Competenza per valore

05 Maggio 2016

I criteri ed i meccanismi di calcolo del valore delle controversie, rispetto alle diverse fattispecie previste dal codice di rito, sono disciplinati dagli artt. da 11 a 17 c.p.c.
Inquadramento

I criteri ed i meccanismi di calcolo del valore delle controversie, rispetto alle diverse fattispecie previste dal codice di rito, sono disciplinati dagli

artt. da 11

a

17 c.p.c.

mentre l'

art. 10 c.p.c.

, norma base

per la determinazione della competenza per valore, è, secondo la dottrina, la «regola introduttiva» delle ipotesi successive (Levoni, Competenza, 110 e ss.). Essa, stabilisce, semplicemente, ma con una formula che crea alcuni problemi interpretativi, che il valore della causa ai fini della competenza, si determina dalla domanda. Aggiunge, poi, che a questi fini le domande proposte nello stesso processo contro la stessa persona si sommano tra di loro e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano al capitale.

L'

art. 10 c.p.c.

detta, pertanto, una regola base per determinare il valore della causa, fondata su criteri approssimativi, indicati, poi, dagli artt. 11 e ss. che sarebbero, pertanto, regole specifiche di stima del valore della causa dettate in relazione alle materie ivi richiamate. Questi criteri, proprio perché approssimativi, rileverebbero, ad eccezione della norma dell'

art. 14, c.p.c.

, ultimo comma, soltanto per determinare la competenza.

Anche le disposizioni degli artt. 11 e ss. si fondano su alcune regole base: a volte determinano il valore sulla base della volontà delle parti; a volte affidandolo ad una valutazione del giudice; a volte consentendo di ricorrere a presunzioni iuris et de iure. Nell'ipotesi in cui, o nessuno dei criteri possa essere applicato, o la domanda non sia suscettibile di valutazione monetaria, la causa viene considerata di valore indeterminabile ed attribuita alla competenza esclusiva del tribunale. È opportuno altresì ricordare che la competenza per valore del giudice di pace è disciplinata dall'

art. 7 c.p.c.

, mentre quella del tribunale dall'art. 9 c.p.c., alle cui bussole di riferimento si rinvia (Competenza del giudice di pace e Competenza del tribunale). Uguale rinvio andrà fatto, quanto alle ipotesi specifiche di determinazione della competenza per valore rispetto alle norme degli

artt. 11-17 c.p.c.

In evidenza

L'

art. 10 c.p.c.

è la norma base per la determinazione della competenza per valore la «regola introduttiva» delle ipotesi successive. Essa, stabilisce, semplicemente, ma con una formula che crea alcuni problemi interpretativi, che il valore della causa ai fini della competenza, si determina dalla domanda. Aggiunge, poi, che a questi fini le domande proposte nello stesso processo contro la stessa persona si sommano tra di loro e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano al capitale.

La determinazione del valore della causa

Presupposto per l'applicazione dell'

art. 10 c.p.c.

è che la causa sia economicamente valutabile. La norma, pur se dettata per la competenza per valore, esprime un principio generale e, come tale, applicabile anche con riferimento agli altri tipi di competenza ad esempio quella per materia; esso detta una regola base per determinare il valore della causa, fondato su criteri approssimativi, indicati, poi, dagli artt. 11 e ss. che sarebbero, pertanto, regole specifiche di stima del valore della causa dettate in relazione alle materie ivi richiamate. Poiché sono, appunto, criteri approssimativi, non hanno mai l'effetto di influenzare il merito, a parte il peculiare caso dell'

art. 14, comma 3, c.p.c.

.

L'applicabilità del principio posto dall'

art. 10 c.p.c.

anche agli ulteriori criteri di competenza implica che, anche nell'individuazione del giudice competente per materia, debba farsi riferimento esclusivo alla domanda, a prescindere dalla fondatezza o ammissibilità della stessa (

Cass.

civ.,

18 gennaio 2007 n. 1122

;

Cass.

civ.,

25 agosto 2006 n. 18485

).

