Si configura il reato di maltrattamenti in famiglia anche tra ex conviventi con figli
19 Settembre 2017
Massima
La cessazione della convivenza more uxorio non esclude la configurabilità di condotte di maltrattamento tra i componenti della coppia ex art. 572 c.p. quando il rapporto personale di fatto sia stato il risultato di un progetto di vita fondato sulla reciproca solidarietà ed assistenza, la cui principale ricaduta non può che essere il derivato rapporto di filiazione e, pertanto, la permanenza del complesso di obblighi verso il figlio, per il cui adempimento la coppia, anche se non più convivente, è chiamata a relazionarsi sulla base del permanere dei doveri di collaborazione e di reciproco rispetto.
Fonte: ilFamiliarista.it Il caso
Tizio pone in essere, durante l'arco temporale di un anno, atti vessatori reiterati, consistenti in parole ingiuriose e minacciose, nonché in atteggiamenti violenti e prevaricatori, nei confronti di Caia, madre della comune figlia minore. Tali comportamenti, iniziati durante la convivenza more uxorio tra Tizio e Caia, proseguono anche dopo la cessazione della stessa, quando Caia rimane a vivere nella casa familiare con la figlia minore a lei affidata. Il tribunale condanna Tizio, ritenendolo responsabile per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di maltrattamenti in famiglia, lesioni aggravate e minaccia ai danni di Caia; la decisione viene sostanzialmente confermata in grado d'appello. Avverso tale sentenza Tizio propone ricorso per Cassazione. La questione
La questione in esame è la seguente: il reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato dalle condotte vessatorie poste in essere all'interno di una coppia di fatto, con figli, dopo la cessazione della convivenza? Le soluzioni giuridiche
Appare necessario premettere che il delitto di cui all'art. 572 c.p. - Maltrattamenti contro familiari e conviventi - è stato oggetto di alcune significative modifiche ad opera della legge 172/2012. In particolare, è stato ampliato il novero dei soggetti in danno dei quali il delitto può essere commesso, garantendo tutela penale non solo ai componenti della famiglia nascente dal matrimonio, ma anche alle persone “comunque conviventi”. Ratificando un orientamento giurisprudenziale consolidato, il legislatore della novella ha recepito il valore sociale della convivenza come modello idoneo a costituire una di quelle formazioni sociali che l'ordinamento costituzionale si impegna a riconoscere e garantire (art. 2 Cost.) e ha pertanto esteso l'ambito di operatività dell'art. 572 c.p. alle unioni di fatto fondate sulla convivenza. In giurisprudenza appare consolidato l'orientamento secondo il quale, nel caso di famiglia nascente dal matrimonio, la cessazione della convivenza o della coabitazione non preclude la configurabilità del reato; la fine della convivenza non determina, infatti, il venir meno tout court dei vincoli e degli obblighi reciproci di rispetto, di assistenza morale e materiale e di collaborazione, che sono espressione dei consolidati legami sorti dal rapporto coniugale. Sulla base di analoghe argomentazioni si riconosce che il reato di maltrattamenti è configurabile anche in caso di separazione, sia essa legale o di fatto; tale stato, infatti, pur dispensando i coniugi dagli obblighi di convivenza e fedeltà, lascia tuttavia integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione, destinati a venir meno solo con la pronuncia di divorzio, che segna il definitivo scioglimento del vincolo matrimoniale. Viceversa, nel caso di unioni di fatto o more uxorio, è proprio la convivenza a manifestare il rapporto di solidarietà e di protezione che lega due o più persone in un consorzio familiare; ne discende che la cessazione della convivenza determina l'estinzione del rapporto familiare di fatto che costituisce il presupposto per l'applicazione del reato. Secondo una tesi giurisprudenziale, cui si conforma la sentenza in commento, tuttavia, tale assunto subisce un'eccezione allorquando sussistano elementi, ulteriori e diversi rispetto alla convivenza, che rivelino la prosecuzione del rapporto di reciproca solidarietà ed assistenza, a prescindere dalla cessazione