ArbitraggioFonte: Cod. Civ. Articolo 631
30 Marzo 2016
Inquadramento
L'arbitraggio o arbitramento è l'atto con cui un terzo, detto arbitratore, determina su incarico delle parti uno degli elementi del loro rapporto contrattuale. Tale nozione, frutto dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, si desume anzitutto dall' . 1349 del c.c. , norma generale in tema di oggetto del contratto, ma il codice civile contempla molteplici ipotesi peculiari e settoriali in cui la determinazione di un elemento contrattuale è deferita dalle parti ad un terzo (es. artt. 631-632, 664, 665).
L'istituto dell'arbitraggio coinvolge molteplici profili di grande rilevanza, quali l'individuazione della sua natura giuridica (e connesse conseguenze), i rapporti con figure affini ma in realtà diverse (arbitrato, perizia contrattuale), i limiti che essa incontra rispetto alla possibile eterodeterminazione dell'oggetto o di altri elementi (es. clausole accessorie) rispetto al contenuto minimo ed indefettibile del contratto, nonché i possibili rimedi che i contraenti possono esperire per contestare la correttezza dell'atto compiuto dall'arbitratore.
Ad ogni modo l'arbitraggio mira, attraverso un intervento successivo ed esterno, quello dell'arbitratore, a completare un accordo negoziale altrui ancora parzialmente lacunoso.
La scelta di deferire ad un terzo la determinazione di elementi contrattuali può essere dovuta alle più svariate ragioni, ma soprattutto all'assenza di informazioni necessarie in capo ai contraenti per definire definitivamente il contenuto contrattuale, oppure per facilitare il conseguimento dell'accordo su alcuni punti controversi. Natura giuridica
La natura giuridica dell'arbitraggio ha sollecitato l'attenzione della dottrina, che si è divisa sul punto.
Figure affini
Le caratteristiche dell'arbitraggio, che consiste essenzialmente nel completamento del regolamento contrattuale ad opera dell'intervento successivo ed esterno di un terzo, impongono di differenziare tale istituto da alcune figure affini. In primo luogo l'arbitraggio di cui all'art. 1349 c.c. si differenzia dall'arbitrato irrituale. L'arbitrato irrituale, infatti, è il negozio con cui le parti deferiscono a terzi, detti arbitri, la risoluzione di una controversia insorta tra loro. L'arbitro irrituale, diversamente da quanto fa l'arbitratore, manifesta così una volontà negoziale diretta a regolare il rapporto esistente tra le parti. La Cassazione ritiene (ex multis Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 1976, n. 446) che a differenza dell'arbitraggio – che non ha contenuto decisorio su questioni controverse – l'arbitrato irrituale abbia la funzione di definire e risolvere in modo non giurisdizionale un conflitto di interessi, con impegno delle parti ad accettarne il responso come diretta espressione della loro volontà e con rinunzia delle parti stesse alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto controverso. Secondo la Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 29 aprile 1983, n. 2949) nell'opera di qualificazione che il giudice deve effettuare, il criterio decisivo per individuare se si tratti di arbitraggio oppure di arbitrato è il seguente: ricorre la figura dell'arbitraggio quando le parti conferiscono ad un terzo (arbitratore) l'incarico di determinare, di regola secondo equità, uno degli elementi del negozio in formazione, non ancora perfezionato per la mancanza di quell'elemento, laddove con l'arbitrato rituale e con quello irrituale le parti tendono a conseguire, quali protagoniste di un conflitto, un giudizio decisorio sullo stesso, con la sola differenza che, mentre con il primo (arbitrato rituale) essi vogliono giungervi adottando il procedimento previsto dal codice di rito, col secondo (arbitrato irrituale) vi giungono impegnandosi a far proprio il regolamento della controversia che gli arbitri liberi, conformemente al mandato ricevuto, hanno adottato. Il determinare se ci si trovi di fronte ad un lodo rituale o irrituale, oppure ad un arbitraggio, implica un'indagine sulla volontà delle parti e, nell'ipotesi di materia sottratta all'autonomia privata, sulla ratio della legge che disciplina il meccanismo di determinazione ad opera del terzo. La differenza tra arbitraggio ed arbitrato (rituale o irrituale che sia) consiste dunque nella presenza o nell'assenza del carattere decisorio dell'intervento del terzo. La distinzione non ha rilievo soltanto teorico, essendo invece foriera di importanti conseguenze applicative. Infatti, come rilevato da Cass. civ., sez. I, 17 febbraio 1981, n. 949, l'impugnativa per manifesta iniquità ex art. 1349 c.c. è ammessa soltanto nel caso di arbitraggio e non di arbitrato irrituale, perché altrimenti si consentirebbe al giudice il riesame del merito della controversia che in nessun caso è ammesso. Il lodo arbitrale irrituale, in quanto negozio giuridico, potrà essere impugnato soltanto per quei vizi che secondo il codice civile sono causa di nullità od annullabilità del contratto (così Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1974, n. 4253). L'arbitraggio si distingue anche dalla perizia contrattuale; in tal modo si definisce l'attività di accertamento tecnico che le parti deferiscono ad un terzo per determinare un elemento della prestazione dedotta in contratto. Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13954 ha stabilito che anche la perizia contrattuale, che ricorre quando le parti deferiscono ad uno o più soggetti, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un accertamento tecnico che esse preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà contrattuale, costituisce fonte di integrazione del contratto, ma essa si distingue dall'arbitraggio perché il perito non deve ispirarsi alla ricerca di un equilibrio economico secondo un criterio di equità mercantile, ma deve attenersi a norme tecniche ed ai criteri tecnico-scientifici propri della scienza, arte, tecnica o disciplina nel cui ambito si iscrive la valutazione che è stato incaricato di compiere. Il distinguo tra arbitraggio e perizia contrattuale, dunque, non va ravvisato nella funzione, che è in entrambi i casi quella di completare ed integrare il contenuto contrattuale, ma nelle modalità con cui ciò avviene: nell'arbitraggio normalmente mediante l'arbitrium boni viri ispirato a logiche di equilibrio economico, mentre nella perizia contrattuale mediante regole di carattere tecnico-scientifiche. Dalla differenza tra i due istituti derivano, ancora una volta, importanti ripercussioni pratiche: nel caso di perizia contrattuale va esclusa l'esperibilità della tutela tipica prevista dall'art. 1349 c.c. per manifesta erroneità o iniquità della determinazione del terzo, trattandosi di rimedio circoscritto all'arbitraggio, in quanto presuppone l'esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità mercantile, inconciliabili con l'attività strettamente tecnica dell'arbitro-perito.
Criteri di determinazione da parte del terzo
L'art. 1349 c.c. stabilisce che laddove le parti abbiano deferito a un terzo la determinazione della prestazione, questi deve procedere con equo apprezzamento, se non risulta che le parti si sono volute rimettere al suo mero arbitrio. La regola nell'attività determinativa che il terzo deve effettuare è dunque costituita dal criterio dell'arbitrium boni viri, che impone al terzo di contemperare gli interessi delle parti ispirandosi ad un equilibrio economico secondo una logica di equità mercantile (Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13954). Diversamente, invece, rappresenta un'ipotesi eccezionale il ricorso al merum arbitrium, che deve essere espressamente prevista dalle parti, e che si risolve in una libera scelta individuale del terzo, che non deve cercare alcun equilibrio tra gli interessi contrapposti dei contraenti ma col limite insuperabile della mala fede. La differenza tra equo apprezzamento e mero arbitrio comporta importanti conseguenze in punto di sindacato da parte dell'autorità giudiziaria. Completezza del contratto e arbitraggio
Il ricorso allo strumento dell'arbitraggio presuppone l'incompletezza del regolamento contrattuale, che necessita, appunto, dell'intervento di completamento, esterno e successivo del terzo, per poter sprigionare i suoi effetti. La tematica della determinazione dell'oggetto del contratto ad opera del terzo si interseca così con quella della completezza del contratto, onde verificare se possa aversi oppure no un atto di arbitraggio. Si è occupata di tale questione la pronuncia della Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1974, n. 4253, che muove dall'assunto secondo cui l'arbitraggio consiste nel completamento ad opera di un terzo di un negozio giuridico in via di formazione. Per la Suprema Corte il criterio distintivo tra negozio completo ed incompleto va ravvisato nella possibilità che questo venga portato ad esecuzione oppure no. Pertanto non c'è margine per l'arbitraggio laddove le parti abbiano già determinato tutti gli elementi del negozio che intendono stipulare e, a contrario, vi è arbitraggio nel caso in cui non tutti gli elementi negoziali siano già oggetto di determinazione da parte dei contraenti. Diversa questione è quella che si è posta con riguardo ai requisiti minimi che il contratto concluso dalle parti deve presentare per potersi ritenere che questo sia valido e - come tale – suscettibile di essere eterointegrato dalla determinazione del terzo, oppure invalido e, pertanto, l'arbitratore non potrebbe intervenire in alcun modo. Sul punto in dottrina si sono prospettate due ricostruzioni.