Il principio che il valore rileva ai soli fini della competenza fa sì, come è stato esattamente rilevato, che in sede di merito il giudice ben potrà sia decidere superando i limiti di valore della propria competenza, sia pronunciare una sentenza che, nonostante l'originaria determinazione del valore, vada al di sotto dei suoi limiti inferiori di competenza.

La giurisprudenza afferma che la competenza per materia si determina, ai sensi dell'

art. 10 c.p.c.

, utilizzando un criterio aprioristico, secondo la prospettazione fornita dall'attore nella domanda e che la norma, pur se dettata per la competenza per valore, esprime un principio generale e, come tale, applicabile anche in riferimento agli altri tipi di competenza (

Cass.

civ.,

18 gennaio 2007, n. 1122

). La dottrina è sostanzialmente concorde nell'affermare che il concetto di «domanda» ha valore generale per qualunque tipo di competenza e, pertanto, oltre che con riguardo alla competenza per valore, anche con riferimento agli altri criteri, siano essi della materia o del valore (Gionfrida, Competenza, 46; Segré, Della competenza, 109).

Tuttavia bisogna fare qualche precisazione. Mentre per individuare il giudice competente per materia, la determinazione dell'oggetto della controversia va effettuata con riferimento al contenuto della domanda, ossia alla sostanza delle pretese e dei fatti posti a suo fondamento, liberamente qualificabili dal giudice sotto il profilo giuridico (Cass. civ., 16 ottobre 1985, n. 5090), con riferimento alla determinazione della competenza per valore e territorio, il rinvio alla domanda ha valore solo per identificare l'azione. Invece, per determinare in concreto il criterio da adottare, deve farsi riferimento alle regole poste dalla legge nella norma in commento e nelle seguenti, con l'avvertenza, già ricordata, che l'accertamento compiuto dal giudice è comunque ininfluente al fine della decisione di merito, salva l'eccezione di cui all'art. 14, comma 3.

Pertanto il rinvio alla domanda assegna rilievo al quid disputandum e nega rilievo al quid decisum (

Cass.

civ.,

14 maggio 2004, n. 9251

;

Cass.

civ.,

2 aprile 2002, n. 4638

).

In virtù della già ricordata estensione della regola posta dall'

art. 10 c.p.c.

alla determinazione degli altri criteri di competenza, anche la competenza per materia si determina sulla base della domanda dell'attore e dei fatti posti a fondamento della stessa, mentre le eccezioni del convenuto possono assumere soltanto il ruolo di fonte residuale di convincimento, non di contrapposizione dialettica, rispetto alla prospettazione della domanda stessa (

Cass.

civ.,

10 gennaio 2000, n. 152

; il principio è ribadito anche dalle

sezioni unite: Cass.

civ.

, sez.

un., 6 luglio 2005, n. 14205

;

Cass.

civ.,

6 febbraio 2007, n. 2566

). Lo stesso principio è affermato anche con riguardo alla determinazione della competenza per territorio che va quindi determinata con riferimento alla domanda così come proposta, prescindendo da ogni indagine circa la relativa fondatezza nel merito (

Cass.

civ.,

18 aprile 2006, n. 8950

;

Cass.

civ.,

17 maggio 2007, n. 11415

;

Cass.

civ.,

25 agosto 2006, n. 18485

. Contra tuttavia si veda

Cass.

civ.,

01

luglio 1994, n. 6269

).

In applicazione delle regole già ricordate, per determinare la competenza per valore ai sensi della disposizione dell'

art. 10 c.p.c.

, bisogna far riferimento alla domanda formulata dalla parte in giudizio, indipendentemente dal titolo o rapporto giuridico su cui si fonda (Cass. civ., 12 gennaio 1972, n. 90).

Orientamenti a confronto

DOTTRINA

GIURISPRUDENZA

Maggioritaria

: si deve aver riguardo sia al petitum che alla causa petendi perché il valore non sarebbe determinato soltanto dal petitum ma da entrambi, e, precisamente, dalla causa petendi nei limiti della richiesta e, quindi, del petitum. Secondo altra parte della dottrina, bisognerebbe far riferimento soltanto al petitum (D'Onofrio, Commento, 27).

