Alimenti (cause in materia di)

30 Marzo 2016

L'obbligo di prestare gli alimenti costituisce un'obbligazione legale che trova il suo fondamento negli artt. 433 e ss. c.c. e svolge una funzione assistenziale e solidaristica all'interno dei rapporti familiari, oppure nel caso vi sia stata una donazione, per ragioni di riconoscenza da parte del donatario nei confronti del donante (art. 437 c.c.).Tale obbligo è permeato da una logica solidaristica, come dimostra la disciplina dei presupposti e della misura in cui sono dovuti gli alimenti ai sensi dell'art. 438 c.c.: è legittimato, infatti, a domandarli soltanto chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, nella misura di quanto necessario per la propria sussistenza.

Inquadramento

L'obbligo di prestare gli alimenti costituisce un'obbligazione legale che trova il suo fondamento negli artt. 433 e ss. c.c.

e svolge una funzione assistenziale e solidaristica all'interno dei rapporti familiari, oppure nel caso vi sia stata una donazione, per ragioni di riconoscenza da parte del donatario nei confronti del donante (art. 437 c.c.).

 

Tale obbligo è permeato da una logica solidaristica, come dimostra la disciplina dei presupposti e della misura in cui sono dovuti gli alimenti ai sensi dell'art. 438 c.c.: è legittimato, infatti, a domandarli soltanto chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, nella misura di quanto necessario per la propria sussistenza.

 

Per converso soltanto alcuni soggetti sono obbligati a corrispondere gli alimenti nei confronti di chi li domandi, in quanto a lui legati da relazioni affettive, familiari o in forza di una pregressa liberalità.

 

In presenza dei requisiti legali, dunque, sorge in capo all'alimentando un diritto di credito a ricevere la prestazione alimentare; tuttavia tale obbligo giuridico si caratterizza per la variabilità in meius o in peius (art. 440 c.c.) e per la sua natura strettamente personale, come rivela la disciplina in punto di cessione, compensazione (art. 447 c.c.) e cessazione per morte dell'obbligato (art. 448 c.c.).

 

Presupposti

L'obbligo di alimenti costituisce un'obbligazione ex lege che sorge solo in capo a determinati soggetti per effetto della domanda da parte di chi li chieda (cd. alimentando), in presenza dei presupposti legali individuati dall'art. 438 c.c.

 

Il primo presupposto è individuato nello “stato di bisogno” di chi li richieda; con tale locuzione deve intendersi una situazione di assoluta difficoltà del soggetto che li domandi, vale a dire quale insussistenza dei mezzi per fare fronte alle necessità essenziali e primarie della vita (es. cibo, vestiario ecc.).

 

La dottrina e la giurisprudenza civile sono concordi nel ritenere che non rilevi in alcun modo l'individuazione della causa dello stato di bisogno, per cui, anche se tale situazione di difficoltà derivi da colpa (e finanche da dolo) dell'alimentando, questi avrebbe comunque diritto alla corresponsione degli alimenti.

 

Ciò che conta, dunque, è soltanto l'effettiva sussistenza in concreto dello stato di bisogno, quale che sia la sua scaturigine; le ragioni solidaristiche sottese all'istituto non consentono infatti di ricondurre alcuna conseguenza alla pregressa condotta di chi versi in una situazione di indigenza.

 

L'accertamento dello stato di bisogno costituisce un apprezzamento di fatto, come tale insindacabile in Cassazione a meno che non sia fondato su presupposti erronei (Cass. civ., sez. II, 26 luglio 1966, n. 2066).

 

Ulteriore requisito è individuato dall'art. 438, comma 1., c.c. nell'impossibilità da parte di chi versa in stato di bisogno di provvedere al proprio mantenimento.

 

In altri termini chi avanzi la pretesa di vedersi corrisposti gli alimenti deve fornire in giudizio la prova che non può provvedere a se stesso mediante iniziativa personale, cioè impiegando le proprie energie in attività di carattere lavorativo per motivi di età, di condizioni fisi-psichiche o per altri fattori esterni a lui non imputabili.

 

Esempio

La moglie, il marito o il figlio maggiorenne che si trovino in possesso di facoltà psico-fisiche idonee per svolgere attività lavorativa non possono rifiutarsi di lavorare laddove possano usufruire di occasioni lavorative, preferendo invece ottenere la corresponsione degli alimenti da parte del coniuge o dei genitori obbligati per legge.

