Giudizio abbreviato e rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale
18 Maggio 2017
Massima
È affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio, di cui all'art. 533, comma 1, c.p.p., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni. Il caso
Un imputato per usura veniva assolto dal tribunale all'esito di un giudizio abbreviato c.d. secco ma condannato dalla Corte d'appello in seguito alla rivalutazione delle prove dichiarative presenti nel fascicolo del P.M.: in primo grado, il giudice non era riuscito a determinare la reale entità dell'interesse praticato dall'imputato, poiché la consulenza tecnico-contabile aveva evidenziato « difficoltà nell'accertamento dei fatti, derivante dall'assenza di riferimenti precisi relativi sia al capitale erogato o promesso sia alla riconducibilità di tutte le operazioni all'imputato »; le deposizioni della persona offesa, inoltre, erano « vaghe o poco utilizzabili », poiché indicavano troppo imprecisamente l'interesse praticato, contenendolo « all'interno di una forbice ricompresa tra il 10 e il 20 per cento rispetto al capitale ». Impugnato il proscioglimento dal P.M., la Corte d'appello si convinceva – anche alla luce di un supplemento d'indagine – che le deposizioni della persona offesa e la consulenza tecnico-contabile fossero invece sufficientemente precise e condannava l'imputato alla pena di legge. La questione
Le Sezioni unite sono state adìte per stabilire se i princìpi enunciati dalla precedente Sezioni unite Dasgupta (Cass. pen., Sez. unite, 28 aprile 2016, n. 27620, v. nota di CAPONE) valgano anche nell'ipotesi di giudizio abbreviato non condizionato: ove il P.M. impugni il proscioglimento in primo grado per motivi inerenti alla valutazione delle prove dichiarative il giudice d'appello è obbligato a risentire i testimoni decisivi prima di poter ribaltare la decisione e condannare l'imputato? Le soluzioni giuridiche
Nonostante le Sezioni unite Dasgupta – in un obiter dictum – avessero esplicitamente riconosciuto che, anche in caso di rito abbreviato, l'appello del P.M. avverso il proscioglimento obbliga il giudice a rinnovare i testimoni decisivi (« essendo irrilevante che gli apporti dichiarativi siano stati valutati in primo grado sulla base dei soli atti di indagine ovvero a seguito di integrazione probatoria a norma dell'art. 438, comma 5, o dell'art. 441, comma 5, c.p.p. »), la giurisprudenza di legittimità non si era del tutto allineata: prima e dopo la sentenza Dasgupta restava infatti maggioritaria l'idea per cui l'obbligo di rinnovazione derivato dall'interpretazione dell'art. 603 c.p.p. in conformità alla giurisprudenza europea nel caso Dan c. Moldavia dovesse operare solo nei casi in cui un'acquisizione orale si fosse già svolta in primo grado (in virtù di una richiesta condizionata, art. 438, comma 5, o di un intervento officioso, art. 441, comma 5, c.p.p.). Salva la possibilità di integrare d'ufficio il compendio probatorio (v. Cass. pen., Sez. unite, 13 dicembre 1995, n. 930, Clarke), quindi, la rinnovazione veniva puntualmente esclusa in tutti i casi di abbreviato non condizionato: scegliendo il rito alternativo e rinunciando del tutto a oralità e immediatezza, l'imputato fa in modo che l'accertamento processuale si svolga secondo un modulo meno garantito anche in appello (v. Cass. pen., Sez. II, 30 luglio 2014, n. 33690; Cass. pen., Sez. II, 23 luglio 2014, n. 32655; Cass. pen., Sez. II, 30 luglio 2014, n. 33690; Cass. pen., Sez. II, 29 settembre 2014, n. 40254; Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2014, n. 45456; Cass. pen., Sez. VI, 3 aprile 2015, n. 14038; Cass. pen., Sez. I, 25 giugno 2015, n. 26860; Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 2015, n. 11658; Cass. pen., Sez. III, 24 settembre 2015, n. 38786; Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2015, n. 49165; Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2016, n. 43242). A questa tesi si opponevano poche decisioni difformi, per le quali la rinnovazione doveva invece ritenersi obbligatoria sempre e cioè « ogni volta che la deposizione della quale viene rovesciato il giudizio di attendibilità assume un ruolo primario nel compendio probatorio » (Cass. pen., Sez. fer., 23 dicembre 2014, n. 53562; Cass. pen., Sez. V, 17 giugno 2015, n. 25475; anticipate, quanto ad alcuni presupposti teorici, da Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2012, n. 5854 e Cass. Sez. VI, 11 febbraio 2014, n. 8654; sul punto cfr. V. AIUTI). Le Sezioni unite Patalano hanno confermato la soluzione adottata dalla sentenza Dasgupta, aderendo alla corrente minoritaria e limitandosi a poche precisazioni argomentative; a) la sentenza d'appello che ribalta la decisione di primo