Appello (forma dell’)

12 Giugno 2016

La forma dell'appello (sul quale v. appello in generale) è regolata dall'art. 342 c.p.c., norma che il legislatore ha modificato una prima volta nel 1990, con l'aggiunta dell'attuale comma 2 (sui termini a comparire) e l'eliminazione del riferimento all'art. 313 c.p.c. (che riguardava l'appello delle sentenze del conciliatore), ed una seconda volta nel 2012, con la sostituzione del vecchio comma 1, che in precedenza era così formulato: «L'appello si propone con citazione contenente l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell'impugnazione nonché le indicazioni prescritte nell'art. 163».

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 

La forma dell'appello (sul quale v. appello in generale) è regolata dall'art. 342 c.p.c., norma che il legislatore ha modificato una prima volta nel 1990, con l'aggiunta dell'attuale comma 2 (sui termini a comparire) e l'eliminazione del riferimento all'art. 313 c.p.c. (che riguardava l'appello delle sentenze del conciliatore), ed una seconda volta nel 2012, con la sostituzione del vecchio comma 1, che in precedenza era così formulato: «L'appello si propone con citazione contenente l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell'impugnazione nonché le indicazioni prescritte nell'art. 163».

La attuale formulazione, derivante dalla riforma del 2012, intende essenzialmente rendere più dettagliata e severa la nozione di specificità dei motivi di appello, quale requisito di ammissibilità dell'impugnazione, recependo il significato che già la giurisprudenza del terzo millennio aveva attribuito alla nozione di «motivi specifici» (v. APPELLO, SPECIFICITÀ DEI MOTIVI).

Forma dell'appello in generale

L'atto d'appello ha la stessa forma dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado: ossia quella dell'atto di citazione, in caso di giudizio ordinario, ovvero di ricorso nel caso del rito del lavoro. L'adozione dell'una o dell'altra forma, tuttavia, non discende, se non indirettamente, dalla materia oggetto del giudizio di impugnazione, bensì dal rito adottato per il giudizio di primo grado.

Opera, in proposito, il principio dell'ultrattività del rito, che costituisce specificazione della regola generale secondo cui il regime della impugnabilità delle sentenze si individua in ossequio al principio dell'apparenza, vale a dire con riferimento esclusivo alla qualificazione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall'esattezza di essa (Cass. civ., sez. VI-II, 2 marzo 2012, n. 3338; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2015, n. 7994; Cass. civ., sez. lav., 22 ottobre 2015, n. 21520). Ne segue che, se il giudizio si è erroneamente svolto in primo grado nelle forme del rito ordinario anziché in quelle del rito del lavoro, invece applicabile (Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2005, n. 682; Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12290; Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2014, n. 15272), e viceversa (Cass., 3 sez., 16 luglio 2002, n. 10278), l'appello va rispettivamente proposto con citazione e con ricorso.

Ciò si riflette, tra l'altro, anche sull'applicabilità della sospensione feriale (Cass. civ., sez. Un., 12 marzo 2004, n. 5184; Cass. civ., sez. Un., 26 luglio 2004, n. 13970; Cass. civ., sez.lav., 30 gennaio 2009, n. 2529; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2013, n. 22821).

In ogni caso, l'impiego della citazione in luogo del ricorso, e viceversa, non produce nullità, sempre che sia osservato il termine per la proposizione dell'appello di volta in volta applicabile: perciò se l'appello è stato proposto con citazione invece che con ricorso, la tempestività dell'impugnazione va verificata in relazione alla data di deposito dell'atto di citazione; se l'appello è stato proposto con ricorso anziché con citazione, la tempestività dell'impugnazione va scrutinata in relazione alla data di notificazione del ricorso (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4498; Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2010, n. 12990; Cass. civ., sez. lav., 10 luglio 2015, n. 14401; Cass. civ., sez. VI-III, 11 dicembre 2015, n. 25061).