della coabitazione. Tra questi elementi, il principale, è ovviamente la presenza di figli, soprattutto se minori. La pronuncia in esame fa dunque propria una nozione estesa di famiglia, nell'assunta centralità della tutela del figlio minore da parte degli ex conviventi. La permanenza del complesso di obblighi verso il figlio, per il cui adempimento la coppia non più convivente è comunque chiamata a relazionarsi, segnerebbe, infatti, il permanere dei doveri di collaborazione e di reciproco rispetto, che integrerebbero quella stabilità di legame e, dunque, quel consorzio familiare, presupposto per l'applicazione del reato. Per contro, secondo altra impostazione giurisprudenziale (Cass. pen.,sez. VI, 19 maggio 2016, n. 30704), a prescindere dalla presenza di figli, l'allontanamento dal domicilio comune con il quale si palesa l'intenzione di interrompere definitivamente il rapporto di convivenza, determinerebbe il venir meno del sodalizio familiare e affettivo tra gli ex conviventi e, conseguentemente, precluderebbe l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 572 c.p.. I comportamenti vessatori posti in essere dall'ex convivente esulerebbero dunque dalla fattispecie dei maltrattamenti, per la sopravvenuta cessazione, con il venir meno della coabitazione, del vincolo familiare o comunque della sua attualità e continuità temporale; essi potrebbero assumere rilievo, in presenza di condotte che integrino gli elementi tipici della relativa fattispecie, ai sensi dell'art. 612-bis c.p., quali atti persecutori, ovvero ai sensi di altre fattispecie penali (percosse, lesioni, minacce, a seconda dei casi). Secondo tale tesi le due figure delittuose, maltrattamenti (art. 572 c.p.) e atti persecutori (nell'ipotesi aggravata di cui al comma 2 dell'art. 612-bis c.p.) potrebbero dunque concorrere, allorquando le condotte vessatorie abbiano inizio in costanza di convivenza, ma si protraggano nel tempo oltre il termine della stessa. Tale conclusione si basa sull'assunto che le due figure di reato appaiono strutturalmente intese a realizzare la protezione di beni giuridici differenti: la salvaguardia del legame giuridico intercorrente fra persone appartenenti alla medesima famiglia, o sodalizio assimilabile, con conseguente tutela dell'integrità psicofisica del soggetto passivo del reato, nel reato di maltrattamenti; la libertà morale della persona offesa, nel reato di atti persecutori. Quest'ultima figura delittuosa, ancorché con pena più mite, sarebbe pertanto destinata a sanzionare, sussistendone i presupposti, le condotte che esulano dal reato di maltrattamenti in ragione della sopravvenuta cessazione del legame familiare e affettivo; ciò si verificherebbe, nel caso di famiglia fondata sul matrimonio, in caso di divorzio, mentre, per la famiglia di fatto, nel caso di interruzione definitiva del rapporto di convivenza che segni la fine della relazione affettiva. Osservazioni
La sentenza in commento accoglie una nozione estesa di “famiglia” quale presupposto per l'applicazione del reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p.. La tutela penale sarebbe infatti garantita, in primo luogo, alla famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio che comprenderebbe anche i coniugi separati, legalmente o di fatto, sino alla pronuncia di divorzio; rientrerebbe, poi, nel concetto di famiglia, anche la famiglia di fatto o convivenza more uxorio; infine, ed in ciò si ravvisa il carattere innovativo della pronuncia, rileverebbero, ai fini dell'applicazione della norma, anche le situazioni in cui, per la presenza di figli minori, la coppia, sebbene abbia cessato la convivenza, sia comunque chiamata a relazionarsi nell'interesse dei figli; la presenza di un figlio darebbe dunque vita ad una relazione stabile tra gli ex conviventi tra i quali permarrebbero doveri di collaborazione e di reciproco rispetto, la cui violazione sarebbe sanzionata ai sensi dell'art. 572 c.p.. Il delitto di cui all'art. 572 c.p., antecedentemente alla novella del 2012, era rubricato «Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli» e individuava come possibili soggetti passivi solo persone della famiglia, o minori degli anni