Minoritaria:

si dovrebbe, invece, escludere che la norma in commento faccia riferimento al solo contenuto della domanda dell'attore perché, se così fosse, il giudizio sulla competenza sarebbe «assurdamente» impedito dall'arbitrio di una sola parte, cosa che invece notoriamente non si verifica; sicché l'unico senso tecnico da assegnare alla previsione sarebbe quello che il giudice ha il dovere di qualificare quel contenuto sostanziale, sulla base del petitum e della causa petendi, e dei relativi nessi, alla stregua dei criteri di identificazione delle azioni (Levoni, Competenza, 110; Gionfrida, Competenza, 49).

Dominante

: si deve, comunque, avere riguardo all'oggetto della domanda e non all'accertamento che il giudice deve compiere per decidere sulla fondatezza della pretesa della parte (Cass. civ., 20 agosto 1983, n. 5431; Cass. civ., 14 maggio 2004, n.

925;

Cass. civ., 21 gennaio 2006, n. 1338

;

Cass. civ., 11 gennaio 2006, n. 393

).

L'eventuale ampliamento o riduzione della domanda da parte dell'attore

La determinazione del valore va effettuata rispetto alla pretesa formulata al momento della proposizione della domanda, non avendo rilevanza i successivi mutamenti della pretesa stessa effettuati dall'attore, e, quindi, ai fini della competenza per valore, non rileva l'eventuale riduzione dell'iniziale petitum (

Cass.

civ.,

28 giugno 1986, n. 4319

;

Cass.

civ.,

21 gennaio 2005, n. 1338

;

Cass.

civ,

3 marzo 2006, n. 4716

;

Cass.

civ.,

18 settembre 2006, n. 20118

;

Cass.

civ.,

18 gennaio 2007, n. 1122

; contra,

Cass.

civ.,

21 maggio 1993, n. 577

9

). La soluzione evita i problemi che invece derivano dalle diverse interpretazioni dottrinali sul punto (Segré, Della competenza, 154; Levoni, Competenza, 111).

Orientamenti a confronto

Rilevanza della riduzione del petitum

La riduzione del petitum qualora l'attore rinunci ad una parte della domanda iniziale, ovvero ad una o più delle domande cumulate, avrebbe l'effetto di rendere competente il giudice qualora l'attore in questo modo faccia rientrare la domanda nei limiti della competenza del giudice adito; mentre se, con questo comportamento, ottenga l'effetto di portare il valore della domanda al di sotto del limite minimo della competenza del giudice adito, questa riduzione non influirebbe sulla competenza così fissata (Segré, Della competenza, 154; Levoni, Competenza, 111).

Irrilevanza della riduzione del petitum

La riduzione del petitum è irrilevante sicché non incide sulla competenza così come determinata all'origine in base alla domanda Gionfrida, Competenza, 45 e ss.; in giur.

Cass. civ., 28 giugno 1986, n. 4319

;

Cass. civ., 21 gennaio 2005, n. 1338

;

Cass. civ, 3 marzo 2006, n. 4716

;

Cass. civ., 18 settembre 2006, n. 20118

;

Cass. civ., 18 gennaio 2007, n. 1122

; contra,

Cass. civ., 21 maggio 1993, n. 5779

)

Ulteriore problema da risolvere è se l'ampliamento dell'iniziale petitum da parte dell'attore possa avere conseguenze sulla determinazione della competenza. La soluzione del profilo è più controversa. Secondo parte della giurisprudenza se a seguito della modificazione in aumento della domanda originaria il giudice diventa incompetente, la causa deve essere rimessa al giudice superiore; si tratterebbe della logica conseguenza del principio per cui l'identificazione della domanda va compiuta tenendo conto non solo delle risultanze dell'atto di citazione, ma anche delle precisazioni o modificazioni apportate dall'attore alla domanda stessa (Cass. civ., 9 gennaio 1984, n. 144 e Segré, Della competenza, 112; contra, v.

Cass.

civ.,

18 settembre 2006, n. 20118

; v. anche la ricostruzione del problema in Asprella, sub art. 10, 256).