Se la stessa sentenza pronuncia congiuntamente su cause soggette al rito ordinario e a quello camerale l'appello deve essere proposto con atto di citazione (Cass. civ., sez. I, 19 marzo 1995, n. 4395).

I requisiti di contenuto-forma dell'atto d'appello

L'art. 342 c.p.c. contiene l'espresso rinvio — ritenuto da alcuni superfluo, tenuto conto della norma di carattere generale dettata dall'art. 359 c.p.c. — alle prescrizioni dell'art. 163, concernente l'atto di citazione. Tuttavia, il rinvio ha per sua natura da essere inteso nei limiti della compatibilità. Perciò, l'atto d'appello — salvo quanto dopo si dirà con riguardo ai nn. 3 e 4 dell'art. 163, comma 1, c.p.c. — deve contenere:

i) l'indicazione dell'ufficio giudiziario davanti al quale l'appello è proposto (art. 163, comma 1, n. 1, c.p.c.);

ii) il nome, il cognome, la residenza (la cui mancanza determina nullità: Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 4452) e il codice fiscale dell'appellante, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora dell'appellato e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono; se appellante o appellato è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato l'atto d'appello deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio (art. 163, comma 1, n. 2, c.p.c.); in generale trova in proposito applicazione un orientamento giurisprudenziale ampiamente antiformalistico, rimasto fermo nel corso degli anni, testimoniato ad esempio dalla recente massima secondo cui nella citazione in appello di una persona giuridica, tanto l'inesatta ed incompleta indicazione della sua denominazione, quanto l'errata o omessa individuazione del legale rappresentante incidono sulla validità dell'atto solo ove si traducano nell'assoluta incertezza della sua indicazione (Cass. civ., 1 dicembre 2015, n. 24441); nulla rileva l'errata indicazione della data di nascita dell'appellato (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2007, n. 4035).

iii) l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione (art. 163, comma 1, n. 5, c.p.c.); tale disposizione va coordinata con l'art. 345 c.p.c. che, oggi, a seguito dell'abrogazione dell'inciso «che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero» ad opera del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012, n. 134, esclude l'ammissibilità di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile; può però sempre deferirsi il giuramento decisorio;

iv) il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata (art. 163, comma 1, n. 6, c.p.c.); nulla rileva la mancata indicazione del codice fiscale (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2016, n. 767);

v) l'indicazione (ex art. 163, comma 1, n. 6, c.p.c.) del giorno dell'udienza di comparizione;

vi) l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis; non occorre l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze (non di cui agli artt. 38 e 167, che comunque non troverebbero applicazione in grado d'appello, ma quelle) riferibili al giudizio di appello, ossia la decadenza dal diritto a proporre appello incidentale ex art. 343 (così invece Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, 2ª ed., Milano, 2002, 302) e dalla facoltà di riproposizione delle domande o delle eccezioni non accolte o assorbite in primo grado ai sensi ex art. 346 (così invece Lasagno, Art. 54 della legge. n. 353/1990, in Chiarloni (a cura di), Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, 412; tale soluzione è stata in un primo tempo accolta dalla S.C.: Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 970; Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2009, n. 4208); difatti le Sezioni Unite hanno in proposito stabilito che l'atto di appello non deve contenere lo specifico avvertimento, prescritto dal n. 7 del comma 3 dell'art. 163 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2013, n. 9407; orientamento fermo, da ult. Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2016, n. 341).

vii) la sottoscrizione a norma dell'art. 125 c.p.c. (art. 163, comma 2, c.p.c.); la mancata sottoscrizione per esteso, ma con sigla non è causa di nullità (Cass. civ., sez. II, 26 novembre 1991, n. 12656); è sufficiente la sottoscrizione solo in calce alla procura (Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 1986, n. 550; Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 2004, n. 4617); costituisce mera irregolarità la mancata sottoscrizione della copia notificata (Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1984, n. 2750; Cass. civ., sez. lav., 19 dicembre 1998, n. 12727).