Su tale questione la giurisprudenza della Cassazione sembra aver accolto la soluzione più elastica e liberale per l'autonomia dei privati. La recente Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2013, n. 2473 ha stabilito, infatti, che per la validità del contratto preliminare non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del contratto definitivo, risultando per converso sufficiente l'accordo delle parti sugli elementi essenziali. Alla luce di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto valido il preliminare di compravendita di un immobile in cui era stata prevista una pattuizione che incaricava un terzo di determinare il prezzo di un immobile specificamente individuato dalle parti al momento del rogito del contratto definitivo. Ancorché, dunque, si trattasse di un preliminare di compravendita, in cui il corrispettivo/prezzo è elemento essenziale per la configurabilità stessa del tipo contrattuale, è ben possibile per le parti rimettere al terzo arbitratore anche la determinazione di un elemento essenziale (cioè il prezzo), purché sia in qualche modo determinato o determinabile, anche mediante intervento del terzo. Ipotesi peculiari di arbitraggio
Nel codice civile sono previste poi alcune discipline peculiari e settoriali in punto di determinazioni negoziali rimesse al terzo. Nell'ambito dei negozi mortis causa l'art. 631, comma 1, c.c. sancisce – nel rispetto della natura personalissima di tali disposizioni di ultima volontà - quale regola generale il divieto di far dipendere dall'arbitrio di un terzo l'indicazione dell'erede o del legatario, o la determinazione della quota di eredità; è di conseguenza nulla ogni disposizione testamentaria che contenga una tale previsione. Il secondo comma dell'art. 631 c.c. deroga a tale divieto di determinazione ad opera del terzo nelle disposizioni mortis causa, sancendo la validità delle disposizioni a titolo particolare in favore di persona da scegliersi da parte dell'onerato o da un terzo tra più persone determinate dal testatore o appartenenti a famiglie o categorie di persone da lui determinate o a favore di uno tra più enti parimenti determinati dal testatore. La giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3082) ha evidenziato il carattere eccezionale di quest'ultima norma che, pertanto, dev'essere interpretata restrittivamente e non può comprendere anche l'ipotesi del testatore che abbia attribuito all'esecutore testamentario la facoltà di procedere a sua scelta ad imprecisati e generici cambiamenti delle disposizioni testamentarie. L'art. 631 c.c. colpisce con la nullità la disposizione che lascia al mero arbitrio dell'onerato o di un terzo di determinare l'oggetto o la quantità del legato. Si tratta secondo la Cassazione (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1970, n. 191) di una disposizione che non può essere estesa analogicamente a casi non disciplinati, per cui non è estensibile all'ipotesi di determinazione rimessa al terzo della data della prestazione, ancorché possa incidere sulla quantità della stessa. Nell'ambito delle ipotesi di arbitraggio nei negozi mortis causa gli articoli 664 e 665 c.c. in deroga ai divieti sopracitati consentono invece la scelta ad opera del terzo nel caso di legato di genere e di legato alternativo. Ancora, l'art. 733, comma 2, c.c. consente in caso di assegni divisionali semplici il testatore può validamente disporre che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata che non sia erede o legatario. Tuttavia la divisione fatta da questa persona, che opera alla stregua di un arbitratore, non è vincolante per gli eredi se l'autorità giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce come contraria alla volontà del testatore oppure manifestamente iniqua, evocando così la norma di cui all'art. 1349, comma 1, c.c. In materia di donazioni l'art. 778, comma 1, c.c. sanziona con la nullità il mandato a donare con cui si attribuisce ad altri la facoltà di designare la persona del donatario o di determinare l'oggetto della donazione, la ratio di questa disposizione si deve alla natura personalissima della donazione, che non consente dunque un intervento determinativo ad opera del terzo né circa il beneficiario dell'atto donativo, né tantomeno circa l'oggetto dello stesso. Per Cass. civ., sez. VI, 24 luglio 2012, n. 12991 la nullità del mandato a donare si estende anche