In particolare si è precisato che, ai fini della determinazione del valore della causa, il giudice deve anche tenere conto, per una esigenza di economia processuale, delle modifiche e riduzioni della domanda ritualmente introdotte dall'attore nel corso del giudizio, quando queste riconducano la controversia nell'ambito della sua competenza. Non vi osta infatti né il principio generale della norma in commento, che, pur legando la determinazione del valore della causa alla domanda originaria, nulla dispone sugli effetti dei successivi mutamenti di questa domanda, né il principio dell'

art. 5 c.p.c.

, che si riferisce solo a quelle situazioni extraprocessuali che la legge assume come fatti determinativi della competenza o della giurisdizione e non anche a quegli elementi intrinseci della domanda, né, infine, il principio della rilevabilità di ufficio della incompetenza per valore nel corso del giudizio di primo grado che non implica affatto la necessità che il giudice declini la competenza su una domanda che, prima della decisione, sia stata ricondotta nei limiti della competenza del giudice adito e che solo a questo potrebbe, quindi, essere riproposta (

Cass.

civ.,

21 maggio 1993, n. 5779

). Pertanto, nelle cause relative a somme di denaro, qualora l'attore, mediante emendatio libelli, amplii l'originario petitum, richiedendo una somma eccedente i limiti di competenza del giudice adito, questi deve dichiarare la propria incompetenza e rimettere le parti dinanzi al giudice superiore (Cass. civ., 9 gennaio 1984, n. 144). In questo senso si è anche precisato che la parte che abbia proposto domanda di risarcimento in termini generici, con l'espressa riserva di determinazione in corso di causa, può ampliare il petitum con la richiesta di una somma anche superiore ai limiti di competenza per valore del giudice adito, non comportando ciò variazione del fatto giuridico posto a base della pretesa né aggiungendo o sostituendo un diverso oggetto; in tale ipotesi, il giudice adito, che non può esimersi dal prendere in considerazione il maggior importo richiesto, deve dichiarare la propria incompetenza rimettendo la causa al giudice superiore (Cass. civ., 11 maggio 1985, n. 2941).

Contra

, invece, si è affermata l'irrilevanza anche delle modifiche in aumento dell'iniziale petitum. Si è infatti precisato che bisogna far riferimento non già al quid decisum, bensì al quid disputatum quale criterio discriminante per fissare il valore della causa, che pertanto non è influenzato dai mutamenti successivi che possono eventualmente verificarsi nel corso del giudizio, dovendosi tener fermo il principio che la lite resta radicata secondo le prospettazioni dell'attore contenute nell'atto introduttivo del giudizio stesso (Cass. civ., 9 ottobre 1985, n. 4922).

Infine, ai fini della competenza per valore, la domanda riconvenzionale non può cumularsi con la domanda principale, in quanto il valore della causa si determina in base alla domanda introduttiva (Cass. civ., 15 novembre 1997, n. 11320).

La giurisprudenza ha comunque precisato che al fine della determinazione della competenza per valore non ha alcuna rilevanza l'indicazione del valore della causa riportata in calce all'atto di citazione per il contributo unificato dovuto per legge atteso che questa indicazione ha una finalità esclusivamente fiscale (

Cass.

civ.,

20 dicembre 2007, n. 26988

). Oltre a questa considerazione si è detto (

Cass.

civ.,

26 febbraio 2008, n. 4994

) che l'irrilevanza della somma dichiarata i fini del contributo in questione si giustificherebbe perché il secondo comma dell' art. 14 del d.P.R. sulle spese di giustizia (

D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115

) esclude la rilevanza degli interessi per l'individuazione del valore ai fini del contributo unificato, mentre essi sono considerati dal secondo comma dell'articolo in commento come rilevanti ai fini dell'individuazione del valore della domanda.

Eventuali eccezioni del convenuto

Normalmente non influiscono sul valore della causa le contestazioni o le eccezioni proposte dal convenuto, tranne nel caso in cui diano luogo ad accertamento incidentale ex

art. 34

c.p.c.

