Il principio della pubblicità nelle procedure giudiziarie. Il cammino della Corte Costituzionale
03 Settembre 2015
Massima
La garanzia della pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancita dall'art. 6, par.1,della Cedu, così come interpretato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, deve rappresentare una regola che ammette eccezioni solo in base a peculiari caratteristiche del caso concreto, oppure per procedure particolari di contenuto essenzialmente tecnico. Tali eccezioni, ammesse dai Giudici di Strasburgo, riguardano procedure che, comunque, contemplano una fase pubblica di discussione della causa portata in giudizio. Il principio, collegato all'art. 117, primo comma,Cost, costituisce norma interposta rispetto alla quale la disposizione convenzionale ha valenza integrativa. Il caso
Nell'estate del 1964 veniva rinvenuta, ad opera di pescatori di Fano, una statua in bronzo attribuibile allo scultore greco Lisippo e denominata l'Atleta vittorioso. La statua, senza esser denunciata alle autorità competenti, fu trasferita all'estero in epoca antecedente il 1972 e collocata in un museo degli Stati Uniti d'America. Il 25 novembre 1978 il pretore di Gubbio dispose il non luogo a procedere riguardo al reato d'illecita esportazione di beni culturali (art. 66, l. 1° giugno 1939, n. 1089 Tutela delle cose di interesse artistico e storico) perché rimasti ignoti gli autori del reato. Sulla base di nuove informazioni, la procura della Repubblica presso il tribunale di Pesaro, avviava, nel 2007, un procedimento penale nei confronti di cinque persone per il reato ora previsto dall'art. 174, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) ed altri reati connessi. Il giudice per le indagini preliminari di Pesaro, il 19 novembre 2007 disponeva l'archiviazione del procedimento nei confronti degli indagati, perché tutti i reati erano estinti per prescrizione, rigettando la richiesta del pubblico ministero di confisca della statua, poiché i responsabili del museo in cui essa era collocata devono considerarsi estranei al reato. Contro questa decisione il pubblico ministero proponeva incidente d'esecuzione ai sensi degli art. 666 e ss del c.p.p., a seguito del quale il Gip, integrato il contraddittorio tra le parti, con provvedimento del 10 gennaio 2010 ordinava la confisca della statua “ovunque essa si trovi”. Il provvedimento veniva impugnato dal rappresentante del trust possessore (nonché acquirente) della statua innanzi la Corte di cassazione che, qualificando l'impugnazione ex art. 667, comma 4, c.p.p., ne disponeva la trasmissione al Gip di Pesaro. Il trust chiedeva ripetutamente che l'udienza – inequivocabilmente camerale, atteso che si trattava di un incidente di esecuzione per l'applicazione della confisca – si svolgesse in forma pubblica. Il Gip di Pesaro respingeva la richiesta di revoca della confisca, sottolineando, in particolare che essa segue anche le ipotesi di proscioglimento che non escludano la materialità dei fatti e, segnatamente, i casi di proscioglimento per prescrizione e poneva l'accento, inoltre, sul fatto che il giudice dell'esecuzione conserva, nelle ipotesi in discussione, dei poteri di accertamento in ordine sia ai fatti rilevanti ai fini della decisione di confisca che alla sussistenza degli elementi che la rendono applicabile. Il trust, costituitosi nel giudizio di esecuzione, deduceva con uno specifico motivo di ricorso la violazione della Cedu, art. 6, par. 1 per il mancato accoglimento della propria e reiterata richiesta di trattazione del procedimento in udienza pubblica.