In evidenza

L'art. 342 c.p.c. - che, nel testo applicabile ratione temporis, prevede che l'appello si propone con citazione contenente l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell'impugnazione, «nonché le indicazioni prescritte nell'art.163 c.p.c.» - non richiede altresì, che, in ragione del richiamo di tale ultima disposizione, l'atto di appello contenga anche lo specifico avvertimento, prescritto dal n. 7 del comma 3 dell'art. 163 c.p.c., che la costituzione oltre i termini di legge implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., atteso che queste ultime si riferiscono solo al regime delle decadenze nel giudizio di primo grado e non è possibile, in mancanza di un'espressa previsione di legge, estendere la prescrizione di tale avvertimento alle decadenze che in appello comporta la mancata tempestiva costituzione della parte appellata (Cass. civ., sez.U., 18 aprile 2013 n. 9407).

In mancanza degli elementi sopra elencati la citazione in appello è nulla secondo la previsione dei commi 1 e 4 dell'art. 164 c.p.c..

Va inoltre rammentato che in materia di appello, fra i requisiti dell'atto di impugnazione non è prevista, a differenza di quanto stabilito dall'art. 366, n. 2, c.p.c. per il giudizio di cassazione, l'indicazione della sentenza impugnata, la cui individuazione attiene all'oggetto della domanda e, al contenuto dell'impugnazione proposta, restando i relativi accertamenti, non censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati, di spettanza del giudice di merito (Cass. civ., sez. lav., 2 luglio 2009, n. 15497).

Il petitum e la causa petendi

Una specifica trattazione è opportuno dedicare ai nn. 3 e 4 del comma 1 dell'art. 163 c.p.c., cui rinvia l'art. 342 c.p.c., i quali si riferiscono alla determinazione della cosa oggetto della domanda ed all'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni.

Nella previgente formulazione dell'art. 342 c.p.c. il richiamo all'esigenza di determinazione della cosa oggetto della domanda nonché di esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, ovvero alla indicazione del petitum e della causa petendi, andava ad intersecarsi, ed anzi in qualche misura a sovrapporsi, con l'ulteriore previsione secondo cui la citazione in appello doveva altresì contenere, oltre ai requisiti previsti dall'art. 163 c.p.c., «l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell'impugnazione». In particolare, l'esposizione sommaria dei fatti direttamente menzionata dall'art. 342 c.p.c. andava a confondersi con l'esposizione dei fatti tali da individuare la causa petendi ai sensi dell'art. 163 c.p.c.. E, per altro verso, la indicazione della causa petendi è in appello indubbiamente connessa con i motivi che sostengono la domanda di riforma della sentenza impugnata.

Occorre tener presente, in argomento, che l'atto introduttivo del giudizio di appello ha una funzione diversa da quella dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado: tale funzione, infatti, è duplice, giacché l'atto d'appello contiene per un verso la manifestazione della volontà di impugnare; per altro verso, mediante la formulazione dei motivi, identifica l'oggetto dell'impugnazione. Ciò rende tale atto intrinsecamente più complesso dell'atto di citazione per il primo grado del giudizio.

In evidenza

L'atto d'appello, cioè, per la funzione istituzionalmente perseguita, richiede che l'appellante indichi:

  • quale svolgimento abbia avuto il processo in primo grado, attraverso la sistematica ricognizione della domanda proposta dall'attore, delle difese ed eventuali controdomande avanzate dal convenuto, dell'istruttoria svolta;
  • quale decisione abbia adottato il giudice e perché;
  • i motivi tali da demolire in tutto o in parte la decisione adottata;
  • iv) la (ri)proposizione della domanda nei limiti derivanti dall'impugnazione proposta e, per l'effetto, la sostituzione della sentenza, travolta dall'impugnazione, con altra conforme a diritto, salvi i casi di rimessione al primo giudice.