(

Cass.

civ.,

2 aprile 2002, n. 4638

; Asprella, sub art. 10, 259). In sostanza il principio fissato dall'

art. 10 c.p.c.

in relazione alla competenza per valore, ma valevole anche per gli altri criteri di competenza, comporta che i criteri di applicazione vanno desunti a prescindere dalla fondatezza della domanda, senza che rilevino le contestazioni formulate dal convenuto o le diverse prospettazioni dei fatti da esso avanzate, né l'eccezione da esso proposta che neghi l'esistenza dell'obbligazione (Cass. civ., 10 novembre 2003, n. 16866). Si devono, infatti, tenere separate le questioni concernenti il merito della causa da quelle relative alla competenza (

Cass.

civ.,

11 luglio 2003, n. 10966

). Ugualmente la dottrina (Satta, Commentario, 91 e ss.) ha affermato che soltanto le domande riconvenzionali o gli accertamenti incidentali ex

art. 34 c.p.c.

potrebbero incidere sulla competenza determinata in base alla domanda attorea perché hanno l'effetto di ampliare il thema decidendum, mentre non hanno alcun rilievo a tali fini né le contestazioni né le eccezioni proposte dal convenuto. In realtà, a parere di un'altra opinione, si è ritenuto, argomentando sulle disposizioni seguenti degli

artt. 12

e

13 c.p.c.

, che dovrebbe assegnarsi rilievo non solo alla domanda proposta dall'attore ma anche alle contestazioni e alle eccezioni del convenuto.

Sommatoria di domande

Il secondo comma dell'

art. 10 c.p.c.

stabilisce che, ai fini del calcolo del valore, le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, così come si sommano col capitale gli interessi, i danni e le spese anteriori alla proposizione dell'istanza.

La norma, secondo la dottrina unanime, disciplina agli effetti della competenza il cumulo oggettivo di domande non altrimenti connesse contro la stessa parte, previsto dall'

art. 104, comma 1, c.p.c.

(Liebman, Manuale, 60; Andrioli, Commento, 292; Fabbrini, Litisconsorzio, 2).

Questa norma, infatti, stabilisce che contro la stessa parte possono proporsi nello stesso processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell'articolo in commento, secondo comma. La norma, pertanto, individua, come limite di ammissibilità al cumulo oggettivo il rispetto della competenza per valore determinata ai sensi della norma (Cass. civ., 23 agosto 2002, n. 12549; Asprella, sub art. 10, 259).

Oltre alla limitazione al cumulo c.d. oggettivo, l'

art. 10 c.p.c.

specifica la necessità che le più domande siano proposte nei confronti della stessa parte; qualora non sia così per la determinazione della competenza bisogna considerare la domanda di maggior valore (

Cass.

civ.,

20 luglio 1999, n. 7757

).

Per determinare il valore della causa l'art. 10 non pone alcun limite in relazione alla diversa natura delle azioni che possono essere cumulativamente proposte: sicché sono ad esempio cumulabili domande relative a diritti reali immobiliari e domande relative all'esecuzione di un facere o a somma di danaro (Cass. civ., 18 novembre 1971, n. 3313).

Sicché la disposizione non trova applicazione nell'ipotesi di cumulo meramente soggettivo di domande ex

art. 103 c.p.c.

ma anche nell'ipotesi di più convenuti da azioni connesse e, infine, di domande riconvenzionali, anche originanti un litisconsorzio facoltativo successivo, perché estese a soggetti diversi rispetto all'originario attore o affiancate da domande connesse alla riconvenzionale, proposte da soggetti diversi dall'originario convenuto. Si è infatti precisato che in queste ipotesi manca il presupposto applicativo della previsione, ossia «le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona».