grado deve sempre confutarla integralmente, non lasciando « aperti residui ragionevoli dubbi sull'affermazione della colpevolezza »; b) quando la sentenza di primo grado è di proscioglimento la sua integrale confutazione « non può fare a meno dell'oralità nella riassunzione delle prove rivelatesi decisive […] »; c) la motivazione risulterebbe altrimenti affetta dal vizio di aporia logica derivante dal fatto che il ribaltamento della pronuncia assolutoria, operato sulla scorta di una valutazione cartolare del materiale probatorio a disposizione del primo giudice, contiene in sé l'implicito dubbio ragionevole determinato dall'avvenuta adozione di decisioni contrastanti». Anche se la sentenza di proscioglimento è stata resa al termine di un giudizio abbreviato non condizionato, quindi, « risulta evidentemente recessiva […] la circostanza che sia stata l'opzione dell'imputato […] a consentire il giudizio a suo carico allo stato degli atti, dovendo invece prevalere l'esigenza di riassumere le prove decisive attraverso il metodo epistemologicamente più appagante ». Osservazioni
Tra le ultime sentenze che avevano criticato la soluzione propugnata dalle sentenza Dasgupta e poi seguita dalla sentenza Patalano, una in particolare ne aveva messo in luce alcuni aspetti critici, relativi alla ratio decidendi: la sentenza Dasgupta motivava infatti la scelta di ripristinare l'oralità anche nell'appello a seguito di abbreviato non condizionato in quanto in virtù del fatto che nell'ordinamento italiano sarebbe possibile vincere la presunzione di non colpevolezza – rafforzata dall'intervenuto proscioglimento in primo grado – solo tramite il contraddittorio orale e immediato (v. BELLUTA - LUPÀRIA); la Cassazione replicava però che se « soltanto tramite una diretta percezione della prova dichiarativa, con correlato esercizio del diritto al contraddittorio da parte dell'imputato, il giudice può portare la sua cognizione ‘al di là di ogni ragionevole dubbio', dato che – ovviamente – quest'ultimo principio funge da ipostasi nel codice di rito della presunzione di non colpevolezza […] la conseguenza sarebbe porre in discussione la legittimità costituzionale dei cosiddetti riti alternativi, che da ciò prescindono, anzi ciò invertono, cartolarizzando, per così dire, l'accertamento » (Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2016, n. 43242, cit.). Con una lettura radicale del princìpio d'immediatezza, ben oltre quello che gli standards europei richiederebbero in un caso di “rinuncia” al contraddittorio com'è il rito abbreviato (v. S. TESORIERO), le Sezioni unite hanno però imposto la rinnovazione, ogni volta che « il P.M. impugna il proscioglimento in primo grado chiedendo la rivalutazione delle prove dichiarative ». Obbligo di motivazione e dovere di rinnovazione sono stati così ricompresi sotto un unico denominatore comune: il criterio generalissimo dell'al di là di ogni ragionevole dubbio. Benché il proscioglimento nel primo grado abbreviato si basi su una valutazione solo cartolare delle prove dichiarative, non sarebbe oltre ogni ragionevole dubbio la condanna in appello fondata su una diversa valutazione – ma sempre cartolare – delle stesse prove dichiarative: non è oltre ogni ragionevole dubbio la ricostruzione, che pretende di rimuovere le insufficienze e le contraddittorietà che in primo grado hanno determinato l'assoluzione senza riacquisire le fonti con un metodo più affidabile; e non è “rafforzata” la motivazione che si limiti a confutare logicamente il proscioglimento, perché la presenza di due decisioni difformi sulla stessa vicenda (proscioglimento prima, condanna poi) lascia in piedi proprio il ragionevole dubbio che la ricostruzione accusatoria sia corretta. La dottrina ha accolto questa soluzione con diversi gradi di scetticismo, già dopo il deposito delle Sezioni unite Dasgupta. Da un lato è stato sottolineato che, pur rinunciando al contraddittorio probatorio, l'imputato non abiura all'oralità in tutti i gradi di giudizio; l'appello, destinato in questi casi ad accertare da capo la vicenda storica, dovrebbe quindi strutturarsi come un “nuovo giudizio”, essendo l'oralità « tratto qualificante della giurisdizione intesa come sistema strumentale alla decisione, il quale si basa oggi sul superamento di ogni dubbio ragionevole» (BELLUTA –LUPÀRIA cit., 9). Nello stesso senso è stato infatti stigmatizzato il percorso cognitivo tipico dell'abbreviato non condizionato cui segue l'impugnazione del P.M., caratterizzato dal fatto che due giudici diversi esaminano « esattamente la medesima dichiarazione cristallizzata nel verbale; [per cui] una differente valutazione può in effetti suscitare maggiori perplessità » (CAPONE, cit., 60). Dall'altro lato, è