Revoca delle ordinanze

Francesco Agnino
01 Marzo 2016

La funzione essenziale dell'ordinanza, nell'ambito del processo di cognizione ordinaria, è quella istruttoria, secondo la regola del comma 1 dell'art. 176 c.p.c., in base al quale il giudice istruttore, salvo che la legge disponga altrimenti, pronuncia ordinanza.Si tratta di provvedimenti di contenuto eminentemente processuale, non incidenti sulle situazioni giuridiche sostanziali dedotte (ai sensi del comma 1 dell'art. 177 c.p.c., non possono mai pregiudicare la decisione della causa), succintamente motivati e pronunciati in contraddittorio tra le parti, le quali o ne hanno conoscenza diretta perché presenti in udienza, oppure ne ricevono comunicazione dalla cancelleria.
Inquadramento

La funzione essenziale dell'ordinanza, nell'ambito del processo di cognizione ordinaria, è quella istruttoria, secondo la regola del comma 1 dell'

art. 176

c.p.c.

, in base al quale il giudice istruttore, salvo che la legge disponga altrimenti, pronuncia ordinanza.

Si tratta di provvedimenti di contenuto eminentemente processuale, non incidenti sulle situazioni giuridiche sostanziali dedotte (ai sensi del comma 1 dell'

art. 177

c.p.c.

, non possono mai pregiudicare la decisione della causa), succintamente motivati e pronunciati in contraddittorio tra le parti, le quali o ne hanno conoscenza diretta perché presenti in udienza, oppure ne ricevono comunicazione dalla cancelleria.

Sono provvedimenti revocabili e modificabili, sia da parte dello stesso giudice istruttore che le ha emesse, sia da parte del collegio, nelle cause la cui decisione gli spetti ai sensi dell'

art. 50-

bis

c.p.c.

.

Il primo può esercitare il potere di revoca o modifica per tutto il corso della fase istruttoria proprio in ottemperanza all'esigenza di propulsione del processo e lo può fare sia d'ufficio che su istanza di parte; il secondo – ma anche il giudice unico in funzione decidente – può esercitare lo stesso potere sia ai sensi del comma 1 dell'

art. 178

c

.

p.c.

, su istanza delle parti che intendano sottoporre ad esso le questioni già risolte dall'istruttore con ordinanza, sia in quanto potere generale, officioso, riconosciuto dal legislatore nel citato comma 1 dell'

art. 177

c.p.c.

, che esclude l'efficacia vincolante dell'ordinanza istruttoria in sede decisoria (

Cass. civ.,

sez. lav., 16 dicembre

2013, n. 28021

).

Le ordinanze che provvedono alla istruzione della causa non vincolano dunque la decisione finale del giudice, il quale, salvo particolari ipotesi legislative, può liberamente modificarle o revocarle con la successiva sentenza, sicché non è configurabile, come error in procedendo, la contraddittorietà di motivazione tra l'ordinanza e la sentenza in ordine ad un punto controverso, dovendo piuttosto, in tale ipotesi, ritenersi ritualmente modificata o revocata, dal provvedimento decisorio, la parte motiva dell'anteriore provvedimento istruttorio. Ne consegue che, nel processo del lavoro, è consentita la revoca implicita dell'ordinanza con cui sia stata limitata l'assunzione di una prova, mediante l'escussione di un teste sul capitolo non ammesso, potendo il giudice, nonostante il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti, ammettere di ufficio prove dirette a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio

(

Cass. civ.,

sez. lav., 16 dicembre

2013, n. 28021

)

.

Il potere di revoca delle ordinanze istruttorie può essere esercitato sia a seguito di nuova valutazione di fatti esistenti (revoca in senso proprio), sia in considerazione di un avvenuto mutamento delle circostanze (

B

asilico

,

La revoca dei provvedimenti civili contenziosi

, Padova, 2001, 50 ss.;

C

hizzini

,

Provvedimenti

del giudice, in Dig. Civ., XXVI, Torino, 1997, 67).

La generale revocabilità e modificabilità delle ordinanze dovrebbe, già di per sé, sottrarle all'impugnabilità; tuttavia il legislatore menziona quest'ultima in più punti del codice, compreso il comma 2 dell'

art. 177

c.p.c.

, là dove esclude le prime nei confronti di ordinanze dichiarate espressamente, dal legislatore, non impugnabili, o contro le quali sia previsto specificamente il reclamo.