Inoltre la regola in questione non si applica in alcune ipotesi: a) quando le domande proposte contro la stessa persona sono cumulate in virtù di riunione ex

artt. 273-274 c.p.c.

e non sono proposte fin dall'origine insieme (Cass. civ, 18 settembre 1980, n. 5297); b) quando le domande vengono proposte alternativamente o subordinatamente; c) quando una delle domande possa definirsi meramente accessoria rispetto alla principale (Cass. civ., 29 giugno 1984, n. 3860) ovviamente non nell'ipotesi prevista dall'art. 10, comma 2, ultima parte, c.p.c.; d) quando una delle domande cumulate appartiene alla competenza per materia del giudice adito (

Cass.

civ.,

6 giugno 2006, n. 13228

)..

Casistica: disapplicazione della regola del cumulo

Domande proposte contro la stessa persona sono cumulate in virtù di riunione ex

artt. 273-274 c.p.c.

e non sono proposte fin dall'origine insieme.

Cass. civ, 18 settembre 1980, n. 5297

Domande proposte alternativamente o subordinatamente.

Quando una delle domande possa definirsi meramente accessoria rispetto alla principale (salvo l'ipotesi prevista dall'art. 10, secondo comma, ultima parte, c.p.c. ).

Cass. civ., 29 giugno 1984, n. 3860

Quando una delle domande cumulate appartiene alla competenza per materia del giudice adito.

Cass. civ., 6 giugno 2006, n. 13228

La disciplina delle spese, degli interessi e dei danni anteriori alla proposizione della domanda

L'

art. 10 c.p.c.

precisa che gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano col capitale: soltanto le quote già maturate nel momento in cui viene proposta la domanda si computano al fine della competenza per valore (Segré, Della competenza, 150; Andrioli, Commento, 64;

Cass.

civ.

, sez. un., 11 febbraio 1998, n. 1444

;

Cass.

civ.,

21 aprile 2006, n. 9366

), purché richieste.

Viene quindi logicamente escluso il cumulo quando gli accessori vengano richiesti per il periodo successivo alla proposizione della domanda (

Cass.

civ.,

27 giugno 2003, n. 10249

).

Allo stesso modo si specifica che se nell'atto di citazione vengono richiesti, oltre al capitale, anche gli interessi legali, senza specificare se essi riguardano un periodo antecedente alla notificazione dell'atto di citazione, deve ritenersi che la domanda giudiziale costituisca, di per sé, atto di costituzione in mora e che gli interessi richiesti decorrano dalla notificazione della citazione, quindi che non siano cumulabili ai fini della determinazione del valore (Cass. civ., 29 aprile 1980, n. 2847).

L'elenco della norma è puramente esemplificativa, perché non pone fine all'elenco delle ipotetiche domande accessorie che possono essere chieste in giudizio e cumulate ai fini della determinazione del valore. Uno dei casi più comuni è quello relativo alla svalutazione monetaria ma si ritiene che la previsione si estenda, altresì, ai frutti naturali, alle pensioni, agli alimenti, ai canoni d'affitto, agli stipendi (

Cass.

civ.,

6 febbraio 2003, n. 10249

; Asprella, sub art. 10, 262).

Quando sia proposta domanda di risarcimento del danno di ammontare non specificato, con espressa richiesta di rivalutazione e di pagamento degli interessi si è in presenza di una pluralità di domande diverse oppure di un'unica domanda di risarcimento del danno articolata in più voci del pari illiquide ed indeterminate? A parere della giurisprudenza ai fini della determinazione del valore della causa, allorché la somma richiesta con la domanda principale sia pari al limite massimo della competenza del giudice adito, deve ritenersi che la domanda di pagamento delle prestazioni accessorie per i danni conseguenti alla svalutazione monetaria e gli interessi si riferisca, se non risulta il contrario dal contenuto dell'atto, solo al periodo successivo alla proposizione della domanda e non debba, conseguentemente, essere cumulata con la domanda principale, ai sensi del comma 2 dell'

art. 10 c.p.c.

(

Cass.

civ.,

27 dicembre 1993, n. 12793

;

Cass.

civ.,

9 aprile 1992, n. 4380

; contra,

Cass.

civ.,

17 marzo 1990, n. 2227

).