In motivazione La Corte rileva l'assoluta assonanza delle norme convenzionali con le tutele offerte dalla nostra Costituzione; il principio di pubblicità delle udienze giudiziarie ha valore costituzionale peraltro consacrato anche in altre carte dei diritti fondamentali “La pubblicità del giudizio – specie di quello penale – rappresenta in effetti, un principio connaturato ad un ordinamento democratico (ex plurimis, sentenze n. 373/1992, n. 69/1991 e n. 50/1989). Il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali (sentenza 212 del 1986) e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza n. 12/1971)”. Ragioni giustificative che nel caso deciso mancano, e pertanto conducono alla determinazione della violazione delle garanzie convenzionali e costituzionali, atteso che il provvedimento di confisca impugnato è finalizzato all'applicazione di una misura ulteriore rispetto a quelle adottate in sede cognitiva e postula accertamenti anche e prima di tutto di tipo fattuale. Il provvedimento ablativo in questo caso colpisce un soggetto rimasto estraneo al giudizio di cognizione che non ha avuto, quindi, la possibilità di fruire della garanzia della pubblicità delle udienze nell'ambito di quel giudizio. La questione giuridica
La decisione, dunque, investe una procedura camerale che è successiva ad un procedimento penale. Il ricorrente della procedura esecutiva era rimasto totalmente estraneo all'accertamento del procedimento di cognizione che, peraltro, si era concluso con una decisione di proscioglimento per estinzione del reato senza investire il merito dei fatti. La misura della confisca adottata in questa fase è ulteriore rispetto all'accertamento del giudizio di merito, sicché, come rileva anche il Gip di Pesaro, lo stesso accertamento sulla sussistenza delle condizioni di adozione della misura è compito (e riservato) del giudice che vi provvede. Il risultato di questo accertamento è suscettibile di incidere sui diritti convenzionalmente tutelati del destinatario della misura. Le questioni sottese a questa decisione riguardano essenzialmente l'applicabilità del principio di pubblicità dell'udienza e l'applicabilità del provvedimento di confisca in una procedura distinta ed ulteriore rispetto al procedimento di cognizione che si è concluso con una decisione di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Quanto alla pubblicità delle udienze, l'Avvocatura dello Stato, in particolare, ha richiamato nelle difese che il valore del principio, come attestato dalle eccezioni previste nella seconda parte dell'art. 6 Cedu, non è assoluto ed inderogabile, tanto che la stessa Corte Edu ha ritenuto che in alcune situazioni (eccezionali) per la natura delle questioni da trattare, quali quelle a carattere altamente tecnico, si potesse giustificare l'udienza a porte chiuse. Sull'applicabilità della confisca, invece, analizzando anche la successione di norme concernenti la tutela del patrimonio storico ed artistico, si è ricordato che la confisca dei beni abusivamente esportati era prevista dall'art. 66 della l. 1089 del 1939 e che, tra l'altro, pur escludendone l'applicazione a cose appartenenti ad un terzo che non sia autore del reato e che non ne abbia tratto profitto (Corte Cost. n. 2/1987) la l. 88/1998 e successivamente l'art. 123, d.lgs. 490/1999 e l'art. 174, d.lgs. 42/2004 prevedevano la confisca, stabilendo che dovesse essere disposta anche nel caso di proscioglimento che non escluda la materialità dei fatti e in particolare nel caso di estinzione per prescrizione. La giurisprudenza di legittimità, poi, ha interpretato in senso restrittivo il concetto di appartenenza della cosa a terzi estranei al reato, affermando che i privati non possono diventare proprietari di beni che, intrinsecamente, non sono commerciabili – come i beni archeologici- nemmeno nel caso dell'acquisto in buona fede. Si è fatto rilevare, inoltre, che nel caso di specie per le circostanze dell'acquisto e le modalità dell'esportazione, oltre che per la natura del bene, fosse da escludere la buona fede dei titolari del museo. Infine, l'Avvocatura ha cercato di sostenere che la confisca del bene non avrebbe carattere sanzionatorio bensì esclusivamente funzione recuperatoria di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato. Resterebbe, in conclusione, assegnato al giudice dell'esecuzione il potere di accertamento in ordine agli elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione sulla confisca. Le soluzioni giuridiche
