sia esso di origine giudiziale che stragiudiziale (Oriani, Opposizione all'esecuzione, cit., 629), ivi incluse le opposizioni avverso le esecuzioni intraprese sulla base dei verbali di conciliazione in controversie di lavoro; unica eccezione a tale regola pare essere rappresentata dai titoli cambiari, a causa della cartolarità ed astrattezza del titolo (Cabrini, Commento all'art. 618 bis, in Carpi-Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2012, 2206). Inoltre, la norma si riferisce a ogni tipo di opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, compresa quella diretta alla contestazione della pignorabilità dei beni (Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987, 281; Cass. civ., 25 agosto 1990, n. 8726; Cass. civ., 15 ottobre 1986, n. 6047).
Inoltre, a causa della previsione dell'art. 447-bis che estende il rito del lavoro anche alle controversie in materia locatizia, deve ammettersi l'applicabilità dell'art. 618-bis anche alle opposizioni sorte in seno alle esecuzioni iniziate in virtù di un titolo esecutivo formatosi all'esito di un processo locatizio (Cabrini, Commento all'art. 618 bis, cit., 2207; per Trisorio Liuzzi, Procedimenti speciali di rilascio degli immobili locati, in Chiarloni-Consolo, Trattato sui processi speciali, II, Torino, 2005, 943, il rito da applicare alle opposizioni esecutive è quello speciale di cui all'art. 447-bis). Vi è infine da rammentare la speciale opposizione ex artt. 57 e 60 d.P.R. n. 602/1973, la quale è riconducibile alle opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c. Poiché l'art. 29 del d.lgs. n. 46/1999 non distingue i crediti previdenziali dalle altre entrate non tributarie, prevedendo l'esperibilità delle opposizioni esecutive nelle forme ordinarie, deve ritenersi che debba applicarsi l'art. 618-bis. Sul punto, Trib. Velletri, 20 marzo 2018 stabilisce che le opposizioni con cui si contestano vizi formali della cartella o della notifica della stessa, in quanto opposizioni agli atti esecutivi, vanno proposte, in virtù dell'art. 618-bis, nel termine di 20 giorni dalla notifica della stessa.
Le controversie escluse dal perimetro applicativo della norma
Per effetto dell'espresso dettato normativo, il rito del lavoro non trova applicazione con riguardo alla fase c.d. sommaria necessaria dei giudizi di opposizione esecutivi di cui agli artt. 615, comma 2, e 617, comma 2, c.p.c. Inoltre, a seguito delle riforme del 2005-2006, che hanno trasformato il volto delle opposizioni distributive, deve ritenersi che le controversie distributive debbano in ogni caso essere decise dal giudice dell'esecuzione nelle forme semplificate previste dal novellato art. 512 c.p.c.; solo l'eventuale fase di opposizione ex art. 617, proponibile, come è noto, avverso l'ordinanza che risolve le contestazioni deve essere istruita nelle forme degli artt. 414 e seguenti del codice di rito. Ancora, sono escluse dall'ambito di applicazione dell'art. 618-bisc.p.c.: 1) il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo di cui all'art. 548 c.p.c., a causa del carattere di incidente esecutivo che tale giudizio ha assunto dopo le recenti riforme che hanno riguardato l'espropriazione presso terzi; 2) l'opposizione di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 (Oriani, Opposizione, cit., 629; Lotito, L'art. 618 bis c.p.c. e l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. Creditore particolare del coniuge in regime di comunione legale ed esecuzione forzata ex art. 189/2 c.c., in Nuovo diritto, 2005, 244); 3) le controversie in materia di contratti agrari che spettano alla competenza delle sezioni specializzate agrarie, cui sono devolute anche le cause di opposizione all'esecuzione, non applicandosi più l'art. 618-bisc.p.c. (Vullo, Le opposizioni in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza: l'art. 618 bis c.p.c., in REF, 2013, 521); 4) il giudizio di reclamo, pure in fase di impugnazione, proposto contro il provvedimento di estinzione di un processo esecutivo instaurato sulla base di un credito di lavoro (Cass. civ., 8 marzo 1991, n. 2477).