A

vverso le ordinanze di ammissione o rigetto delle prove, rispetto alle quali non sia più pr

evisto il reclamo, le richieste di modifica o di

revoca

devono essere reiterate in sede di prec

isazioni delle conclusioni definitive e - in mancanza - le stesse non possono essere riproposte in sede di impugnazione

(

Cass. civ.,

sez. VI, 27 giugno

2012, n. 10748

)

. Tale principio trova applicazione anche quando il giudice istruttore, decidendo sulle istanze istruttorie proposte dalle parti, non ne prenda in considerazione alcune: anche in questo caso la non reiterazione, con l'annessa precisazione delle conclusioni dell'istanza, assume la valenza di rinunzia)

. Se ne evince che comunque l'ordinanza istruttoria non è mai soggetta alle impugnazioni di cui all'

art. 323 c.p.c.

, date contro le sentenze, mentre può essere assoggettata, dal legislatore, a reclamo.

A partire dagli anni '90 del secolo scorso, il sistema processuale di cognizione ordinaria conosce anche altro tipo di ordinanze, non istruttorie, ma comunque emesse nel corso del processo e quindi necessariamente inserite nel suo corpo, le quali sono conclusive di sub-procedimenti e funzionali alla formazione di un titolo esecutivo anticipato rispetto alla sentenza definitiva del primo grado. Esse sono disciplinate dagli artt. 186

bis

e 186

ter

; vengono emesse su istanza di parte e sulla base della riscontrata esistenza di un presupposto normativamente predeterminato – nel primo caso la non contestazione (di una parte) della somma domandata, nel secondo il possesso di una prova scritta del credito –, sono esecutive – sia pure con modalità differenti –, revocabili o modificabili e soprattutto sono idonee a sopravvivere all'eventuale estinzione del processo che, dopo la loro emanazione, non dovesse proseguire.

La funzione della prevista ultrattività è quella di consentire, in favore dell'avente diritto, il mantenimento in vita del titolo esecutivo già ottenuto, pur in presenza di carenza di interesse alla prosecuzione del processo fino alla pronuncia della sentenza, la quale, peraltro, potrebbe contenere la revoca o la modifica di quell'ordinanza (Carrata,

Ordinanze anticipatorie di condanna

(

diritto processuale civile

), in

Enc. giur. Treccani

, Roma, 1995,

passim

; Basilico,

La revoca

, cit., 113 ss., 195 ss.).

Il sistema processualcivilistico aveva già conoscenza del suddetto tipo di ordinanze, ma nel rito del lavoro, attraverso l'art. 423: si trattava, anche lì, di titoli esecutivi anticipati rispetto alla sentenza, non espressamente dotati dell'ultrattività e revocabili o modificabili secondo regole parzialmente diverse da quelle sopra ricordate. Con la

l. n. 69/2009

, la forma di ordinanza ha preso il posto di quella di sentenza nelle pronunce su competenza, litispendenza, continenza e connessione, pur essendo rimasto invariato il regime delle impugnazioni, in particolare del regolamento di competenza.

Revoca delle ordinanze pronunciate nel processo di esecuzione

Ai sensi dell'

art.

487 c.p.c.

, «Salvo che la legge disponga altrimenti, i provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono dati con ordinanza». La ragione sta in ciò, che il processo di esecuzione, diversamente da quello di cognizione, non è un processo accertativo di una situazione sostanziale controversa, mentre è dotato di funzione satisfattiva ed eventualmente anche distributiva, che, originando dal possesso e dalla spendita di un titolo esecutivo, prescinde dall'accertamento del diritto sottostante.

In ragione di ciò, il giudice dell'esecuzione, al di là delle ordinanze, difficilmente pronuncerà sentenze – fisiologicamente destinate proprio all'espletamento di quella funzione accertativa – mentre sicuramente pronuncerà decreti; le ipotesi sono tassative e la disciplina degli stessi va rintracciata nella regola generale dell'

art. 135

c.p.c

.

.

Là dove, quindi, le norme del libro III del c.p.c. riferiscano ai suoi poteri la pronuncia di una sentenza (controversie in sede di distribuzione; contestazione da parte del terzo chiamato a rendere la dichiarazione; decisione sulle opposizioni), non può che trattarsi di momenti o fasi di interferenza tra cognizione ed esecuzione, di talché la pronuncia della sentenza avviene, da parte del giudice dell'esecuzione, ma nell'esercizio di poteri cognitivi (

B

asilico

,

La revoca

, cit., 294 s.).