In tali casi, infatti, il rifiuto ingiustificato da parte di chi non intenda lavorare, pur potendo, non consente a chi agisce in giudizio per far valere il proprio diritto agli alimenti di provare la sussistenza del requisito dell'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento (ex multis Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 1990, n. 1099Cass. civ., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 7970Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2015, n. 11870). Chi, dunque, pur potendo raggiungere l'autosufficienza economica, non lo fa senza adeguata ragione, non potrà ottenere gli alimenti. Potrà invece farlo laddove dimostri in giudizio, ad esempio, un'inabilità psico-fisica all'espletamento dell'attività lavorativa, oppure che per altri fattori estrinseci a lui non imputabili ciò non sia possibile (come nel caso di assenza di opportunità di lavoro).

 

Nondimeno la Suprema Corte ritiene che sussista il presupposto dell'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento laddove chi agisce in giudizio dimostri che il lavoro che dovrebbe espletare per provvedere a se stesso non sia confacente alle proprie abitudini e condizioni sociali (Cass. civ., sez. I, 30 marzo 1981, n. 1820).

 

I presupposti legali dello stato di bisogno e dell'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento devono sussistere congiuntamente e implicano sempre una valutazione concreta che tenga conto di tutti gli elementi in gioco, oggettivi e soggettivi.

Alimenti e mantenimento

 

L'obbligazione di prestare gli alimenti si differenzia da quella di mantenimento; come chiarito recentemente dal Trib. Prato, sent., 21 novembre 2011 (e in passato, ex multis, da Cass. civ., sez. I, 8 maggio 1980, n. 3033), gli alimenti devono consentire a chi ne ha diritto di ovviare alle necessitò fondamentali della vita quotidiana, mentre l'assegno di mantenimento riguarda la soddisfazione di tutte le esigenze (elementari e non) della vita di una persona, in relazione al suo tenore di vita.

 

Diverse dunque sono le funzioni dei due istituti, con gli alimenti che svolgono un ruolo strettamente assistenziale, garantendo la sussistenza dell'alimentato, ed il mantenimento che consente a chi ne abbia diritto di mantenere sostanzialmente il medesimo tenore di vita di cui godeva in precedenza.

 

Alla diversa ratio di tali obblighi corrisponde, non a caso, una diversa disciplina in punto di presupposti: in caso di crisi coniugale, infatti, al coniuge cui pure sia stato addebitata la separazione

ex art. 156 c.c. spettano comunque gli alimenti, mentre il riconoscimento dell'assegno di mantenimento è consentito solo nei confronti della persona cui non sia addebitabile la separazione.

Misura degli alimenti

 

L'art. 438 c.c. ai commi 2 e 3 individua le modalità di quantificazione degli alimenti che l'obbligato deve corrispondere all'alimentando.

 

Sono due i poli entro cui oscilla la determinazione del “quantum” della prestazione alimentare: il bisogno di chi li domanda e le condizioni economiche del somministrante.

 

Quanto allo stato di bisogno dell'alimentando, la giurisprudenza ritiene che questo debba essere commisurato non solo alle esigenze relative al vitto, all'abitazione, al vestiario ma pure, ove possibile, alle abitudini di agiatezza contratte precedentemente (così Cass. civ., sez. I., 21 maggio 1956, m. 1748).

 

Tuttavia parte della dottrina ha obiettato che una tale soluzione finisce per dare vita ad un'erronea confusione tra obbligo di alimenti ed obbligo di mantenimento; il primo, infatti, a differenza del secondo, dovrebbe fornire all'alimentando solo ciò che è strettamente necessario alla sua sopravvivenza, onde non aggravare oltremodo la posizione dell'obbligato e tenuto conto che l'art. 438, comma 2,c.c. prevede che gli alimenti «non devono sperare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando».

 

Occorre poi che il giudice quantifichi l'obbligo alimentare anche avuto riguardo alle condizioni economiche di chi deve somministrare gli alimenti.

 

Tale capacità va valutata in base alle sue ordinarie condizioni di reddito sussistenti – qualunque ne sia la fonte - al momento in cui la pretesa alimentare sorge, non potendo invece far valere in giudizio né l'alimentando, né chi è obbligato a somministrare gli alimenti, i possibili, futuri ed eventuali mutamenti delle condizioni economiche del somministrante, onde ottenere un aumento o una riduzione del quantum debeatur.

 

Dubbi ha suscitato invece la perimetrazione del riparto dell'onere della prova con riguardo alle condizioni economiche del soggetto obbligato.

