Opposizione a procedura di riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello stato e degli altri enti pubbliciFonte: RD 14 aprile 1910 n. 639
10 Gennaio 2016
Inquadramento
L'opposizione avverso la procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici - attualmente disciplinata dall' art. 3 del Testo Unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con r.d. 14 aprile 1910, n. 639 - è stata inserita dal d.lgs. 150/2011 tra i procedimenti regolati dal rito ordinario. Si è tenuto conto, secondo la Relazione di accompagnamento del decreto, del fatto che la scarna disciplina vigente in materia non consente di ritenere che queste controversie presentino caratteri di concentrazione processuale o di officiosità dell'istruzione, ovvero di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa.
L'articolo 3 del testo unico citato prevede, come visto, che avverso il provvedimento contenente l'ingiunzione di pagamento il debitore può proporre opposizione regolata «a norma del codice di procedura civile». L'inclusione di tali controversie nell'ambito del decreto risponde, secondo la Relazione, alle esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo, più volte richiamate. Peraltro, in conformità alla delega è stata mantenuta ferma la competenza territoriale, determinata in base al luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento opposto. Le ragioni della modifica normativa
In particolare, nella Relazione si specifica che, pur richiamando il procedimento per ingiunzione fiscale quello di opposizione a decreto ingiuntivo, regolato anch'esso dalle norme sul giudizio ordinario di cognizione, si aderisce a quell'orientamento secondo cui il procedimento ha natura di giudizio di accertamento negativo della pretesa manifestata con il provvedimento impugnato, nel quale, a differenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente assume la posizione dell'attore in senso formale e in senso sostanziale.
La disciplina previgente del procedimento prevedeva un termine di 30 giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato per la proposizione dell'opposizione. Il procedimento riformato dal d.lgs. 150/2011
Sulla base della nuova formulazione dell'art. 3 r.d. 639/1910 e dell' art. 32 d.lgs. 150/2011 , il giudizio, come in precedenza, deve seguire le regole del processo ordinario di cognizione; l'atto introduttivo, che prima era il ricorso, diventa, in base alle regole del rito prescelto, l'atto di citazione, che deve essere sottoscritto da difensore munito di procura e notificato all'autorità che ha emesso l'ingiunzione fiscale.
Il giudizio segue poi le norme ordinarie, senza altre eccezioni se non quelle previste esplicitamente dall' art. 32 d.lgs. 150/2011 . Queste previsioni «speciali» della nuova norma, si sostanziano nel dettato dei commi 2 e 3; in particolare nell'individuazione del giudice competente in quello del luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento opposto, nella nuova disposizione in tema di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato ed anche nella eliminazione del riferimento al termine di trenta giorni per la proposizione dell'atto di citazione ai fini della sospensione.
Il procedimento segue, poi, le norme ordinarie. Il giudizio, pertanto, si chiude, come di regola, con sentenza di rito o di merito; qualora si pervenga ad una decisione nel merito questa potrà essere di conferma dell'ingiunzione fiscale opposta, ovvero di revoca della stessa, a seconda della soccombenza.
Le spese del giudizio, secondo la regola generale, seguono il principio della soccombenza: possono comunque trovare applicazione, ove ne ricorrano i presupposti, i correttivi previsti dagli artt. 92 e ss. c.p.c. La competenza
In base ai criteri imposti dalla legge delega, il decreto non muta i criteri di determinazione della competenza; si è precisato che il generico riferimento al giudice unito al riferimento all' autorità giudiziaria ordinaria contenuto nel novellato art. 3 del r.d. n. 639/1910 , induce a ritenere che la competenza verticale si determini sulla base delle regole ordinarie. Rimane, inoltre, certamente intatto l'ambito della giurisdizione ordinaria rispetto a quella speciale. Peraltro va rilevato che, in ossequio alla sentenza della Consulta richiamata anche in motivazione, l'art. 32 in parola fa riferimento esplicito, nel comma 2, già esaminato, al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento opposto .Le ragioni, in virtù dell'esplicito riferimento alla sentenza, vanno individuate nella motivazione di essa, laddove, come visto, ha escluso che la previsione che la competenza territoriale debba, nel caso di specie, radicarsi nel luogo dove ha sede l'ufficio emanante possa costituire esercizio arbitrario o irragionevole della discrezionalità che spetta in materia al legislatore, poiché tale previsione è fondata sulla considerazione della natura dell'ente dal quale l'ordinanza proviene, della articolazione territoriale di questo e della qualità dei crediti per il soddisfacimento dei quali il procedimento di ingiunzione fiscale può essere esperito.
Il comma 3 dell' art. 32 d.lgs. 150/2011 prevede che « L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5». Il riferimento è, pertanto, alla previsione generale dell'art. 5 dello stesso decreto che istituisce una disciplina uniforme dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati, in ossequio al parere espresso dalle commissioni parlamentari.