all'atto di donazione che sia stato stipulato in esecuzione del suddetto mandato in ossequio al dato normativo di cui all'art. 778, comma 1, c.c. Se tale è la giurisprudenza della Suprema Corte in caso di donazione diretta compiuta in attuazione di un mandato a donare – nullo -, analoghe conclusioni non possono valere anche per le donazioni indirette; Cass. civ. sez. II, 16 giugno 2014, n. 13682 ha stabilito che la norma di cui all'art. 778, comma 1, c.c. non si applica alla vendita mixta cum donatione, atteso che le donazioni indirette (tra cui rientra quest'ultima) sono soggette soltanto alle norme cui l'art. 809 c.c. fa espresso rinvio, tra cui non rientra quella che vieta il mandato a donare. I commi 2 e 3 dell'art. 778 c.c. consentono invece la valida individuazione ad opera del terzo della persona beneficiaria o dell'oggetto della donazione, purché tale scelta ricada tra le persone o le cose indicate dal donante. I margini d'intervento del terzo mediante arbitraggio si riespandono invece nel settore delle obbligazioni e dei contratti. Nell'ambito delle obbligazioni l'art. 1286 c.c. consente validamente al terzo di scegliere la prestazione in caso di obbligazioni alternative; l'art. 1476 c.c. prevede la possibilità che le parti affidino a un terzo la determinazione del prezzo che il compratore deve corrispondere in caso di compravendita. La giurisprudenza (ex multis Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 1977, n. 4313) ritiene che in questo caso si applichi la disciplina generale di cui all'art. 1349 c.c. per quanto riguarda l'estensione dei poteri del terzo, l'impugnabilità della sua determinazione e le conseguenze dell'omissione di quest'ultima. L'art. 2264 c.c. prevede in materia di società la possibilità che la determinazione di ciascun socio nei guadagni e nelle perdite venga rimessa ad un terzo; in questo caso la determinazione del terzo è impugnabile solo nei casi previsti dall'art. 1349 c.c. Rimedi azionabili dai contraenti
L'art. 1349, commi 1 e 2, c.c. prevede dei rimedi che le parti possono esperire a fronte della determinazione ad opera del terzo che appaia in qualche modo errata. Occorre preliminarmente distinguere a seconda che le parti abbiano deferito la scelta al terzo in base al criterio dell'arbitrium boni viri o del merum arbitrium. Nel caso in cui il terzo debba procedere alla sua attività di arbitraggio in base all'equo apprezzamento, dunque contemperando i contrapposti interessi delle parti in una prospettiva di equilibrio economico e di equità mercantile (Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13954), le parti potranno impugnare la determinazione del terzo soltanto nel caso in cui questa sia manifestamente iniqua o erronea. I casi in cui la determinazione ad opera del terzo è impugnabile per manifesta iniquità può aversi – in mancanza di un criterio legale – dal principio desumibile dall'art. 1448 c.c. in tema di rescissione per stato di bisogno, per cui ricorre la manifesta iniquità in presenza di una valutazione inferiore alla metà di quella equa (Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 2004, n. 24183). Minori problemi desta invece la manifesta erroneità, che presuppone una valutazione errata ad opera del terzo nella sua attività determinativa. Ad ogni modo laddove la determinazione del terzo – rimessa al suo prudente apprezzamento – manchi del tutto o sia inficiata da manifesta erroneità o iniquità, la determinazione è effettuata in via sostitutiva dal giudice. Minori limiti incontra invece l'arbitratore nel caso in cui sia chiamato ad effettuare la sua opera di completamento del contratto mediante il ricorso al mero arbitrio, quale criterio di scelta individuale e che non mira ad una sintesi degli interessi delle parti in chiave di equilibrio economico. Maggiori limitazioni incontrano per converso le parti ove intendano contestare in questi casi l'arbitraggio del terzo. L'art. 1349, comma 2, c.c., infatti, sancisce che la determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare, se non provando la sua mala fede. L'arbitratore, in caso di valutazione rimessa al mero arbitrio, può decidere secondo il suo criterio individuale, in quanto le parti hanno riposto piena fiducia nella sua correttezza ed imparzialità, oltre che nella sua capacità di discernimento (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 1999, n. 858). Il suo