stato però rilevato che la ratio del tradizionale insegnamento della Corte europea mira a ripristinare l'immediatezza nella valutazione delle prove, che nel caso dell'abbreviato non condizionato è stata oggetto di rinuncia, e impedirebbe quindi ai princìpi europei di applicarsi ceterim paribus (TESORIERO, cit., 96 – 102). In questo stesso senso, anche gli autori più in linea con la soluzione minoritaria hanno rilevato come anche a voler considerare viziata la condanna non preceduta da rinnovazione « non è sempre detto che l'overturning in appello si presti alla critica in punto di motivazione: il costrutto logico-motivazionale della condanna potrebbe non rivelare mancanze, contraddittorietà o illogicità. Semmai, la mancanza riguarda il momento di riassunzione delle prove: sarebbe più una carenza di contraddittorio che un difetto di motivazione » (v. BELLUTA –LUPÀRIA). La sentenza, inserendosi nello storico dibattito sull'applicabilità dell'art. 603 c.p.p. nell'appello che segue al rito abbreviato, ne smarrisce quindi gli argomenti classici (sui quali v. SPANGHER), arrivando però a ridefinire la nozione di assoluta necessità (art. 603, comma 3, c.p.p.) con un criterio innovativo: sollevato un ragionevole dubbio sulla valutazione delle prove dichiarative effettuata in primo grado, a prescindere dal metodo acquisitivo lì prescelto, l'audizione delle fonti è sempre « assolutamente necessaria ». La giurisprudenza tradizionale, dopo le Sez. unite Clarke, riconosceva pacificamente la sussistenza del potere del giudice d'appello di rinnovare il dibattimento ex officio anche nell'impugnazione che segue al rito abbreviato. Quella contemporanea ha semplicemente specificato – così concedendo indirettamente anche alle parti un diritto, condizionato, di ottenere la riapertura del dibattimento – lun caso in cui quel potere si tramuta in un dovere: « se il pubblico ministero propone appello verso una sentenza di proscioglimento per motivi relativi alla valutazione della prova dichiarativa » il giudice può infatti condannare l'imputato in appello solo dopo aver risentito oralmente il dichiarante. Gli aspetti maggiormente critici della decisione sono due: a) il pubblico ministero che lamenta una diversa valutazione delle prove dichiarative si vedrà sempre rinnovare il dibattimento, l'imputato che contesta la sentenza di condanna in primo grado otterrà la rinnovazione solo se il giudice « ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti » (art. 603, comma 1, c.p.p.); b) una sentenza d'appello che confuta la decisione di primo grado senza procedere alla rinnovazione delle prove dichiarative utilizzate è davvero sempre irrimediabilmente viziata? Se il giudice d'appello, pur valutando attendibili le informazioni riferite da un verbale al pari di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, si limita a collocarle in un diverso quadro ricostruttivo che falsifica l'assoluzione e giustifica la condanna, la motivazione può considerarsi viziata? In casi del genere, che coinvolgono più che altro l'abilità logica del giudice nel ricomporre gli elementi probatori a sua disposizione, la dottrina ritiene che la rinnovazione non sia « assolutamente necessaria » (v. BRONZO; CAPONE, cit., 58 – 59). Guida all'approfondimento
AIUTI, L'art. 603 c.p.p. dopo Dan c. Moldavia: un casebook, in Giur. It., 2016, 1001; APRATI, Giudizio abbreviato ed “esercizio” del contraddittorio nella formazione della prova, in Cass. pen., 2013, 569; BELLUTA, Dinamiche probatorie ex officio e imparzialità del giudice, Torino, 2006; BELLUTA – LUPÀRIA, Alla ricerca del vero volto della sentenza Dasgupta, in dir. pen. cont., 9 gennaio 2017; BELLUTA –LUPÀRIA, Ragionevole dubbio e prima condanna in appello: solo la rinnovazione ci salverà?, in dir. pen. cont., 8 maggio 2017; BRONZO, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Arch. pen., 2014, 1 ss.; CAPONE, Prova in appello: un difficile bilanciamento, in Dir. pen. e proc., 2016, 52; CHINNICI, Contraddittorio e giudizio di appello. Ortodossia europea, resistenze interne e graduali aperture in attesa del “sigillo” del legislatore, in Le erosioni silenziose del contraddittorio, a cura di D. Negri – R. Orlandi, Torino, 2017, 189; CONTI, Giudizio abbreviato e integrazione probatoria, in Cass. pen., 1992, 904; ILLUMINATI, Il giudizio senza oralità, in Atti del convegno “Verso la riscoperta di un modello processuale”, Giuffrè, 2003, p. 45 ss.; SPANGHER, Le acquisizioni probatorie nel giudizio abbreviato in grado di appello, in Dir. pen. e proc., 1996, p. 739; TESORIERO, Luci e ombre della rinnovazione dell'istruttoria in appello per il presunto innocente, in Giust. pen., 2017, III, 79; ZACCHÉ, Il giudizio abbreviato, Giuffrè, 2004. |