Il primo rilievo è quello relativo alla scomparsa del riferimento al termine di trenta giorni per la proposizione dell'opposizione che, come visto supra, configurava un termine perentorio, non già quanto alla possibilità di proporre l'opposizione, quanto con riferimento alla possibilità di chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'ingiunzione fiscale.
Nulla cambia quanto alla necessità dell'istanza di parte che, seppur non prevista esplicitamente nella vecchia formulazione dell' art. 3 r.d. 639/1910 , doveva ritenersi insita nell'applicabilità delle regole del procedimento ordinario. Sembra, tuttavia, che sia scomparsa la possibilità di proporre l'istanza di sospensione con un autonomo atto, cosa che, invece, era praticabile sulla base della precedente normativa. In applicazione della regola posta dall' art. 5 d.lgs. 150/2011 , l'istanza va proposta con l'atto introduttivo del giudizio, salva la scissione nelle due modalità di pronuncia della sospensione; la prima, in contraddittorio, con ordinanza non impugnabile e con motivazione specifica delle «gravi e circostanziate ragioni»; la seconda, in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, disposta con decreto fuori udienza e confermata entro la prima udienza successiva, con ordinanza inimpugnabile e motivata alla stregua del primo comma.
Per il resto, valga il riferimento integrale alla disciplina generale contenuta nell' art. 5 del d.lgs. 150/2011 . Basti in questa sede rilevare unicamente che, come emerge dalla lettura della previsione, due sono le forme procedimentali consentite, entrambe ad istanza di parte. La prima presuppone il contraddittorio con la controparte rispetto all'esistenza dei presupposti del provvedimento giurisdizionale richiesto, e determina l'adozione di una «ordinanza non impugnabile». La seconda, fondata sull'esistenza di una situazione di «pericolo imminente di un danno grave ed irreparabile», si conclude con l'emanazione di un decreto inaudita altera parte.
Rispetto alla precedente formulazione dell' art. 3 r.d. 639/1910 , la previsione delle gravi ragioni per la sospensione del provvedimento impugnato pare una novità, atteso che nulla si prevedeva, con riguardo ai presupposti per la concessione della sospensiva, nella norma previgente.
Vi è, pertanto, la necessità di individuare un ipotetico significato dell'espressione «gravi ragioni», che può essere ravvisato nell'obbligo per il giudice di delibare tanto la fondatezza della opposizione quanto il pregiudizio che subisce l'opponente. Queste gravi e circostanziate ragioni devono essere, peraltro, «esplicitamente indicate nella motivazione». L'espressione non è nuova; identica formulazione è stata infatti introdotta, dalla riforma del 2009, nell' art. 92 c.p.c. in tema di compensazione delle spese se vi è soccombenza reciproca o ricorrono altre gravi ed eccezionali ragioni. In quel caso, come è noto, l'introduzione della necessità della esplicita motivazione è stata dettata dall'esigenza di arginare l'annoso problema dell'abuso dell'istituto della compensazione delle spese. In questo caso, tuttavia, l'esplicitazione mi pare inutile, atteso che la necessità di delibazione delle gravi e circostanziate ragioni reca già in sé il corrispondente obbligo di indicarle nella motivazione del provvedimento.
Peraltro, evidenzio come il carattere «non impugnabile» della ordinanza testualmente previsto dall'art. 5 comma 1, ne comporta l'attuale non reclamabilità, non revocabilità e non modificabilità; con la conseguenza che risulta disarmonica anche questa previsione rispetto al passato. Infatti l' art. 3 r.d. 639/1910 nulla prevedeva in proposito, risultando pertanto possibile l'esperimento del reclamo alla stregua delle regole generali e, comunque, la revocabilità del provvedimento. E, inoltre, la nuova struttura pare disarmonica anche con il disposto dell' art. 60 del d.P.R. 602/1973 come riformato nel 1999, a norma del quale il giudice, nell'ambito delle opposizioni consentite, può sospendere l'esecuzione solo quando ricorrono gravi motivi e vi sia il fondato pericolo di grave e irreparabile danno. Sul punto la dottrina ha evidenziato come nel caso di competenza del giudice dell'esecuzione, nonostante la natura «genericamente cautelare», i provvedimenti di sospensione siano opponibili ex art. 617 c.p.c. . Al tempo stesso, per i provvedimenti di competenza del giudice del merito, la natura latamente cautelare consente, infatti, una equiparazione quoad effectum al regime valido per i provvedimenti di tal genere: quindi la reclamabilità ex art. 669-terdecies e la revocabilità alla stregua delle regole ordinarie, ex art. 177 c.p.c.
Si è infine precisato che negare la reclamabilità della ordinanza e la sua revocabilità significa modificare il regime previgente ogni volta che la «sospensiva» era rivedibile, o per espresso dettato di legge o per prassi giurisprudenziale. Riferimenti
C. APRELLA, sub art. 3 2 d.lgs. 150/2011 , in AA.VV., Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, a cura di F. Santangeli, Milano, 2012, 967 e ss. con ulteriori approfondimenti. |