Niente sospensione con messa alla prova nei procedimenti con dibattimento aperto prima della legge 67/2014
22 Dicembre 2015
Massima
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. nella parte in cui preclude l'ammissione all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova nei procedimenti pendenti in primo grado in relazione ai quali la dichiarazione di apertura del dibattimento è intervenuta prima dell'entrata in vigore della legge 67/2014 Il caso
Con ordinanza del 28 ottobre 2014, il Tribunale ordinario di Torino, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2 c.p.p. nella parte in cui, in assenza di una disciplina transitoria, analoga a quella di cui all'art. 15-bis, comma 1 della legge 11 agosto 2014, n. 118, preclude l'ammissione all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati di processi pendenti in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell'entrata in vigore della legge 67/2014. L'imputato era stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 483 c.p. ed aveva richiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova alla prima udienza successiva all'entrata in vigore della legge 67/2014, benché all'udienza precedente fosse stato dichiarato aperto il dibattimento e fossero state dichiarate ammesse le prove richieste dalle parti. In particolare, in considerazione degli aspetti ed effetti sostanziali della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, il Giudice rimettente ha rilevato nella preclusione di cui all'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. – che impedisce la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato ove sia già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento – la violazione degli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1, Cost. (quest'ultimo in relazione all'art. 7 Cedu) ed affermato la necessità di adottare una soluzione non rispondente al principio tempus regit actum (che è norma processuale), ma che consenta l'efficacia retroattiva della lex mitior superveniens (secondo il dettato dell'art. 2 c.p.). La questione
La questione in esame è la seguente: se sia costituzionalmente legittima la previsione di una preclusione alla possibilità di sospendere il procedimento per richiesta di messa alla prova per i procedimenti pendenti in primo grado ed in relazione ai quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento. Le soluzioni giuridiche
Applicando l'istituto della restituzione nel termine di cui all'art. 175 c.p.p., una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto ammissibile la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nei procedimenti nei quali era già stato dichiarato aperto il dibattimento prima dell'entrata in vigore della legge 67 del 2014, purché detta richiesta fosse stata avanzata alla prima udienza successiva all'entrata in vigore di detta legge. Ad avviso del Giudice remittente, detta soluzione non è parsa condivisibile, risolvendosi nell'introduzione in via giurisprudenziale di un regime transitorio in verità non previsto e verosimilmente non voluto dal legislatore. Detto Giudice ha ritenuto tuttavia ammissibile la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova anche nei procedimenti nei quali sia stato dichiarato aperto il dibattimento per evitare un differente trattamento tra persone che all'entrata in vigore della nuova legge si trovino in fasi diverse del processo di primo grado, ma, di fatto, nella medesima condizione sostanziale. Oltre a violare il dettato di cui all'art. 3 Cost., secondo il Giudice remittente la preclusione in parola si porrebbe in contrasto anche con l'art. 117, comma 1, Cost. attraverso il parametro interposto di cui all'art. 7 Cedu, derogando al principio della retroattività della lex mitior per i procedimenti con dibattimento già aperto al momento dell'entrata in vigore della nuova legge. Ancora, la previsione legislativa violerebbe anche l'art. 24 Cost., determinando una lesione del pieno esercizio del diritto di difesa, tra cui rientra la facoltà di richiedere l'accesso ai riti alternativi, e violerebbe in definitiva l'art. 111 Cost., pregiudicando il diritto dei soggetti imputati in procedimenti con dibattimento già aperto ad un giusto processo (inteso come diritto ad una scelta del rito pienamente consapevole, assunta in base alla previsione ed alla ponderazione di rischi connessi alla possibilità di previamente valutare le opzioni offerte e ad una ordinata, corretta e fisiologica successione di atti processuali). Sul tema della legittimità costituzionale di una preclusione all'accesso al rito alternativo in ipotesi di mancanza di un regime transitorio che consenta il ricorso al rito di nuovo conio nei procedimenti con dibattimento già aperto, la Corte costituzionale si è già pronunciata in ordine al regime transitorio del giudizio abbreviato, regolato dall'art. 247 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. In detta occasione (sentenza n. 277 del 1990) la Corte ha avuto modo di evidenziare come, stante la finalità del giudizio abbreviato di consentire la sollecita definizione del giudizio escludendo la fase dibattimentale, deve considerarsi del tutto razionale (e pertanto legittimo) che con riguardo ai procedimenti in corso a detto (nuovo) istituto possa accedersi solo nelle ipotesi nelle quali lo scopo deflattivo possa essere concretamente perseguito, vale a dire quando non sia stato ancora dichiarato aperto il dibattimento. La Corte ha altresì ritenuto non pertinente il confronto tra imputati per i quali il dibattimento sia stato già aperto e imputati che non abbiano ancora fatto ingresso nella fase dibattimentale, trovandosi detti imputati in «situazioni oggettivamente diverse». Ancora, la Corte costituzionale ha in più occasioni enunciato che il legislatore gode di una assai ampia discrezionalità nel determinare le preclusioni all'accesso dei nuovi istituti processuali e che non sono suscettibili di qualsivoglia censura di illegittimità costituzionale le scelte che non appaiano manifestamente irragionevoli (ordinanze n. 455 del 2006 e n. 91 del 2005). Se dunque l'apertura del dibattimento «rende irrazionale l'applicabilità del giudizio abbreviato», allo stesso modo, rileva la Consulta nella pronuncia in commento, una volta aperto il dibattimento non potrà più procedersi alla richiesta di sospensione del procedimento per accedere alla messa alla prova, istituto che, al pari del rito abbreviato, è alternativo al giudizio e ha effetto deflattivo, non potendosi concedere per mezzo di una interpretazione estensiva ciò che il legislatore non ha