D'altronde, il processo esecutivo, diversamente da quello di cognizione, il quale consiste in una sequenza concatenata di atti tendenti all'atto finale sentenza, è strutturato secondo una successione per fasi, all'interno delle quali gli atti sono dotati ciascuno di autonomia, così da risultare individualmente attaccabile per mezzo dell'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617.

In ragione di ciò, il legislatore ha ritenuto di dover disciplinare il regime di efficacia e di stabilità delle ordinanze del giudice dell'esecuzione, diversamente rispetto a quelle della cognizione. La revocabilità delle stesse «fino a che non abbiano avuto esecuzione», di cui all'

art. 487, c

.

p

.

v., attiene non già alla funzionalizzazione ad un risultato finale che è quello del processo, ma alla concreta attuazione del loro intrinseco contenuto; avrà riferimento, pertanto, al «compimento di quelle attività … idonee a incidere sulla situazione materiale extraprocessuale» (

C

hizzini

,

Provvedimenti

, cit., 67) e non già su diritti dedotti in giudizio. Essa si realizzerà, quindi, in via immediata e automatica attraverso la sola pronuncia dell'ordinanza, allorché quella sia dichiarativa (per es. determinazione della somma ai fini della conversione), oppure attraverso la realizzazione di un'attività successiva, disposta dall'ordinanza stessa (per es., l'ordinanza di assegnazione o di vendita sarà eseguita dagli organi esecutivi, mentre la delega alle operazioni di vendita troverà esecuzione con l'accettazione del professionista delegato).

Revocabilità della ordinanza di concessione della provvisoria esecutività

L'

art. 648 c.p.c.

definisce espressamente non impugnabile l'

ordinanza

mediante la quale il giudice istruttore concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo. L'inammissibilità dell'impugnazione avverso l'

ordinanza

con la quale il giudice istruttore ha concesso la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto, a norma dell'

art. 648 c.p.c.

, si basa sulla considerazione che si tratta di un provvedimento privo di contenuto decisorio, e comunque non idoneo ad interferire sulla definizione della causa, il quale opera in via meramente temporanea, con effetti destinati ad esaurirsi con la sentenza che pronuncia sull'opposizione (

Cass. civ., Sez. Un

., 14 maggio 2007 n. 10941

). Pertanto, il provvedimento,

ordinanza

, con cui è concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto non contiene la decisione di una questione idonea a definire il giudizio e lo stesso, di conseguenza, non ha natura di sentenza e non contenendo una implicita decisione di questione di competenza non è suscettibile di essere impugnato con ricorso per regolamento di competenza che, se, proposto, deve essere dichiarato inammissibile (

Cass. civ.,

17 maggio 2007

,

n. 11431

)

.

La circostanza che l'

art. 648 c.p.c.

definisca espressamente non impugnabile l'

ordinanza

con la quale è concessa l'esecuzione provvisoria del decreto, comporta, anche ai sensi dell'

art. 177, comma 2, c.p.c.

, che la stessa non sia né modificabile né revocabile neppure dal giudice che l'ha pronunciata.

La tesi dominante della non impugnabilità e immodificabilità da parte dello stesso giudice che emette la stessa dell'

ordinanza

mediante la quale è concessa l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo potrebbe indurre a ritenere sussistente un'assunta violazione del principio di eguaglianza quanto al sistema normativo di rimedi previsto per provvedimenti simili, stante l'estensione, invero, del reclamo

ex

art. 669-

terdecies

c.p.c.

da parte di recenti interventi normativi a numerosi provvedimenti (ad esempio, quelli resi ai sensi dell'

art. 624 c.p.c.

ovvero dell'

art. 708 c.p.c.

). Tuttavia, in diverse pronunce, la stessa Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondate le prospettate questioni di legittimità costituzionale dell'

art. 648 c.p.c.

nella parte in cui non consente la

revoca

dell'

ordinanza

concessiva della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo per contrasto con gli

art. 3

e

24 cost..

In evidenza

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è rilevante la q.l.c., in riferimento agli

art. 3

e

24 cost.

, dell'

art. 648 c.p.c.