apprezzamento si sottrae, pertanto, ad ogni controllo nel merito della decisione e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostrando che egli ha agito intenzionalmente a danno di una di esse. In tal caso (ed a differenza dell'ipotesi in cui la determinazione sia stata rimessa all'equo apprezzamento del terzo, nella quale l'iniquità manifesta che può giustificare l'impugnazione deve essere oggettiva) assume rilievo decisivo l'atteggiamento psicologico dell'arbitratore che, tradendo la fiducia conferitagli, si pieghi volontariamente ed in piena consapevolezza agli interessi di una delle parti, non essendo sufficiente che l'incarico non sia stato compiutamente eseguito e che le determinazioni siano prive di ragionevolezza. Se l'arbitratore che è chiamato a completare il regolamento contrattuale secondo il mero arbitrio non effettua la determinazione, e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo, non essendo ammissibile in tal caso alcun intervento ad opera dell'autorità giudiziaria, a differenza del caso in cui la determinazione del terzo sia fondata sull'equo apprezzamento. In tema di determinazione della prestazione rimessa ad un terzo, il contratto di conferimento di incarico professionale o di mandato al terzo arbitratore non può essere risolto per inadempimento ex artt. 1453 e 1455 c.c., ostandovi la previsione dell'art. 1349, c.c., che consente l'impugnazione della determinazione di quest'ultimo solo se manifestamente iniqua o erronea (arbitrium boni viri) o in presenza di comprovata malafede (arbitrium merum), che, altrimenti, resterebbe vanificata (Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2014, n. 13379).
Aspetti processuali: le parti e il giudice
Le conseguenze derivanti dalla modifica operata con legge 134/2012 sul motivo di ricorso per Cassazione per vizi di motivazione con riferimento alla sindacabilità dei provvedimenti giurisdizionali che hanno accertato l'equità o l'iniquità della determinazione dell'oggetto del contratto ad opera del terzo (Cass. civ., sez. VI, 1 ottobre 2015, n. 19677). Per la Suprema Corte in tema di arbitraggio, l'accertamento dell'equità della determinazione della prestazione dedotta in contratto ad opera del terzo, cui è stata rimessa dalle parti contraenti, è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito, che rimane sindacabile in sede di legittimità, a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, nella sua riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato della Cassazione sulla motivazione, ossia solo per la «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», per la «motivazione apparente», per il «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e per la «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile». Riferimenti dottrinali
- Per il termine “arbitraggio”: ASCARELLI T., in Studi in tema di contratti, Giuffrè Editore, Milano, 1952; SCOGNAMIGLIO R., Dei contratti in generale, in Comm. c.c. a cura di A. Branca-G. Scialoja, Bologna-Roma, 1970, p. 378;
- Per la prevalente opinione in dottrina della natura di atto giuridico in senso stretto dell'arbitraggio: BIANCA C.M., Diritto Civile, Il contratto, II° ed., Giuffrè Editore, Milano, 2000, p. 332; CRISCUOLO F., Arbitraggio e determinazione dell'oggetto del contratto, Napoli, 1995, p. 181;
- Per la teoria dell'arbitraggio quale atto negoziale: ASCARELLI T., in Studi in tema di contratti, Giuffrè Editore, Milano, 1952, p. 205; SANTORO-PASSARELLI F., La determinazione dell'onorato di un lascito e l'arbitrio del terzo, in Saggi di diritto civile, II° Vol., Napoli, 1961, p. 761; G. ZUDDAS, L'arbitraggio, Napoli, 1992, p. 10;
- Per la tesi dottrinale secondo cui, affinché possa esservi arbitraggio, occorre che le parti abbiano determinato gli elementi essenziali del contratto: A. GIORDANO-MONDELLO, Il testamento per relazione, Contributo alla teoria del negozio per relationem, Giuffrè Editore, Milano, 1966, p. 82 e ss.; CRISCUOLO F., Arbitraggio e determinazione dell'oggetto del contratto, Napoli, 1995, p. 118 e ss.;
- Per la soluzione dottrinale secondo cui, affinché possa esservi arbitraggio, è sufficiente che le parti abbiano individuato elementi tali da configurare il tipo: C.M. BIANCA, Il diritto Civile, Il contratto, Vol. III°, II° ed. Giuffrè Editore, Milano, 2000, pag. 330; G. ZUDDAS, L'arbitraggio,Napoli, 1992, p. 48. Bussole di inquadramento |