Stabilito l'ambito di operatività dell'art. 618-bis, è ora possibile esaminare le singole modalità procedurali. Quanto all'opposizione a precetto di cui all'art. 615, comma 1, c.p.c., essa si propone con ricorso ex art. 414 (anziché con atto di citazione) al giudice competente ai sensi dell'art. 413 e 444 c.p.c. In particolare, giudice competente per materia è il tribunale in funzione di giudice del lavoro, a prescindere dall'entità del credito per cui si procede (Cass. civ., 30 luglio 2012, n. 13601; Trib. Roma, 31 gennaio 2011). Quanto alla competenza per territorio, in deroga alla competenza territoriale stabilita dal terzo comma dell'art. 480, richiamato dall'art. 27, si seguirà la competenza territoriale di cui agli artt. 413 e 444 c.p.c. Tale conclusione, sostenuta da sempre in dottrina (Oriani, op. cit., 629; Tarzia, Manuale, cit., 430; Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 270 ss.), è stata anche ribadita dalla Cassazione, sulla scorta della considerazione che l'art. 618-bis, comma 1 c.p.c. rinvia alle norme previste per le controversie individuali di lavoro (e per quelle di previdenza e assistenza) e non contiene una riserva di competenza del giudice dell'esecuzione, come invece dispone il 2° comma (Cass. civ., Sez. Un., 18 gennaio 2005, n. 841, in RIDL, 2005, II, 695, con nota di Vitali). Il processo, una volta instaurato, seguirà le forme del rito del lavoro, salve le peculiarità dell'innesto di siffatto rito nell'ambito di giudizi oppositivi (sul punto v. infra) e si concluderà con sentenza appellabile (e per tale via ricorribile per cassazione). Anche l'opposizione proponibile prima dell'inizio dell'esecuzione relativa alla regolarità formale del titolo o del precetto si propone davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro, competente per territorio ai sensi degli artt. 413 e 444 c.p.c. Del pari, la domanda rivestirà la forma del ricorso da depositare entro 20 giorni dalla notifica del titolo esecutivo o del precetto. Il procedimento seguirà anch'esso le forme del rito del lavoro e si concluderà con sentenza non impugnabile (i.e. non appellabile, ma ricorribile per cassazione e con regolamento di competenza ex art. 187 disp. att. c.p.c.), stante la previsione di cui all'art. 618, comma 3, c.p.c. applicabile anche al caso in esame (Cass. civ., 9 novembre 2001, n. 13921; Vaccarella, Titolo esecutivo, cit., 302; Pizzuti, in Vallebona (a cura di), Il diritto processuale del lavoro, Padova, 2011, 579). Le opposizioni esecutive
Come già accennato, stando al secondo comma dell'art. 618-bis, in caso di proposizione di opposizione avverso l'esecuzione già iniziata resta ferma la competenza del giudice dell'esecuzione, nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza. Ciò vuol dire che in virtù degli artt. 615, comma 2 e 617, comma 2, c.p.c. le opposizioni esecutive sono proponibili con ricorso al giudice dell'esecuzione presso il tribunale competente per territorio ai sensi dell'art. 27 c.p.c. (i.e. il giudice del luogo dell'esecuzione), il quale fisserà con decreto l'udienza di comparizione delle parti e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto ai soggetti legittimati passivamente. L'udienza seguirà le forme camerali, come espressamente stabilito dall'art. 185 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., 31 agosto 2015, n. 17312, la quale precisa che per tale motivo in tale fase non si applicano i termini perentori e le decadenze previste nel rito del lavoro per l'espletamento delle attività difensive e per la proposizione delle domande riconvenzionali). Parte della dottrina (Vullo, Le opposizioni, cit., 524) ritiene che siffatta domanda introduttiva debba sempre rivestire la forma del ricorso ex art. 414 c.p.c.; tale conclusione, che ben si giustificava durante la vigenza della precedente formulazione dell'art. 185 disp. att. c.p.c., non è più ripetibile oggi a causa della novella del 2006 che ha configurato i giudizi di opposizione non più come giudizi a cognizione piena da trattare (a seconda dei casi) con il rito ordinario o del lavoro, ma come un processo bifasico, di cui la prima parte, necessaria, ha carattere carattere sommario e la seconda, eventuale, è a cognizione piena. All'udienza, il g.e. deciderà sull'eventuale istanza di sospensione (o pronuncerà i provvedimenti indilazionabili di cui all'art. 618 c.p.c.); dopo di che la causa proseguirà secondo le scansioni stabilite dagli artt. 616 e 618 c.p.c.