Le pronunce del giudice costituzionale hanno investito finora la (il)legittimità delle norme del procedimento di prevenzione e l'applicazione delle misure di sicurezza nella parte in cui non consentono all'interessato di chiedere che le procedure si svolgano nelle forme dell'udienza pubblica (nel secondo caso con la sola esclusione del giudizio di legittimità); analogamente si è concluso per una violazione del principio di pubblicità nel caso della procedura innanzi al tribunale di sorveglianza, mentre era stata dichiarata inammissibile la questione riguardante la riparazione per ingiusta detenzione perché l'interessato non aveva mai formulato richiesta di udienza pubblica. Orbene, l'analogia con le decisioni antecedenti si rinviene nel fatto che il ricorso di cui alla decisione investe un'ordinanza emessa a seguito di una procedura camerale, successiva ad un accertamento penale, e riguarda l'applicazione di una misura ulteriore rispetto all'accertamento penale, che incide su diritti costituzionalmente garantiti del destinatario. Destinatario che, inoltre, non è stato partecipe dell'accertamento penale e quindi è posto in condizione di difendersi solo ed esclusivamente nel corso del procedimento di esecuzione. La parte privata, il trust che rappresenta il museo possessore della statua, d'altronde, fa presente di aver richiesto più volte nelle proprie deduzioni e ricorsi difensivi l'udienza pubblica, proprio a causa delle peculiarità della procedura di confisca oggetto del giudizio, che rendono centrale la richiesta di accesso ad un'udienza pubblica: il terzo interessato, non è mai stato posto in grado di interloquire nel procedimento di cognizione riguardo alla fondatezza dell'accusa mossa ai propri danti causa; la misura della confisca, inoltre, incide sui diritti del destinatario presidiati dalla garanzia convenzionale di cui al primo protocollo addizionale della Cedu, art. 1. Si contrappone, quindi, l'affermazione secondo la quale la confisca in executivis non abbia funzione sanzionatoria ma risponderebbe unicamente alla finalità di recuperare un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato. Di opinione contraria la Corte che richiama la giurisprudenza Cedu che afferma che la confisca ha vera e propria natura di pena, quanto all'effetto delle garanzie convenzionali. L'applicazione della confisca richiede e postula accertamenti prima di tutto fattuali, riguardanti il collegamento tra il fatto sottoposto alla valutazione del giudice penale e il bene, oltre che la verifica delle condizioni che consentono l'adozione della confisca nei confronti del terzo in suo possesso. Il provvedimento ablatorio, in questo caso, ha senza dubbio peculiarità che rendono centrale la richiesta difensiva di accesso ad una udienza pubblica, sia per l'oggetto della decisione, che è del tutto privo di connotazioni tecniche richiamate al fine di giustificare la limitazione del principio di pubblicità, sia per il valore economico del bene e per la reputazione del ricorrente, in ragione dei quali è indiscutibile che la confisca in questione abbia natura di pena, atteso che in nessun modo si possono ritenere ad essa estranei gli effetti lesivi dell'onore e della reputazione del destinatario, oltre che, dato l'altissimo valore artistico e archeologico del bene, anche del patrimonio. Ma quel che conta in via principale è che il ricorrente, terzo e del tutto estraneo al procedimento penale sottostante l'adozione della misura, non è stato mai posto in grado di interloquire sulla fondatezza dell'accusa nei confronti dei propri danti causa. Osservazioni
Le sentenze della Corte Edu hanno ampliato progressivamente il numero di procedure per le quali deve essere assicurato all'interessato di ottenere l'udienza pubblica ai sensi dell'art. 6 della Cedu. I giudici di Strasburgo hanno, con più decisioni, evidenziato l'importanza del principio sancito nell'art. 6, par. 1, della Cedu, rilevando come “la pubblicità delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo a realizzare lo scopo dell'art. 6, par. 1, della Cedu: ossia l'equo processo”. Giustamente, e benché la questione sia formulata con un richiamo generico ai procedimenti che si svolgono davanti al giudice dell'esecuzione, la Corte si è premurata di specificare che la decisione attiene specificamente ed esclusivamente il procedimento di esecuzione volto all'applicazione della confisca. Precisazione avveduta e ragionevole, in considerazione della molteplicità dei temi che possono essere trattati in sede esecutiva. Si deve riconoscere, infatti, che l'eventuale estensione della soluzione raggiunta con questa decisione a tutte le questioni correnti nella fase di esecuzione potrebbe rivelarsi addirittura contraria alla stessa giurisprudenza Cedu. In effetti, la Corte Edu, prima della nostra Corte costituzionale, ha avuto modo di affrontare il