La riscrittura dell'art. 342 c.p.c. ad opera del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012, n. 134, sembra aver migliorato, sotto l'aspetto ora in esame, la formulazione della norma. Essa, infatti, ha soppresso il riferimento all'esposizione sommaria dei fatti, soffermandosi invece sulla precisazione della nozione di specificità dei motivi. È così venuta meno la sovrapposizione tra la previsione dell'esposizione sommaria dei fatti e l'esposizione dei fatti tali da integrare la causa petendi. In altri termini, il rinvio all'art. 163, nn. 3 e 4, c.p.c., sopravvissuto alla novella dell'art. 342 c.p.c., va ad assorbire l'esposizione sommaria dei fatti cui la norma in precedenza si riferiva: tale rinvio, cioè, ha da essere inteso come riferito allo svolgimento del giudizio di primo grado, quale indispensabile premessa della formulazione degli specifici motivi di impugnazione.

In tale prospettiva, l'esposizione dei fatti relativi allo svolgimento del giudizio di primo grado non sembra poter essere ritenuto meno rilevante, se non meramente ancillare, rispetto a quello dei motivi. Sembra cioè che debba essere rivisto il pur ribadito orientamento giurisprudenziale, formatosi nel vigore del vecchio testo dell'art. 342 c.p.c., che guardava con ampia elasticità al requisito dell'esposizione dei fatti nell'atto introduttivo del giudizio di appello, sottolineando che l'esposizione dei fatti non richiedeva una parte espositiva apposita, dal momento che l'esposizione dei fatti non costituiva un requisito formale a sé stante dell'atto d'appello e poteva risultare anche indirettamente dalle argomentazioni utilizzate nell'esposizione dei motivi di impugnazione (Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1989, n. 4831; Cass. civ., sez. III, 9 novembre 1994, n. 9316; Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2004, n. 22786.).

Al contrario, l'eliminazione della locuzione «esposizione sommaria dei fatti e motivi specifici dell'impugnazione», costruita come una sorta di endiadi, e la riconduzione dell'esposizione dei fatti al numero dei requisiti, tutti equiordinati, contemplati dall'art. 163 c.p.c., accanto agli specifici motivi di impugnazione, nei termini precisati oggi dalla norma, induce a ritenere che la parte espositiva debba essere tendenzialmente formulata in modo chiaro e separato, cosicché il giudice sia messo in condizione di prendere atto dell'impugnazione formulata e non di ingerirsi egli stesso nella formulazione di essa.

Nullità e sanatoria dell'atto d'appello

L'art. 342 c.p.c. rinvia all'art. 163 c.p.c., ma non al successivo art. 164 c.p.c., che detta il regime della nullità e sanatoria dell'atto di citazione per il giudizio di primo grado, suddividendo i vizi che comportano nullità in due categorie, quelle dei vizi della vocatio in ius, suscettibile di sanatoria ex tunc, e quelli della editio actionis, sanabili ex nunc.

Si pone, in proposito, anzitutto il quesito se l'art. 164 c.p.c., non richiamato dall'art. 342 c.p.c., sia nondimeno per intero applicabile alla citazione in appello (non solo nei commi 1 e 4, la cui applicabilità è indiscussa, ma anche nella parte concernente il regime di sanatoria della nullità) per il tramite dell'art. 359 c.p.c., il quale stabilisce che nel giudizio di appello si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale.