Qualora si tratti di un'opposizione di merito successiva di cui all'art. 615 c.p.c., occorrerà verificare se il tribunale che ha ricevuto l'opposizione sia anche competente per la causa di merito, a causa dell'espressa previsione contenuta nell'art. 616, secondo cui il giudice dell'esecuzione è tenuto a fissare un termine perentorio per «l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione della causa a ruolo, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà». Se allora il giudice dell'esecuzione si trova presso un tribunale non competente per territorio secondo i criteri previsti dagli artt. 413 e 444 c.p.c., egli dovrà ordinare la riassunzione della causa al tribunale del lavoro competente per territorio ai sensi delle norme appena citate. Tale conclusione trova la sua ratio nella circostanza che il secondo comma dell'art. 618-bis fa salva la competenza del giudice dell'esecuzione solo per i provvedimenti assunti nella forma dell'ordinanza (i.e. quelli – eventuali - di sospensione, nonché quelli – necessari – di individuazione del giudice competente per il “merito” dell'opposizione). Conclusivamente, per le cause che rientrano nell'ambito oggettivo di applicazione dell'art. 618-bis, il passaggio dalla fase sommaria a quella a cognizione piena dovrà avvenire secondo le forme e i tempi stabiliti dagli artt. 414 e ss. c.p.c.; «ovviamente, se il tribunale è diviso in più sezioni, la causa sarà assegnata alla sezione lavoro» (Vullo, L'opposizione, cit., 525; Cass. civ., 3 agosto 2016, n. 16222; Cass. civ., 30 luglio 2012, n. 13601; contra Longo, La sospensione del processo esecutivo, in L'esecuzione forzata riformata, a cura di Miccolis-Perago, Torino, 2009, 695 ss., secondo la quale anche dopo la riforma permarrebbe la competenza esclusiva del giudice dell'esecuzione anche nella fase di merito). Invece, laddove l'opposizione riguardi la regolarità formale di un atto esecutivo, vi è da chiedersi se il processo debba proseguire innanzi al tribunale competente per l'esecuzione, a causa dell'espresso dettato contenuto nell'art. 27, comma 2 o se, invece, la competenza del g.e. debba essere limitata alla sola prima fase del processo. Prevale in giurisprudenza la tesi secondo cui la fase successiva introdotta dall'interessato deve essere trattata dal giudice del lavoro che applicherà le forme speciali previste da questa materia (Cass. civ., 30 dicembre 2014, n. 27527) e ciò in virtù della riserva di competenza del g.e. nei soli limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza. Come espressamente affermato in dottrina, l'inciso con cui si chiude il 2° comma dell'art. 618-bis ha il significato di estendere «anche all'opposizione agli atti (in materia di lavoro) quel meccanismo di (eventuale) rimessione al giudice competente già contemplato, in via generale, per l'opposizione all'esecuzione successiva» (Vullo, L'opposizione, cit., 529). Analogamente a quanto si è già osservato per le opposizioni pre-esecutive, dunque, la fase c.d. a cognizione piena seguirà le forme del rito del lavoro e si concluderà con sentenza (normalmente appellabile se conclusiva di una opposizione all'esecuzione; ricorribile in cassazione se invece resa all'esito di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi).
Come accennato, il primo comma dell'art. 618-bis, nel rinviare alle norme sul rito del lavoro, contiene una riserva, prevedendo che le opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dagli artt. 409 e seguenti «in quanto compatibili». In virtù di siffatta clausola contenuta nel primo comma dell'art. 618-bis, sono inapplicabili gli artt. 410, 410-bis, 411 c.p.c.: in particolare, il tentativo di conciliazione (e tutti gli atti ad esso consequenziali) non è esperibile in tale sede, in virtù della considerazione che il tentativo precede sempre il processo di formazione del titolo esecutivo; poiché le opposizioni presuppongono l'esistenza del titolo, non vi è spazio per poter ipotizzare il filtro conciliativo (Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2013, 819). Invero, l'abolizione dell'obbligatorietà del tentativo ha di fatto reso di fatto irrilevante tale questione. Per quanto attiene alle norme in tema di arbitrato e conciliazione nel processo del lavoro (artt. 412, 412-bis, 412-ter e 412-quaterc.p.c.), mentre non vi sono ostacoli ad ammettere l'applicabilità di tali norme nell'ambito dei giudizi di opposizione all'esecuzione (Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2001, 223), più dubbi sorgono quanto alle opposizioni agli atti (v. Cass. civ., 30 marzo 2018, n. 7891, il quale afferma che non sono compromettibili in arbitri le opposizioni agli atti esecutivi, in quanto la verifica dell'osservanza di regole processuali di ordine pubblico riguarda diritti di cui le parti non possono liberamente disporre). La natura dichiarativa dei giudizi oppositivi impedisce inoltre la pronuncia delle ordinanze di condanna di cui all'art. 423 c.p.c, nonché l'applicabilità dell'art. 431 c.p.c.; entrambe le norme, tuttavia, potranno applicarsi laddove il creditore opposto (evidentemente un lavoratore) abbia spiegato domanda riconvenzionale all'interno del giudizio e questa sia accolta (Vullo, Le opposizioni, cit., 530 e già in precedenza Castoro, Il processo, cit., 821). Riferimenti
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