La sanzione sostitutiva della pena pecuniaria tra semantica, logica giuridica e principio di rieducazione

Gianluca Bergamaschi
10 Giugno 2016

Il divieto di sostituzione della pena detentiva, quando il giudice presuma che le prescrizioni non saranno adempiute, è da riferirsi solo alla semidetenzione ed alla libertà controllata e non anche alla pena pecuniaria, per la quale la normativa non prevede prescrizione alcuna, sicché può essere sostituita la pena detentiva con quella pecuniaria anche al soggetto in condizioni economiche disagiate e di cui si possa dubitare della capacità di adempiere.
Massima

Il divieto di sostituzione della pena detentiva, quando il giudice presuma che le prescrizioni non saranno adempiute, è da riferirsi solo alla semidetenzione ed alla libertà controllata e non anche alla pena pecuniaria, per la quale la normativa non prevede prescrizione alcuna, sicché può essere sostituita la pena detentiva con quella pecuniaria anche al soggetto in condizioni economiche disagiate e di cui si possa dubitare della capacità di adempiere, anche perché tra i criteri che il giudice deve considerare ex art. 133 c.p., non ci sono le condizioni economiche del reo.

Il caso

La vicenda si dipana tra il tribunale monocratico e le Corte d'appello di Brescia, dai quali il condannato per il reato p. e p. dall'art. 2, comma 1-bis, d.l. 463/1983 conv. l. 638/1983 (omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali pari ad € 14.937,00) ad un mese di reclusione ed € 80,00 di multa, con pena sospesa, non ottiene la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, giacché secondo i giudicanti, attesa la natura del reato, manca la prova della solvibilità del reo e dunque sussiste motivo di presumere l'inadempimento, nonostante l'esiguità della somma da pagarsi per effetto della conversione, € 1.140,00, ossia un importo accessibile anche a chi non abbia rilevanti risorse economiche.

La Corte di cassazione annulla con rinvio la sentenza della Corte d'appello di Brescia, sulla base di tre argomenti.

Intanto, nega che l'eventuale prognosi di inadempimento possa ostare alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria in forza dell'art. 58, comma 2, della l. 689/1981, il quale vieta di operarla quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato, giacché tale divieto si applica solo alle pene sostitutive per cui siano effettivamente previste delle prescrizioni, ossia la semidetenzione (art. 55) e la libertà controllata (art. 56).

Inoltre, nega alla tipologia del reato il valore sintomatico di un'incapacità patrimoniale tale da rendere improbabile l'adempimento, ciò perché è principio indiscusso che la sostituzione possa essere concessa anche a chi versi in difficoltà economiche ma in qualche modo in condizioni di adempiere.

Infine, ricorda che il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi è vincolato ai criteri dell'art. 133 c.p., tra i quali vi sono le condizioni di vita individuale, famigliare e sociale ma non quelle economiche.

La questione

Il problema verte sul significato e sulla portata dell'espressione prescrizioni, contenuta nell'art. 58, ossia se essa si riferisca anche alla pena pecuniaria, nonché in quale rapporto stia con le prescrizione e con le modalità di esecuzione affidate al magistrato di sorveglianza (artt. 62 e ss.) circa la semidetenzione e la libertà controllata.

Inoltre, è da notare come ciò s'intersechi con la questione della portata dei criteri disciplinanti la discrezionalità del giudice, riferibili non solo al contenuto dell'art. 133 c.p. ma anche alla maggiore idoneità al reinserimento sociale del condannato, ex art. 58, comma 1, della legge 689/1981.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione adottata nella sentenza in commento si muove nel solco della Cassazione penale, Sezioni unite,22 aprile 2010, n. 24476, la quale afferma che la l. 689/1981 ha istituito un doppio binario con, da un lato, la semidetenzione e la libertà controllata, per le quali viene delineato un sistema di esecuzione, di modalità esecutive e di controllo sull'adempimento delle prescrizioni imposte con la sentenza di condanna e a cui la legge si riferisce quando parla di prescrizioni e, dall'altro, la pena sostitutiva pecuniaria, a cui nulla di tutto ciò è riconducibile.

Tale pronunciamento fa aggio intanto sul fatto che una diversa interpretazione porterebbe ad una conclusione in odore di incostituzionalità, giacché finirebbe per discriminare i meno abbienti. Inoltre su tre argomenti:

  1. il valore non solo formale del dato letterale dell'art. 58 citato, che, come si è detto, rinvia a "prescrizioni" previste in concreto – attraverso una complessa ed articolata serie di norme – soltanto per le pene sostitutive più afflittive;
  2. la ricostruzione della ratio legis, essendo evidente che l'adempimento di "prescrizioni" dettagliatamente indicate nei successivi articoli non può riguardare la pena sostitutiva in sé considerata, ma deve necessariamente collegarsi all'osservanza di specifici adempimenti prescrittivi, non previsti per la pena pecuniaria;
  3. l'argomento sistematico, in relazione al generale orientamento del legislatore che ha inteso sempre più personalizzare le pene pecuniarie, tenendo conto delle condizioni economiche del condannato.