L'applicabilità dell'art. 164 c.p.c., nella parte concernente la sanatoria della nullità, non può essere data per scontata e, anzi, è stata esclusa da una decisione — una pietra miliare nell'evoluzione dell'istituto — resa sulla questione delle conseguenze della mancanza del requisito di specificità dei motivi d'appello (Cass. civ., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16). Si afferma in breve nella menzionata pronuncia che l'art. 164 c.p.c., nella parte concernente la sanatoria, non è applicabile all'atto di appello, giacché, mentre l'atto di citazione in primo grado ha il solo scopo di costituire il rapporto processuale, l'atto di appello mira non solo alla costituzione del rapporto processuale di impugnazione, ma, prima ancora, ad evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, attraverso la denuncia della sua pretesa ingiustizia. La costituzione dell'appellato, nel giudizio di appello, comporta il raggiungimento di uno dei suoi scopi (la costituzione del rapporto processuale), ma non dell'altro (impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata), che si consegue solo con il comportamento dell'appellante conforme alle previsioni di cui all'art. 342 c.p.c..

Sulla base di tale assunto la S.C. ha in ritenuto che la nullità della citazione in appello (si trattava della mancata indicazione dell'udienza di comparizione) comportasse automaticamente l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2004, n. 3809). Tale decisione è stata criticata dalla dottrina, che l'ha definita «sconcertante» e foriera di denegata giustizia (Balena, Nullità della citazione d'appello per vizi della vocatio in ius: un'applicazione ovvia e una disapplicazione sconcertante dell'art. 164 c.p.c., in Foro it., 2005, I, 183; v. pure De Cristofaro, Sanatoria (e giustizia) negata: dell'ostinazione contra legem della Suprema Corte a considerare insanabili i vizi dell'atto d'appello concernenti la vocatio in ius, in Corr. giur., 2004, 753; sul tema riassuntivamente Romano, Sulla nullità dell'atto di citazione in appello per vizi inerenti alla vocatio in ius, in Riv. dir. proc., 2010, 1432).

La giurisprudenza successiva ha talora data per scontata l'applicazione dell'art. 164 c.p.c. nel giudizio di appello (Cass., sez. III, 9 agosto 2007, n. 17474; Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2007, n. 16877; Cass. civ., sez. I, 1 luglio 2008, n. 17951; Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2009, n. 22024; Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2010, n. 13128; Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2011, n. 7619), ma senza mai cimentarsi con il citato precedente delle Sezioni Unite. L'inapplicabilità all'atto di citazione in appello dell'art. 164 c.p.c., comma 2, per incompatibilità — in quanto solo l'atto conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 c.p.c. è idoneo a impedire la decadenza dall'impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza — è stata viceversa riaffermata, con espresso richiamo al dictum delle Sezioni Unite, da Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2014, n. 18868, con riguardo alla ipotesi di mancata indicazione, nella copia notificata dell'atto di citazione in appello, della data della udienza di comparizione: adempimento, codesto, del pari richiesto dall'art. 342 c.p.c., attraverso il richiamo, in esso contenuto, all'art. 163 c.p.c.. In definitiva, è stato ribadito che la costituzione dell'appellato, nel giudizio di appello, idoneo, a raggiungere uno dei suoi scopi (costituzione del rapporto processuale), è inidonea a raggiungere l'altro (impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata), che si consegue solo con il comportamento dell'appellante conforme alle previsioni di cui all'art. 342 c.p.c., senza alcuna possibilità per l'appellato di rimuovere gli effetti che derivano dalla inosservanza di quest'ultima norma, attesa l'indisponibilità degli effetti stessi o per l'appellante di rimediare alla nullità attraverso la specificazione dei motivi in corso di causa.

A tale ultimo orientamento deve allo stato farsi riferimento.

In evidenza

L'omessa indicazione, nella copia notificata dell'atto di citazione in appello, della data dell'udienza di comparizione produce l'inammissibilità del gravame ed il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, trattandosi di nullità non suscettibile di sanatoria poiché ricollegata all'assenza di un elemento necessariamente richiesto dall'art. 342 c.p.c. attraverso il richiamo al precedente art. 163 (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2014, n. 18868).