Orientamenti a confronto

ONERE DELLA PROVA CIRCA LE CONDIZIONI ECONOMICHE DELL'OBBLIGATO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

L'onere della prova delle condizioni economiche del soggetto obbligato incombe in capo all'alimentando che agisce in giudizio

In virtù del principio secondo cui onus probandi incumbit ei cui dicit, l'alimentando che agisce in giudizio per far valere il suo diritto alla prestazione alimentare è tenuto a provare tutti che ne costituiscono fondamento: pertanto grava su di lui non soltanto la prova dello stato di bisogno, m anche l'altro requisito che dà origine alla pretesa, caratterizzato dalla disponibilità dell'obbligato a soccorrerlo App. Venezia, 7 settembre 2005; App. Firenze, 21 febbraio 1951.

 

 

L'onere della prova delle condizioni economiche del soggetto obbligato non grava sull'alimentando, ma sul somministrante

 

 

In materia di cause attinenti agli obblighi alimentari si rende necessario un equilibrato assetto dell'onere probatorio: ciò determina, in concreto, che all'alimentando spetta la sola prova dell'indigenza, e non anche quella della capacità economica dell'obbligato, che invece grava su quest'ultimo Trib. Genova, 5 giugno 1965.

Ad ogni modo occorre rilevare che l'obbligazione alimentare si caratterizza per la sua “variabilità”, perché, potendo perdurare nel tempo, sul relativo quantum sono destinati ad incidere i mutamenti delle condizioni economiche di chi li somministra e di chi li riceve, come sancisce l'art. 440, comma 1, c.c.

 

Maggiori limiti in punto di quantum alimentare si pongono con riferimento al donatario: l'art. 438, comma 2, c.c. prevede infatti che il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.

 

Soggetti obbligati

 

L'art. 433 c.c. prevede un'elencazione tassativa delle persone obbligate a prestare gli alimenti, che sono nell'ordine: il coniuge, i figli, anche adottivi e in loro mancanza i discendenti prossimi; i genitori e in loro mancanza gli ascendenti prossimi nonché gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; infine i fratelli e le sorelle sia germani che unilaterali, con precedenza dei primi sui secondi.

 

Laddove, dunque, i soggetti obbligati in via prioritaria non possano adempiere all'obbligazione di alimenti, si procederà man mano in base all'ordine sancito dalla legge.

 

È opportuno ricordare che a seguito della riforma della filiazione operata dalla l. n. 219/2012 anche i figli nati al di fuori del matrimonio saranno obbligati a prestare gli alimenti nei confronti dei genitori; l' art. 78 c.c., infatti, unifica lo status di “figlio” agli effetti legali, cancellando la distinzione tra figli legittimi e naturali.

 

In forza poi dell'art. 437 c.c. ove l'alimentando abbia in passato effettuato donazioni, il donatario è tenuto a prestare gli alimenti al donante con precedenza su tutti gli altri obbligati, a meno che non si tratti di una donazione obnuziale o remuneratoria. L'art. 801 c.c. prevede poi la possibilità che l'alimentando/donante domandi la revocazione per ingratitudine laddove il donatario gli abbia rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti per legge.

 

Il codice civile detta poi alcune regole peculiari per alcuni soggetti: in caso di adozione l'adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori ex art. 436 c.c. in caso di obbligo alimentare tra fratelli l'art. 439 c.c. sancisce che questi sono dovuti nella misura dello stretto necessario.

 

Inoltre l'art. 438, comma 3 c.c. stabilisce che il donatario è tenuto nei limiti del valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.

 

Laddove vi siano più obbligati nello stesso grado (art. 441 c.c.) tutti i coobbligati devono contribuire alla prestazione, ciascuna in proporzione alle proprie condizioni economiche: l'obbligazione dunque si atteggia come parziaria.

 

Diversamente, invece, ove vi sia un concorso di aventi diritto (art. 442 c.c.) nei confronti di un medesimo obbligato, e questi non possa provvedere ai bisogni di tutti questi, sarà l'autorità giudiziaria ad adottare i provvedimenti opportuni, tenendo conto della prossimità della parentela e dei rispettivi bisogni, nonché della possibilità che taluno degli aventi diritto abbia di conseguire gli alimenti da obbligati di grado ulteriore.

 

Modalità di somministrazione

L'art. 443 c.c. pone chi deve somministrare gli alimenti di fronte all'alternativa di adempiere o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa chi vi abbia diritto.