L'opzione operata dalla suprema Corte di cassazione a Sezioni unite, ha scartato, ma evidentemente non estinto, l'orientamento di segno opposto ben compendiato nella Cassazione penale, Sez. III, 19 settembre 2008, n. 39495, ove, intanto, si bolla come riduttivo l'interpretare il concetto di prescrizione come riferibile esclusivamente agli obblighi e ai divieti in senso tecnico relativi alla semidetenzione ed alla libertà controllata, piuttosto che in senso lato, con riferimento anche alla concreta possibilità del soggetto condannato di adempiere compiutamente il suo debito pecuniario (rectius, di ottemperare alla statuizione), anche perché semanticamente il termine indica qualunque norma o precetto fissato dalla competente autorità.

Inoltre, la Corte osserva che, se è vero che tra i criteri dell'art. 133 c.p. non sono indicate le condizioni economiche del reo, esse, però, lo sono sia nell'art. 133-bis c.p. sia nell'art. 133-ter c.p., i quali attengono non al momento per così dire genetico del potere discrezionale del Giudice nell'applicazione della pena, ma ad un momento successivo, in cui il Giudice stesso, valutati tutti i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., debba determinarla in concreto, ossia, par di capire, gli artt. “133” andrebbero letti coordinatamente, come fossero un'unica norma, per cui rileverebbe anche l'elemento economico, il quale, ad ogni buon conto viene ritenuto ravvisabile indirettamente anche nello stesso art. 133 c.p., laddove parla delle condizioni di vita individuale e familiare del soggetto, ossia di una valutazione onnicomprensiva dello status del prevenuto.

Cosicché, la Corte conclude per la non sostituibilità della pena detentiva con la pena pecuniaria allorché già ab origine risultino in atti elementi certi (ad esempio, nel caso di soggetto irreperibile, senza fissa dimora, nullafacente, dichiarata impossidenza dell'imputato che, per tale motivo, sia stato ammesso al gratuito patrocinio, etc.) sui quali è possibile, fin da subito, fondare un giudizio negativo circa la solvibilità del soggetto e, specularmente, una prognosi negativa circa la possibilità dello stesso di assolvere il suo debito.

Osservazioni

La questione nasce dalle carenze del Legislatore, che avrebbe potuto evitare ogni ambiguità specificando nell'art. 58, comma 2, che intendeva riferirsi alle prescrizioni della semidetenzione e della libertà controllata ovvero utilizzare un termine più pacificamente onnicomprensivo, laddove avesse voluto riferirsi anche alla pena sostitutiva pecuniaria.

In effetti il dubbio alla base del contrasto giurisprudenziale, evidentemente ancora serpeggiante nella giurisdizione di merito, è legittimo proprio perché il lLgislatore utilizza il termine prescrizioni in modo che può apparire ambiguo o ambivalente, giacché nell'art. 58, comma 2, può riferirsi genericamente al contenuto proprio delle varie sanzioni sostitutive (denaro per quella pecuniaria e le varie regole e limiti di condotta per la semidetenzione e la libertà controllata), mentre poi utilizza la stessa espressione riferendola alle modalità di esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, di competenza del magistrato di sorveglianza, ossia gli aspetti di specifica regolamentazione della condotta del condannato (art. 62 e ss.), i quali sono qualcosa di ulteriore rispetto alle previsioni generali ed astratte contenute negli artt. 55 e 56.

Ne deriva la possibilità di sostenere che la parola prescrizioni sia semplicemente usata nell'art. 58 come sinonimo di contenuto della sanzione e sia dunque estensibile a tutte indistintamente, mentre, poi, le vere e proprie prescrizioni, riferibili solo alla semidetenzione ed alla libertà controllata, siano quelle denominate modalità di esecuzione negli artt. 62 e ss., benché sia forse ancore più plausibile pensare che con l'espressione prescrizioni si intendano entrambe le cose in un rapporto di genus a species e come tali confinate nell'esclusivo ambito della disciplina della semidetenzione e dalla libertà controllata.

Comunque sia, a parere di chi scrive, le problematiche del tipo di quella emersa nella specifica vicenda giudiziaria in commento, possono essere risolte utilizzando saggiamente i criteri generali di opzione e cernita della sanzioni sostitutive, i quali non sono confinati dall'art. 58, comma1, nel solo art. 133 c.p. ma rinviano anche al principio rieducativo.

Ne consegue che quando il giudice ritenga di poter sostituire la pena in base ai criteri dettati dall'art. 133 c.p., dovrà poi scegliere quella più acconcia a favorire il reinserimento sociale del condannato, ossia quella che, nella sua effettiva e concreta dinamica afflittiva, meglio potrà determinarne la resipiscenza.

È allora chiaro che mai dovrebbe optare per una sanzione sostitutiva che, con ogni probabilità, sarà totalmente ineffettuale, perché privo di effetti sarà anche l'imput rieducativo, anzi potrebbe ben trasformasi in un imput di segno contrario; così come è di per sé assai dubitabile che possa avere un forte impulso rieducativo, l'infliggere, nel contesto di un reato economico, una sanzione pecuniaria inferiore a quello che fu il profitto del reato, come potrebbe accadere, in sede di rinvio, nella vicenda giudiziaria qui considerata.

Di contro, in casi come questo, potrà essere proprio l'esigenza di risocializzazione a sconsigliare, se non impedire, al giudice di sostituire la pena detentiva breve con la sanzione pecuniaria, quando le condizioni economiche del reo, per abbondanza o aporia di mezzi, configurino la cosa come disfunzionale alla sua emenda e risocializzazione.

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