Resta da dire della nullità della citazione in appello per vizi non della vocatio in ius, ma della editio actionis (vizi ai quali può essere in definitiva accostato il difetto di specificità dei motivi d'appello che, ormai, comporta per espressa previsione normativa l'inammissibilità dell'impugnazione). Alcuni autori ritengono che anche in tal caso operi la sanatoria prevista dall'art. 164 c.p.c., ma con efficacia ex nunc, con la conseguenza che la rinnovazione della citazione dopo il decorso dei termini per l'impugnazione non esclude l'inammissibilità dell'appello; se, disposta la sanatoria, l'appellante non proceda a rinnovare o a integrare la citazione nel termine il giudizio di impugnazione si conclude in rito con dichiarazione di nullità della citazione in appello (Chiarloni, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1995, 11; Ferri, Appello (dir. proc. civ.), in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., XII, Torino, 1995, 563; Sassani, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999, 180; Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 144; Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 413; Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Giuffrè, 1996, 375; Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, 2ª ed., Bologna, 1998, 808). Secondo altri il rinvio all'art. 164 c.p.c., con la sanatoria ivi prevista, non opererebbe con riguardo ai vizi della editio actionis, al pari della mancata indicazione dei motivi dell'impugnazione, per la quale non può operare alcuna sanatoria (Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 3ª ed., Napoli, 1999, 530; Mandrioli, Diritto processuale civile, II, 20ª ed., Torino, 2009, 479, nt. 55).

In effetti sembra lecito accostare i vizi dell'atto di citazione d'appello relativi alla editio actionis, alla carenza di motivi specifici dell'impugnazione per i quali, come si è visto, opera la sanzione dell'inammissibilità. E tuttavia, anche ad ammettere che la sanatoria dell'art. 164 c.p.c. possa aver luogo, essa non può che operare ex nunc e, dunque, a condizione che il termine per l'impugnazione non sia già spirato.

I termini a comparire

La riforma del 1990 ha introdotto nella norma il comma 2, il quale stabilisce che: «Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall'art. 163-bis».

La dottrina giudica superflua la novella (Lasagno, op. cit., 410) ed inappropriata la sua formulazione, giacché essa, laddove dispone che il termine a comparire inizia il suo corso dalla citazione, è da intendere nel senso che il termine a quo va fissato alla data della notificazione della citazione.

Può inoltre discutersi se il richiamo all'art. 163-bis c.p.c. nella sola parte che fissa i termini a comparire escluda l'applicabilità al processo di appello delle disposizioni dettate dai restanti commi della stessa disposizione e, in particolare, alla possibilità di abbreviazione ad istanza dell'appellante e di anticipazione dell'udienza ad istanza dell'appellato. Prevale l'interpretazione favorevole all'applicabilità di queste disposizioni, stante il rinvio generale disposto dall'art. 359 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11594).

Si è già detto della sanatoria della nullità derivante dall'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello di legge.

Riferimenti

Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991;

Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994;

Balena, Nullità della citazione d'appello per vizi della vocatio in ius: un'applicazione ovvia e una disapplicazione sconcertante dell'art. 164 c.p.c., in Foro it., 2005, I, 183;

Chiarloni, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1995;

Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, 2ª ed., Bologna, 1998;

Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, 1996;

De Cristofaro, Sanatoria (e giustizia) negata: dell'ostinazione contra legem della Suprema Corte a considerare insanabili i vizi dell'atto d'appello concernenti la vocatio in ius, in Corr. giur., 2004, 753;

Di Marzio, L'appello civile dopo la riforma, Milano, 2013; Ferri, Appello (dir. proc. civ.), in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., XII, Torino, 1995;

Lasagno, Art. 54 della legge. n. 353/1990, in Chiarloni (a cura di), Le riforme del processo civile, Bologna, 1992;

Mandrioli, Diritto processuale civile, II, 20ª ed., Torino, 2009; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 3ª ed., Napoli, 1999; Romano, Sulla nullità dell'atto di citazione in appello per vizi inerenti alla vocatio in ius, in Riv. dir. proc., 2010, 1432;

Sassani, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999;

Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, 2ª ed., Milano, 2002.

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