tema della pubblicità delle udienze e di estendere la portata dell'applicabilità del principio di pubblicità delle udienze anche a quelle che si svolgono davanti ai giudici di sorveglianza e di esecuzione, riservandolo tuttavia solo a quei procedimenti che hanno ad oggetto la fondatezza di un'accusa ed escludendo, di conseguenza, quelli nei quali l'esecuzione riguardi una sentenza definitiva di condanna. Tuttavia il principio torna ad esser prevalente ove la procedura esecutiva concerna la fissazione di una misura di condanna già inflitta. La distinzione, insomma, tra i procedimenti che costituiscono mera esecuzione di una condanna e i procedimenti che implicano valutazioni sostanziali nella determinazione dell'esecuzione non è affatto semplice. I parametri costituzionali richiamati dalla Corte sono gli artt. 111, comma 1, e 117. L'attuazione del giusto processo ed il rispetto dei principi ad esso connessi rappresenta senza dubbio un valore cui assicurare primazia assoluta. La pubblicità del giudizio ne è parte, poiché è “un principio connaturato ad un ordinamento democratico”. L'art. 117 costituisce il parametro di riferimento rispetto al quale le norme Cedu hanno valenza integrativa; in sintesi, l'art. 117 contiene un rinvio mobile ad una fonte che è integrata dalle norme Cedu, le quali rappresentano delle norme interposte, che trovano la loro collocazione nella gerarchia delle fonti interne a metà strada tra le norme di rango ordinario e le norme della costituzione. In virtù di questa collocazione, le norme Cedu costituiscono il parametro interposto per il controllo di legittimità costituzionale e, nello stesso tempo, criterio per l'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni interne. Di conseguenza, dato il rango della tutela apprestata dalla Convenzione e dalla Costituzione, in mancanza di motivazioni tecniche, non è legittimo limitare la richiesta di ammissione ad una pubblica udienza del terzo, investito degli effetti della procedura esecutiva. Altro ordine di osservazioni riguarda la definizione della confisca “senza condanna”. Misura che ha caratteristiche funzionali sui generis molto distanti da quelle codificate. La Corte ha richiamato la giurisprudenza Cedu che ha riconosciuto la natura di pena, ai sensi dell'art. 7 della Convenzione, anche alla confisca “senza condanna”, poiché l'accertamento che conduce all'adozione del provvedimento stabilisce l'esistenza di un legame con l'imputazione. Benché l'Avvocatura dello Stato abbia provato a sostenere una diversa concezione di questo tipo di provvedimento ablatorio, si evidenzia che, di fatto, esso non tende alla riparazione del danno ma ha essenzialmente lo scopo di impedire la reiterazione della violazione. Entrambe le Corti concordano sulla natura di vera e propria sanzione del provvedimento di confisca, in cui rinvengono sia carattere preventivo che repressivo; il provvedimento determina, tra l'altro, una obiettiva ingerenza nel pacifico godimento di un bene, in particolare quando il bene è posseduto da un terzo, non partecipe del processo penale che ne ha costituito la ratio. La confisca “senza condanna” in conclusione, è considerata legittima soltanto se fondata su basi legali prevedibili ed accessibili sì da rispettare l'equilibrio tra le esigenze di tutela dell'interesse generale della comunità e gli imperativi di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. Si evidenzia, quindi, anche la preoccupazione nella giurisprudenza della Corte Edu richiamata dalla Corte costituzionale, di non consentire in maniera indiscriminata l'applicazione di una “pena” senza responsabilità, in violazione del principio nullum crimen sine culpa. Corte Cost., 12 marzo 2010, n. 93; Corte Cost., 11 marzo 2011, n. 80; Corte Cost., 21 maggio 2014, n. 135; Corte Cost., 15 aprile 2015, n. 97; CEDU Lorenzetti c.Italia del 10 aprile 2012; CEDU Phillips c. Regno Unito del 5 luglio 2001; CEDU Welch c. Regno Unito del 9 febbraio 1995; CEDU Varvara c. Italia del 29 ottobre 2013; CEDU Sud fondi c. Italia del 20 gennaio 2009; CEDU Bongiorno ed altri c. Italia del 5 gennaio 2010; Biondi G. Il diritto dell'interessato ad ottenere la celebrazione pubblica dell'udienza nei procedimenti d'esecuzione, Cass. Pen. 2015, p. 697 e ss.; Manes V. La confisca senza condanna al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione d'innocenza, Dir. Pen. Contemporaneo, 13 aprile 2015; Plastina N. Il rito camerale nelle procedure per le misure di prevenzione nell'ordinamento italiano: la Corte europea ne assolve l'equità ma ne censura (parzialmente) la mancanza di pubblicità, Cass Pen 2008, p. 1627 e ss.
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