La prima modalità di adempimento si caratterizza per avere ad oggetto un “dare” e per la sua periodicità, tant'è che la misura dell'assegno può variare nel tempo ex art. 440 c.c., mentre la seconda si caratterizza per un facere e per il suo carattere continuativo.

L'obbligazione alimentare, quindi, si atteggia come alternativa, con facoltà di scelta circa le modalità di adempimento rimesse al debitore; ciononostante l'autorità giudiziaria può, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione in base al suo “prudente apprezzamento”.

Ad ogni modo l'art. 444 c.c. sancisce che se l'obbligazione alimentare è stata regolarmente adempiuta mediante assegno, questo non può essere nuovamente richiesto, qualunque sia l'uso che l'alimentando ne abbia fatto.

In capo a questi, a seguito dell'adempimento dell'obbligato, incombe il rischio di eventuali smarrimenti, furti o altre cause di perdita dell'assegno, in quanto proprietario del medesimo.

Assegno provvisorio

L'art. 446 c.c. prevede che finché non siano determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il Presidente del Tribunale può, sentita l'altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria, eventualmente ponendolo in capo ad uno solo dei coobbligati, salvo il regresso verso gli altri.

L'assegno provvisorio costituisce dunque un rimedio a carattere interinale, volto ad evitare le lungaggini processuali ed eventuali pregiudizi per l'alimentando.

La giurisprudenza di merito (Trib. Milano, ord., 3 aprile 2013Trib. Venezia, ord., 28 luglio 2004) la domanda di assegno provvisorio è inammissibile se non è ancora stato instaurato il giudizio di merito per accertare il diritto agli alimenti, posta la stretta strumentalità tra fase provvisoria e fase di merito.

Né tantomeno l'alimentando potrebbe fare ricorso alla tutela d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per ottenere rapidamente gli alimenti, considerato che nel sistema normativo è prevista una tutela cautelare tipica come l'

art. 446 c.c., unico rimedio azionabile da parte di chi voglia ottenere la prestazione di alimenti (così Trib. Milano, ord., 3 aprile 2013).

Di contrario avviso si mostra però altra parte della giurisprudenza di merito.

POSSIBILITÀ CHE L'ALIMENTANDO AGISCA AI SENSI DELL'ARTICOLO 700 C.P.C. PER OTTENERE L'ASSEGNO PROVVISORIO

Chi vuole ottenere gli alimenti in via provvisoria non può fare ricorso alla tutela cautelare prevista dal c.p.c.

Il carattere residuale della tutela d'urgenza disciplinata nel c.p.c. esclude che essa possa essere esperita in presenza di un rimedio cautelare tipico come quello di cui all'art. 446 c.c. (Trib. Milano, ord., 3 aprile 2013;Trib. Venezia, ord., 28 luglio 2004)

Chi vuole ottenere in via provvisoria può fare ricorso alla tutela cautelare prevista dal c.p.c.

Poiché il rimedio di cui all'art. 446 c.c. presuppone l'instaurazione di un giudizio di merito – a differenza della tutela

ex art. 700 c.p.c.-, non può dirsi che la prima abbia natura cautelare, per cui è possibile azionare la tutela d'urgenza per ottenere in via provvisoria gli alimenti (Trib. Catania, 22 marzo 2005; Trib. Firenze 7 novembre 1994).

Vicende modificative

La prestazione di alimenti ha carattere periodico ove consista nel dare un assegno alimentare; pertanto l'art. 440 c.c. prevede la possibilità che l'autorità giudiziaria disponga la riduzione o l'aumento degli stessi, laddove mutino le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, nonché ove vi sia una condotta disordinata e riprovevole dell'alimentato (es. destinazione dell'assegno a finalità diverse da quelle per cui è stato concesso).

Tale norma dimostra che l'obbligo alimentare non è immutabile, palesando al contempo la “variabilità degli alimenti nel tempo” e risponde al principio “rebus sic stantibus”, per cui occorre adeguare nel tempo ai fatti sopravvenuti il contenuto della prestazione alimentare da adempiere mediante assegno.

Quanto al versante soggettivo dell'obbligazione alimentare, invece, va evidenziato che questa ha carattere strettamente personale, in quanto tesa a svolgere una funzione assistenziale nei confronti di chi non possa provvedere al proprio mantenimento e versi in stato di bisogno.

Non è un caso dunque che l'art. 447 c.c. vieti la cedibilità del credito alimentare e che l'obbligato agli alimenti non possa mai opporre all'altra parte la compensazione.