Le

spese

processuali cumulabili alla domanda, ai fini della determinazione del valore di essa, sono soltanto quelle occorse per procedimenti autonomi dal processo introdotto con la domanda stessa, non anche quelle (per dattilografia, copie fotostatiche, studio, consultazioni e simili) sostenute prima di tale processo e ai fini della sua instaurazione (

Cass.

civ.,

17 dicembre 2009, n. 26592

; Asprella, sub art. 10, 264).

Qualora siano proposte cumulativamente due domande, di cui una di risarcimento del danno e l'altra di rimborso delle

spese

relative ad accertamento tecnico preventivo, senza indicarne il valore, la clausola o riserva di contenimento di una di esse non vale ad evitare il superamento della competenza del giudice adito, giacché, a differenza di quanto avviene nel caso in cui la riserva o clausola le investa entrambe, l'altra domanda assorbe interamente la competenza di tale giudice, per cui il cumulo ne comporta necessariamente il superamento (

Cass.

civ.,

10 dicembre 2001, n. 15571

; Cass. civ., 14 dicembre 1982, n. 6901).

Il valore della domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata non può, secondo la giurisprudenza, essere cumulato con il valore della domanda principale, trattandosi di domanda che rientra nella competenza funzionale - sia per l'an che per il quantum - del giudice che è competente a conoscere della domanda principale (

Cass.

civ.,

26 gennaio 2004, n. 1322

). Analogo principio è stato affermato quanto alle spese liquidate nel decreto ingiuntivo opposto (Cass. civ, 1 febbraio 1985, n. 680; Asprella, sub art. 10, 263).

La giurisprudenza ha precisato, altresì, che, qualora nell'ipotesi di una domanda di risarcimento del danno di ammontare non specificato si richieda anche il pagamento di rivalutazione e di interessi già maturati, non si è in presenza di una pluralità di domande bensì, attesa l'identità del titolo e della relativa natura giuridica, di un'unica domanda di risarcimento dei danni articolata in più voci illiquide ed indeterminate, con conseguente inapplicabilità dell'

art. 10, comma

2

, c.p.c.

(

Cass.

civ.,

10 febbraio 1999, n. 1136

;

Cass.

civ.,

14 ottobre 2005, n. 19976

; contra,

Cass.

civ.,

17 marzo 1990, n. 2227

).

La norma limita il cumulo agli accessori anteriori con espressa esclusione, pertanto, di quelli posteriori. La ragione di questa limitazione sta, secondo autorevole dottrina, nel fatto che il rapporto processuale ha inizio con la domanda della parte e i fatti posteriori non devono modificare lo status quo. La giurisprudenza ha specificato più volte il principio affermando che ai fini della determinazione della competenza per valore, nonché del cumulo da operare tra debito principale ed interessi, la norma in commento, al secondo comma parla di «interessi scaduti», ossia maturati prima dell'atto introduttivo (e - più precisamente - della notificazione dello stesso), con la conseguenza per cui, ai fini della determinazione del valore della causa, deve tenersi conto soltanto degli interessi già maturati prima della notifica del suddetto atto (

Cass.

civ.

, sez. un., 11 febbraio 1998, n. 1441

). Il principio, si è affermato, trova applicazione anche con riferimento al danno da svalutazione monetaria, sicché, ai fini della determinazione del valore della causa, deve tenersi conto soltanto della frazione di deprezzamento monetario intervenuto tra l'evento dannoso e la domanda, con esclusione della svalutazione monetaria maturatasi nel periodo successivo (

Cass.

civ.,

8 settembre 2006, n. 19032

).

Riferimenti

Acone, Santulli, Competenza. II) Diritto processuale civile, in Enc. Giur., vol. VII, Roma, 1988,

Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, I, 62;

Asprella, sub

art. 10 c.p.c.

in Commentario del codice di procedura civile a cura di Comoglio,

Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012

Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. 2, Padova, 2004, 53 e ss.;

D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, vol. I, Torino, 1953, 27 e ss.

Gionfrida, Competenza in materia civile, in Enc. Dir., vol. VIII, Milano, 1961, 63 e ss.;

Levoni, Competenza nel diritto processuale civile, in Dig. Civ., vol. III, Torino, 1988, 110 e ss.;

23 e ss.;

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