, nella parte in cui prevede la non impugnabilità e, quindi, la non revocabilità e non modificabilità, dell'ordinanza che concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, in quanto la previsione della non impugnabilità dell'ordinanza concessiva dell'esecuzione provvisoria comporta

ex

art. 177 comma 3, n. 2), c.p.c.

, l'immodificabilità e l'irrevocabilità dell'ordinanza stessa da parte del giudice a quo

(

C. cost.

,

20 luglio 2007

,

n. 306

)

.

È manifestamente infondata, in riferimento agli

art. 3

e

24 cost.

, la q.l.c. dell'

art. 648 c.p.c.

, nella parte in cui non consente la revocabilità dell'ordinanza concessiva della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, in quanto, da un lato, l'

art. 186-ter c.p

.c.

, non costituisce un valido tertium comparationis, in considerazione della non coincidenza della disciplina, quanto alla revocabilità dell'ordinanza concessiva della provvisoria esecutività, giustificata dalla diversità di funzione e di natura dell'ordinanza-ingiunzione e del decreto ingiuntivo; dall'altro, rientra nella discrezionalità del legislatore, non sindacabile dalla Corte, disciplinare il provvedimento concessivo della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo in modo tale da indurre l'opponente ad una particolare esaustività dell'atto di opposizione, e perseguire, attraverso la differente disciplina della revocabilità, fini diversi attraverso due strumenti (l'ordinanza-ingiunzione e il decreto ingiuntivo) strutturalmente, per molteplici aspetti, identici (

C

. cost

.

, 18 ottobre

2002, n. 428

Le ordinanze assunte in sede di separazione e divorzio

I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'

art. 708 c.p.c.

sono soggetti al controllo sia dell'istruttore nella fase successiva sia al controllo della Corte d'Appello.

In particolare, i provvedimenti presidenziali possono essere revocati o modificati dal g.i. ai sensi dell'ultimo comma dell'

art. 709 c.p.c.

e sono suscettibili anche di revisione attraverso lo strumento del reclamo in Corte d'Appello nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento.

La previsione legislativa di due diversi strumenti di revisione avverso i provvedimenti presidenziali induce ad esaminare i rapporti tra le due misure concorrenti di controllo.

In dottrina e in giurisprudenza si contrappongono tesi che sostengono l'alternatività dei rimedi e quelle che, viceversa, la negano.

Secondo la tesi della non alternatività dei rimedi, l'ordinanza presidenziale è revocabile e modificabile da parte del giudice istruttore solo se sopravvengono giustificati motivi di natura sostanziale ( circostanze nuove) ovvero di natura processuale ( nuove allegazioni o nuove prove), mentre il reclamo è esperibile se si intendono far valere errori della decisione adottata nella fase presidenziale e, in questa ipotesi, la decisione del Corte d'Appello si basa necessariamente sui medesimi elementi allegati nella fase presidenziale (Trib. Pisa 3 marzo 2010; Trib. Pistoia 7 gennaio 2010).

Dunque, non è possibile invocare i poteri di modifica e revoca del provvedimento presidenziale non reclamato, se non sono sopravvenute circostanze nuove per due ordini di ragioni.

I due rimedi hanno funzioni peculiari: il reclamo consiste in una rivalutazione dell'ordinanza presidenziale sulla base dei medesimi elementi posti a fondamento della stessa (eventuali errori di valutazione delle emergenze processuali), mentre il potere di revoca e modifica ha lo scopo di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto e dunque di adeguare i provvedimenti alle nuove emergenze risultanti dalla istruttoria svolta ovvero alle circostanze sopravvenute.

Sebbene sia stato eliminato dall'

art. 709 c.p.c.

l'inciso «mutamento delle circostanze», l'

art. 156, ult. comma, c.c.

prevede espressamente che, solo in presenza di sopravvenuti giustificati motivi, il giudice può revocare o modificare i provvedimenti già assunti.

La disciplina dei provvedimenti di revoca e modifica del provvedimento presidenziale deve essere uniformata al modello procedimentale dei provvedimenti cautelari di cui agli

artt. 669 e ss c.p.c.

che prevede la sussistenza di un quid novi per l'esercizio del potere di revoca o modifica dei provvedimenti cautelari emessi dal giudice.