espressamente consentito. La Corte rileva altresì che la preclusione di cui trattasi dipende unicamente dal diverso stato dei processi che la subiscono e che sul piano processuale è del tutto razionale e giustificata la scelta del legislatore di non distinguere tra procedimenti già avviati e procedimenti nuovi; situazioni che si trovano in una posizione oggettivamente differente (per esempio procedimenti nei quali vi è già stata costituzione di parte civile e procedimenti che si apprestano ad iniziare) sono trattate in differente modo, con la conseguenza che deve ritenersi esclusa qualsiasi violazione dell'art. 3 Cost. Quanto alla asserita violazione dell'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 7 Cedu, la Consulta evidenzia come la preclusione oggetto di esame consegue non tanto alla mancanza di retroattività della norma penale, ma, piuttosto, al normale regime temporale della norma processuale, rispetto alla quale l'art. 7 Cedu non ha alcun rilievo. Precisa sul punto la Corte che il principio di retroattività consente ad una norma sopravvenuta di operare anche per regolare rapporti sorti prima della sua entrata in vigore, effetto che non può escludersi nel caso di specie, dato che la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere richiesta anche in relazione a reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge 67/2014. Diverso è invece il rapporto fra la normativa sopravvenuta e il processo nel quale la stessa deve trovare applicazione. Al riguardo, non può che valere il principio tempus regit actum, che regola l'operatività nel tempo delle norme processuali, quale è l'art. 464-bis c.p.p., oggetto dell'incidente di costituzionalità. Ad avviso della Corte, il legislatore ben potrebbe derogare a detto principio introducendo una apposita disciplina transitoria, la cui mancanza tuttavia non è censurabile in forza dell'art. 7 della Cedu. Del resto, la Corte di Strasburgo ha sempre limitato il principio della retroattività della lex mitior alle sole disposizioni di carattere sostanziale, ovvero quelle che definiscono i reati e le pene (v. Corte Edu, sent., 27 aprile 2010, Morabito c. Italia; Corte Edu, sent., 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia). Gli argomenti sopra illustrati consentono alla Corte di respingere anche le censure sollevate con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., ritenendo errato il presupposto assunto dal Giudice remittente secondo il quale nei processi in corso al momento dell'entrata in vigore della norma impugnata dovrebbe riconoscersi all'imputato, come espressione del diritto di difesa e del diritto a un giusto processo, la facoltà di scegliere il nuovo procedimento speciale, del quale, invece, come si è detto, è stata legittimamente esclusa l'applicabilità. Osservazioni
Nell'intento di ridisegnare e rimodulare le risposte sanzionatorie, specialmente dinanzi a reati di minore gravità, dopo oltre trent'anni di sperimentazione della messa alla prova in campo minorile, dove significativi sono stati gli effetti della probation, con la legge 67/2015 l'istituto della messa alla prova è stato introdotto anche nel procedimento a carico degli adulti. La messa alla prova per adulti è disciplinata dagli artt. 168-bis e ss. c.p. (che si occupano della disciplina sostanziale dell'istituto) e dagli artt. 464-bis e ss. c.p.p. (per quanto attiene agli aspetti processuali). È stato altresì introdotto il capo X-bis del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. L'art. 168-bis c.p. dispone che nei procedimenti per reati che siano puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché ove si proceda per i delitti di cui all'art. 550, comma 2, c.p.p., l'imputato può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. L'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede (art. 168-ter c.p.). Sul piano sostanziale, la messa alla prova deve dunque considerarsi causa estintiva del reato e, sul piano processuale, stante la finalità deflattiva del dibattimento, un rito alternativo. La norma impugnata ed oggetto di esame da parte della Consulta è l'art. 464-bis c.p.p., norma processuale che fissa i termini entro i quali (a pena di decadenza) l'imputato può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova; nei procedimenti con citazione diretta a giudizio, come quello oggetto del giudizio a quo, la richiesta in parola può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Per comprendere le ragioni che hanno portato la Consulta a dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. sollevate dal Tribunale di Torino occorre in primo luogo considerare che sul piano sostanziale vige il principio di retroattività della legge più favorevole, principio di rilevanza costituzionale e sovranazionale, mentre in ambito processuale vige il principio di cui al noto brocardo tempus regit actum. Il principio di retroattività della legge più favorevole impone che la lex mitior trovi applicazione anche per i reati commessi in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. Il fondamento della retroattività della legge favorevole riposa nel superiore principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Nel caso di specie, il principio di retroattività della lex mitior è rispettato dal fatto che la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere richiesta anche da soggetti imputati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge istitutiva dell'istituto della messa alla prova per adulti, anche ove l'azione penale sia già stata esercitata. Sul piano processuale, invece, la regola che ispira il sistema è quella per cui l'atto processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui esso viene compiuto, anche se successiva all'introduzione del giudizio. Il legislatore ha la facoltà di derogare a detto principio introducendo una apposita disciplina transitoria; detta retroattività è consentita, ma non imposta e finché il legislatore non agisce in maniera arbitraria, la decisione non è sindacabile dalla Corte costituzionale neppure sotto il profilo della compatibilità con la convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, veicolata nel giudizio di costituzionalità attraverso il parametro interposto dell'art. 117 Cost. La scelta che ha fatto il legislatore con la legge 67/2014 di introdurre quale termine ultimo per la richiesta di sospensione con messa alla prova l'apertura del dibattimento non è dunque contraria all'art. 7 Cedu perché, pur avendone in via astratta la possibilità, il legislatore non era tenuto ad introdurre una disciplina processuale retroattiva. |