quattordici o persone sottoposte all'autorità dell'agente o allo stesso affidate per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. Sotto la vigenza della precedente formulazione della norma si era consolidato un orientamento dottrinale e giurisprudenziale che ammetteva la configurabilità del reato anche fra i conviventi more uxorio o componenti della famiglia di fatto. Tale interpretazione, per quanto coerente con l'evoluzione dei costumi ed i principi ispiratori dell'ordinamento, risultava censurabile, risolvendosi in un'estensione in malam partem della disposizione incriminatrice. Il problema è stato superato dall'intervento del legislatore del 2012 che, come ricordato, ha ampliato la tutela penale, individuando la persona offesa dal reato di maltrattamenti non solo nel componente della famiglia, ma anche nel convivente di fatto. Il legislatore della novella ha dunque espressamente valorizzato la convivenza ai fini della sussistenza del reato. Un'applicazione della norma incriminatrice conforme al principio di legalità imporrebbe, dunque, allorquando non vi sia un'unione fondata sul matrimonio, la dimostrazione della sussistenza di un rapporto di convivenza della coppia. D'altronde è proprio la convivenza, per stessa ammissione della Corte, a manifestare quella relazione di solidarietà e protezione che lega due o più persone in un consorzio familiare di fatto. La pronuncia in esame, viceversa, attribuisce rilievo primario alla filiazione per dare riconoscimento alla famiglia di fatto, pur in mancanza di convivenza. Il principio, tuttavia, è espressamente riferito solo alla posizione degli ex conviventi, mentre non appare chiaro se, nelle intenzioni della Corte, possa essere esteso ai coniugi divorziati con figli. Analogamente a quanto argomentato con riferimento agli ex conviventi, anche gli ex coniugi sono infatti tenuti a relazionarsi nell'interesse dei figli comuni, e ciò, seguendo il ragionamento della sentenza in commento, dovrebbe dar vita ad obblighi di solidarietà ed assistenza reciproci tra gli stessi, la cui violazione dovrebbe essere parimenti sanzionata i sensi dell'art. 572 c.p.. Diversamente si genererebbe un'ingiustificata disparitàdi trattamento che garantirebbe all'ex convivente una tutela penale maggiore rispetto a quella riconosciuta al coniuge divorziato. Appare opportuno, inoltre, rilevare che fondando sulla presenza dei figli la persistenza del legame tra gli ex conviventi, viene posta in secondo piano la volontà espressa dai membri della coppia, o da uno di essi, di porre termine alla relazione sentimentale attraverso la definitiva interruzione della coabitazione. Nulla quaestio, infatti, rispetto ai diritti e ai doveri che permangono inalterati in capo a ciascun genitore nei confronti dei figli, anche a seguito della fine della relazione e, con essa, del venir meno della coabitazione della coppia. Appare discutibile, viceversa, far discendere dalla filiazione, in mancanza di convivenza ed in assenza di espressa previsione normativa, doveri giuridicamente tutelati di solidarietà, di assistenza e protezione che vincolino reciprocamente gli ex conviventi, anche a prescindere dalla loro volontà; ciò a differenza di quanto avviene in caso di matrimonio, per il quale, durante la separazione legale, e sino al divorzio, si prevede la permanenza di obblighi giuridici, anche se attenuati, di assistenza materiale e morale. Giova da ultimo rilevare che la tesi la quale nega l'applicabilità della fattispecie di maltrattamenti all'interno di una coppia di fatto, seppur con figli, quando si verifichi la cessazione della convivenza, non priva la vittima dei comportamenti vessatori di tutela penale; gli atti illegittimi posti in essere dall'ex convivente potrebbero essere infatti ricondotti, sussistendone i presupposti, sotto la fattispecie di cui al comma 2 art. 612-bis c.p. che punisce, peraltro in forma aggravata, gli atti persecutori posti in essere dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Guida all'approfondimento
M. Miedico, sub art. 572 c.p., in Codice Penale Commentato, IV ed., Milano, 2015; A. Valsecchi, sub art. 612-bis c.p., in Codice Penale Commentato, IV ed., Milano, 2015. |