Unitamente agli altri elementi la cui presenza è prevista nell'atto introduttivo del giudizio, le conclusioni hanno lo scopo di identificare il diritto fatto valere dall'attore e la domanda proposta al giudice. Senza la domanda, contenuta nella conclusioni, il giudice non può emettere la decisione in quanto questi dovrà e potrà decidere unicamente sulla base della domanda (come prevede l'art. 112 c.p.c.).
Inquadramento
Prevede l'art. 163 c.p.c., al comma 3, nn. 3 e 4 che l'atto di citazione debba contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, la determinazione della cosa oggetto della domanda e le conclusioni.
La necessaria indicazione delle conclusioni è prevista come contenuto imprescindibile di ogni atto introduttivo (art. 125 c.p.c.).
Unitamente agli altri elementi la cui presenza è prevista nell'atto introduttivo del giudizio, le conclusioni hanno lo scopo di identificare il diritto fatto valere dall'attore e la domanda proposta al giudice; senza la domanda, contenuta nella conclusioni, il giudice non può emettere la decisione in quanto questi dovrà e potrà decidere unicamente sulla base della domanda (come prevede l'art. 112 c.p.c.).
Si tratta dei tradizionali criteri di identificazione della domanda, i quali fanno riferimento alla nozione di causa petendi e petitum, ove il petitum, appunto, rappresenta ciò che è richiesto al giudice, ossia il provvedimento che l'attore chiede al giudice di pronunciare.
A tal proposito si distingue tra petitum immediato, rappresentato dal bene materiale di cui l'attore chiede l'attribuzione (la «cosa oggetto della domanda» di cui al n. 3), e petitum mediato, rappresentato dal provvedimento che l'attore chiede al giudice di pronunciare (indicato nelle "conclusioni" cui fa riferimento il n. 4).
Funzione delle conclusioni
Le conclusioni hanno la funzione di chiarire il risultato che l'attore si prefigge di raggiungere; occorrerà, quindi, stabilire se questo risultato corrisponda ad un diritto dell'istante.
A tale scopo, pertanto, la nozione di causa petendi ricomprende «l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto» previsti dal n. 4 dell'art. 163 c.p.c. e, quindi, sia il fatto storico posto alla base della domanda sia le norme giuridiche che prevedono, da un lato, la fattispecie astratta e, dall'altro, le conseguenze in diritto che discendono dalla realizzazione della fattispecie, coincidenti con la pretesa fatta valere.
In evidenza
In dottrina, secondo un orientamento, l'indicazione dei fatti sarebbe indispensabile solo per i diritti c.d. "eterodeterminati", che sono quei diritti suscettibili di diversa consistenza tra gli stessi soggetti ed in relazione allo stesso oggetto (ad esempio un vantato diritto di credito di un soggetto nei confronti di un altro); al contrario non sarebbe necessaria l'esposizione del fatto, per l'identificazione dei diritti c.d. "autodeterminati", cioè quei diritti assoluti che non possono variare in dipendenza del fatto dal quale genera la domanda (ad es. i diritti reali). Ciò in quanto mentre il diritto eterodeterminato varia in funzione del fatto che sottende la domanda, il diritto autodeterminato viene riconosciuto ex se.
Altro orientamento nega questa distinzione affermando che la funzione identificatrice della causa petendi non possa mutare, considerando che il diritto non viene mai fatto valere in astratto, ma in conseguenza di una specifica lesione; pertanto anche nei diritti autodeterminati il fatto costituirebbe sempre e comunque il fondamento della domanda.
Gli elementi che determinano la domanda
Fondamentale affinché si possa giungere al provvedimento giudiziale, corrispondente a quanto richiesto nelle conclusioni, è che vi siano sufficienti elementi per identificare la domanda stessa.
Questa valutazione è riservata al giudice di merito e, come tale, incensurabile in sede di ricorso per Cassazione (Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2004, n. 18184, in Guida al Diritto, 2004, 48, 66).