In questa prospettiva, il disposto dell'

art. 709 c.p.c.

deve essere letto nel senso che la modifica è consentita solo se ricorrono mutamenti sopravvenuti nelle circostanze.

Su questa scia si colloca anche la giurisprudenza del Tribunale di Napoli secondo il quale, in pendenza del termine per la proponibilità del reclamo in Corte d'appello e al fine di evitare contrasti tra provvedimenti, non è possibile chiedere al giudice istruttore la modifica o la revoca dei provvedimenti presidenziali, adottati nelle cause di separazione, anche in ipotesi di sopravvenienze (Tribunale Napoli, 9 novembre 2006).

Tuttavia, altri giudici di merito ha ritenuto ammissibile il reclamo solo se il provvedimento presidenziale è destinato ad avere una duratura applicazione e sempre che si intenda rimediare all'abnormità della decisione che può danneggiare le parti nel tempo che separa l'udienza presidenziale da quella di prima comparizione dinanzi all'istruttore (App. Firenze, 9 aprile 2010).

In evidenza

Nell'ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, i provvedimenti adottati dal giudice istruttore,

ex

art. 709, ultimo comma, c.p.c.

, di modifica o di revoca di quelli presidenziali, non sono reclamabili poiché è garantita l'effettività della tutela delle posizioni soggettive mediante la modificabilità e la revisione, a richiesta di parte, dell'assetto delle condizioni separative e divorzili, anche all'esito di una decisione definitiva, piuttosto che dalla moltiplicazione di momenti di riesame e controllo da parte di altro organo giurisdizionale nello svolgimento del giudizio a cognizione piena (

Cass. civ.,

sez. VI, 4 luglio

2014, n. 15416

).

Revoca delle misure cautelari

A differenza del rimedio latamente impugnatorio costituito dal reclamo cautelare, l'istanza di

revoca

e/o modifica delle misure cautelari non rappresenta uno strumento avente la funzione di criticare la cautela concessa, bensì quella di far valere eventuali mutamenti delle circostanze in forza delle quali era stato emanato il provvedimento cautelare per evitare che divenga anacronistico e sopravviva alla propria originaria funzione (

C

onsolo

, Spiegazioni di diritto processuale, I, Padova 2006, 365

).

Tornando alla questione dei limiti entro i quali è possibile la modifica o

revoca

di una misura cautelare e, quindi, al problema della c.d. « ;stabilità ;» della stessa, è ragionevole ritenere, sulla scorta dell'odierna formulazione dell'

art. 669-

decies

c.p.c.

, la deducibilità in sede di

revoca

o modifica di fatti anteriori al momento entro il quale gli stessi potevano essere dedotti nel procedimento cautelare, ma dei quali si è acquisita solo successivamente la conoscenza.

In altri termini, possono oggi assumere rilevanza, ai fini della modifica e/o

revoca

delle ordinanze cautelari, circostanze nuove in senso oggettivo o soltanto soggettivo,

i.e.

preesistenti ma ignote al deducente, sul quale verterà il relativo onere probatorio, prima della pronuncia del provvedimento cautelare. Nella giurisprudenza di merito edita che ha avuto occasione di pronunciarsi sulla questione si è correttamente evidenziato che la

revoca

del provvedimento cautelare è consentita solo a fronte « ;di fatti anteriormente non dedotti, di cui sia stata acquisita conoscenza solo successivamente al giudizio cautelare ;», trattandosi di circostanze di fatto che la parte che intende ribellarsi al giudicato cautelare non ha proposto nel procedimento cautelare per averli ignorati, benché ciò fosse astrattamente possibile: pertanto requisito implicito e sottinteso è il carattere incolpevole dell'ignoranza, in conformità dei principi fondamentali dell'ordinamento civile, che del resto trovano conferma nel rilievo attribuito dalla norma novellata all'onere probatorio accollato alla parte che adduce quale circostanza legittimante la conoscenza sopravvenuta (

Trib

.

Torino,

ord. 17 febbraio 2011

).

Riferimenti
  • B

    asilico

    ,

    La revoca dei provvedimenti civili contenziosi

    , Padova, 2001, 224 ss.;

  • C

    hizzini

    ,

    Provvedimenti

    del giudice, in Dig. Civ., XXVI, Torino, 1997, 65;

  • C

    onsolo

    , Spiegazioni di diritto processuale, I, Padova 2006, 365.

Sommario