Il ruolo fondamentale dell'obbligazione alimentare per la persona dell'alimentato implica anche l'impignorabilità del credito alimentare

ex art. 545 c.p.c.

Il diritto agli alimenti è dunque personale, indisponibile, non compensabile, impignorabile ed imprescrittibile. In forza dell'art. 2948 si prescrive però in cinque anni il diritto alla corresponsione dei singoli assegni alimentari.

Vicende estintive

Come tutte le obbligazioni anche quella alimentare può estinguersi; ciò può avvenire per modificazioni delle condizioni economiche del somministrante o dell'alimentato (art. 440 c.c.) oppure per morte dell'alimentato o del soggetto obbligato (art. 448 c.c.), atteso il carattere strettamente personale del vincolo obbligatorio, intrasmissibile iure hereditario.

La l. n. 219/2012 in materia di filiazione ha aggiunto nel corpo del c.c. anche l'art. 448-bis che prevede una nuova causa di cessazione dell'obbligo alimentare laddove nei confronti del genitore sia stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale.

La norma, dunque, riguarda il caso in cui soggetti obbligati siano i figli, anche adottivi, nei confronti dei genitori, ed ha una funzione latamente sanzionatoria, privando questi ultimi del diritto agli alimenti nei confronti dei figli laddove non abbiano correttamente adempiuto ai doveri collegati al loro ruolo.

L'art. 434 c.c. contempla un'ulteriore causa di cessazione dell'obbligo alimentare nel caso in cui obbligati siano i suoceri oppure il genero e la nuora, laddove la persona che ha diritto agli alimenti passi a nuove nozze oppure quando il coniuge, da cui deriva l'affinità, e i figli nati dalla sua unione con l'altro coniuge e i loro discendenti siano morti.

La perdita del diritto agli alimenti costituisce anche pena accessoria

ex art.  609-nonies c.p. nei confronti di chi sia stato condannato o abbia patteggiato per delitti contro la libertà sessuale.

Obbligazione volontaria di alimenti

 

L'obbligo di prestare gli alimenti deriva normalmente dalla legge, ed in particolare in base alle norme contenute negli artt. 433 e ss. c.c., atteggiandosi dunque quale obbligazione legale.

 

È però altresì possibile che siano le parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, a dare vita all'obbligazione alimentare.

 

Ciò può avvenire mortis causa, ad esempio mediante legato alimentare (art. 660 c.c.), quale lascito a titolo particolare che comprende le somministrazioni di cui all'art. 438 c.c., di quanto strettamente necessario per i bisogni del legatario, salvo che il testatore abbia disposto altrimenti.

 

Secondo la giurisprudenza civile dominante (ex multis Cass. civ., sez. II, 4 maggio 2012, n. 6772) il legato di alimenti è condizionato, salvo diversa volontà del testatore, allo stato di bisogno del legatario, posto il rinvio che l'art. 660 c.c. fa all' art. 438 c.c.

 

Inter vivos,  invece, le parti ben possono concludere un contratto atipico, aleatorio intuitus personae, di vitalizio alimentare, con cui una parte si obbliga, come corrispettivo di una cessione di un immobile, a prestare all'altra assistenza materiale e morale vita natural durante.

 

Tale contratto è volto a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322, comma 2 c.c. e si differenzia secondo Cass. civ., sez. II, 5 maggio 2010, n. 10859 dal contratto tipico di rendita vitalizia (art. 1872 c.c.) perché, seppur entrambi aleatori, il primo si caratterizza per prestazioni – di dare o fare – a carattere accentuatamente spirituale, come tali eseguibili solo dai un vitaliziato ben specificato, mentre la rendita alimentare si connota per prestazioni periodiche di dare prevalentemente fungibili quanto al soggetto obbligato.

 

Riferimenti dottrinari

Per l'irrilevanza della causa dello stato di bisogno dell'alimentando:

T. AULETTA, Alimenti e solidarietà familiare, Giuffrè Editore, Milano, 1984, p. 49;

A. BARBERA, Il sistema di diritto privato, Torino, 1993, p. 458;

C.M. BIANCA, Diritto Civile, II° Ed, Vol II°, Giuffrè Editore, Milano, 1985, p. 359.

Per la dottrina critica verso la soluzione giurisprudenziale di tenere conto anche delle condizioni di vita dell'alimentando:

G. PROVERA, Degli alimenti, in Comm. c.c. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1972, p. 80;

C. RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile commentata con la dottrina, Libro I° “Delle persone e della famiglia, Giuffrè Editore, Milano, 2011, p. 593;

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