Per compiere tale valutazione bisogna considerare l'atto introduttivo del giudizio nella sua globalità assieme alla documentazione allegata (Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18783, in Mass. Giur. It., 2009). Infatti se è vero che la domanda, contenuta nelle conclusioni, deve sempre sussistere, è pur vero che essa può risultare, anche implicitamente dal contesto dell'atto introduttivo del giudizio, non essendo richieste formule sacramentali. (Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2000, n. 14142, in Mass. Giur. It., 2000).
Altro principio fondamentale è quello per il quale non è possibile mutare la domanda in corso di causa, la c.d. mutatio libelli.
Segue: Casistica
CASISTICA
La proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei c.d. diritti «autodeterminati», individuati, cioè sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto, con la conseguenza che la causa petendi, delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo - contratto, successione ereditaria, usucapione ecc. - che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessaria ai soli fini della prova; non viola pertanto il divieto dello ius novorum in appello, pertanto, la deduzione da parte dell'attore - o, come nella specie, il rilievo ex officio iudicis - di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (nella specie, acquisizione di una strada rivendicata in primo grado ex collazione privatorumagrorum, e ritenuta, dal giudice di appello, fondata invece su un'aggiudicazione in sede di esecuzione).
Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2003, n. 3192, in Arch. Civ., 2004, 83
La proprietà appartiene alla categoria dei diritti "autodeterminati", individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, sicché nelle azioni ad essi relative, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, la causa petendi si identifica con i diritti stessi, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Ne consegue che l'allegazione, nel corso del giudizio di rivendicazione, di un titolo diverso (nella specie, usucapione) rispetto a quello (nella specie, contratto) posto inizialmente a fondamento della domanda costituisce soltanto un'integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione non configurabile come domanda nuova, nè come rinuncia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza.
Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 2002, n. 18370, in Impresa, 2003, 503
In tema di azione rivendicazione, la proprietà appartiene alla categoria dei diritti "autodeterminati", individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, cosicché nelle azioni ad essi relative, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, la causa petendi si identifica con i diritti stessi, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Non può pertanto ravvisarsi la nullità dell'atto di citazione per mancata indicazione del titolo in funzione del quale il bene immobile viene rivendicato.
Cass. civ., sez. II, 17 luglio 2007, n. 15915, in Mass. Giur. It., 2007
La domanda di nullità di un contratto per inesistenza della causa costituisce, rispetto all'originaria domanda di inefficacia - nullità del medesimo contratto per simulazione, domanda nuova, posto che le suddette domande non sono "autodeterminate", ossia tali che l'individuazione del diritto affermato prescinde dal titolo e si motiva in relazione alla natura unica ed irripetibile della situazione sostanziale, ovvero alla posizione dei soggetti con riferimento allo stesso bene, bensì "eterodeterminate", ossia tali che l'identificazione delle stesse è in funzione dello specifico fatto storico contrattualmente qualificato, sicché la "causa petendi" si risolve nel riferimento concreto a quel fatto specifico che è affermato ed allegato come costitutivo e perciò individuatore del diritto che si fa valere.
Cass. civ., sez. I, 6 agosto 1997, n. 7267, in Mass. Giur. It., 1997
La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa proposta in appello integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale formulata in primo grado, una domanda nuova, come tale inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c. Infatti, tali domande di adempimento di obbligazioni riguardano entrambe diritti cosiddetti "eterodeterminati" per l'individuazione dei quali è necessario fare riferimento ai fatti costitutivi delle rispettive pretese, che divergono sensibilmente tra loro e identificano due distinte entità, nessuna delle quali può dirsi potenzialmente contenente l'altra o potenzialmente in essa contenuta.
Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2003, n. 16005, in Gius, 2004, 962
Nel caso di domanda giudiziale avente ad oggetto un diritto "eterodeterminato", poiché per la sua individuazione è indispensabile il riferimento al relativo fatto costitutivo così come allegato dalla parte, la sua modificazione comporta modificazione della domanda, determinandone quindi la novità; pertanto, nel caso di modificazione del fatto costitutivo in appello, la domanda è inammissibile, anche se quest'ultimo, benché non allegato nel giudizio di primo grado, risulti provato (nella specie la S.C. ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata che - nel corso del giudizio di opposizione allo stato passivo di un fallimento - ha ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda di ammissione al passivo per il credito da rimborso di un finanziamento proposta in sede di gravame, avendo la parte chiesto con la domanda ex art.93l. fall., l'ammissione al passivo per il prezzo di una compravendita).
Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2003, n. 15142, in Arch. Civ., 2004, 904
La proprietà appartiene alla categoria dei diritti "autodeterminati", individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, sicché nelle azioni ad essi relative, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, la causa petendi si identifica con i diritti stessi, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda. Ne consegue che l'allegazione, nel corso del giudizio di rivendicazione, di un titolo diverso (nella specie usucapione) rispetto a quello (nella specie contratto) posto inizialmente a fondamento della domanda costituisce soltanto un'integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione non configurabile come domanda nuova, né come rinuncia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza. (Rigetta, App. Sassari, 20 settembre 2004).
Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2010, n. 22598
La mancanza delle conclusioni
Come accennato sopra, il vizio di insufficiente determinazione dell'oggetto della domanda, ossia di petitum e causa petendi, sussiste solo quando gli elementi identificatori del diritto fatto valere non siano ricavabili da un esame complessivo dell'atto introduttivo (Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18783, in Mass. Giur. It., 2009).
Pertanto, anche la mancata formulazione delle conclusioni nell'atto di appello è stata ritenuta sanabile ex tunc, a mezzo di integrazione, se enunciati i motivi nella narrativa dell'atto (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2004, n. 8526).
La valutazione, poi, oltre che tenere presente l'intero atto introduttivo del giudizio, dovrà compiersi caso per caso.
Pertanto: «La declaratoria di nullità della citazione ai sensi dell'art. 164, comma 4, c.p.c. postula una valutazione da compiersi caso per caso, tenendo conto che la ragione ispiratrice della norma risiede nell'esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese. Pertanto, nel valutare il grado di incertezza della domanda, non può prescindersi dall'intero contesto dell'atto introduttivo, dalla natura del relativo oggetto e dal comportamento della controparte, dovendosi accertare se, nonostante l'obiettiva incertezza, il convenuto sia in grado di comprendere agevolmente le richieste dell'attore o se, invece, in difetto di maggiori specificazioni, si trovi in difficoltà nel predisporre una precisa linea difensiva». (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27670, Mass. Giur. It., 2008).
Risulta evidente, poi, che l'incertezza sulla domanda non potrà essere sanata dalla costituzione del convenuto, ma il giudice dovrà ordinare l'integrazione della domanda stessa assegnando all'uopo un termine perentorio e la sanatoria potrà, quindi, intervenire solo con effettoex nunc: l'art. 164, ultimo comma, c.p.c., prevede, infatti, che il giudice fissi l'udienza ai sensi dell'art. 183, comma 2,c.p.c., e si applichi l'art. 167 c.p.c. .
Se il giudice omette di ordinare l'integrazione o la rinnovazione d'una citazione nulla per mancata indicazione del fatto costitutivo della pretesa (art. 163, n. 4, c.p.c.), nonostante l'eccezione in tal senso sollevata dal convenuto, diventa onere dell'attore stesso invocare dal giudice la fissazione del termine per sanare la nullità. Ove ciò non faccia, e la nullità venga dedotta come motivo d'appello, il giudice del gravame non dovrà fissare alcun termine per la rinnovazione dell'atto nullo, ma dovrà definire il processo con una pronuncia in rito che accerti il vizio della citazione introduttiva (Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2012, n. 17408, in CED Cassazione, 2012).
La nullità prevista dall'art. 164, comma 4,c.p.c., si produce solo quando «l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda», sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso. La nullità della citazione comminata dall'art. 164, comma 4, c.p.c. si produce solo quando "l'esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda", prescritta dal numero 4 dell'art. 163 c.p.c., sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, occorrendo tenere conto sia che l'identificazione della causa petendi della domanda va operata con riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, sia che la nullità della citazione deriva dall'assoluta incertezza delle ragioni della domanda, risiedendo la sua ratio ispiratrice nell'esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese». (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2013, n. 11751, in CED Cassazione, 2013).
Riferimenti
CERINO CANOVA, La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in Comm. c.p.c. Allorio, II, Torino, 1980, 177;
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, 22ª ed., Torino, 2012, par. 3.