Causalità della colpa: l'accertamento concreto delle regole cautelari violate

Vittorio Nizza
25 Gennaio 2017

La Corte nella pronuncia in oggetto è chiamata ad analizzare la problematica, tipica delle cause di responsabilità medica, relativa alla prova dalla causalità per i reati colposi. La pronuncia si caratterizza però, rispetto ad altre sentenze che affrontano la stessa tematica, per un'analisi estremamente rigorosa, quasi scolastica. Nella pronuncia in esame, si partiva dal presupposto, pacificamente emerso dalle risultanze probatorie dei due gradi di merito, che la causa ...
Massima

Ai fini dell'accertamento della responsabilità per fatto colposo è sempre necessario individuare la regola cautelare, preesistente alla condotta, che ne indica le corrette modalità di svolgimento, non potendo il giudice limitarsi a fare ricorso ai concetti di prudenza, perizia e diligenza senza indicare in concreto quale sia il comportamento doveroso che tali regole cautelari imponevano di adottare.

Il caso

La vicenda aveva ad oggetto un'ipotesi di responsabilità medica per omicidio colposo in capo al medico chirurgo che aveva eseguito un intervento chirurgico maxillo-facciale volto a correggere gli esiti di un pregresso intervento chirurgico di asportazione di una cisti mandibolare. Dagli esiti probatori era emerso che già durante l'esecuzione dell'intervento l'anestesista si fosse accorto di un problema all'occhio destro ed avesse ritenuto necessario applicare un'ulteriore dose di gel per la protezione della cornea. Al termine dell'intervento il medico anestesista aveva constatato lo stato di midriasi isotonica delle pupille del paziente, che era stato immediatamente trasferito in radiologia. A seguito dell'esecuzione di una Rmn, era stata individuata un'imponente falda ematica subdurale nell'emisfero destro. Il paziente, quindi, era stato sottoposto ad un nuovo intervento per svuotare la raccolta ematica, ma tale intervento, seppur tempestivo, era risultato inutile ed, infatti, il paziente decedeva qualche giorno dopo per arresto cardiaco.

Il procedimento in oggetto, vedeva pertanto imputato per omicidio colposo il medico chirurgo che aveva eseguito il primo intervento di chirurgia maxillo-facciale.

Secondo la ricostruzione effettuata dal tribunale di primo grado, la causa della morte sarebbe stata rinvenuta in una complicanza emorragica subdurale conseguente al primo intervento di chirurgia maxillo-facciale, dovuta ad un fatto traumatico per compressione o scalfitura di un vaso sub-durale causato da una manovra chirurgica deficitaria. A parere dei giudici, inoltre, il medico era stato negligente poiché non aveva effettuato prima dell'intervento una tac volta ad accertare lo spessore della teca cranica, sebbene tale accertamento non fosse espressamente previsto dai protocolli.

L'imputato veniva pertanto condannato in primo grado per il reato di omicidio colposo ed altresì alla rifusione dei danni patiti dalla parte civile.

La Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado, riformando unicamente il trattamento sanzionatorio. La Corte, confermava la responsabilità colposa nell'operato del medico per l'esecuzione imperita dell'intervento (sebbene non fosse stata ricostruita con certezza l'esatta dinamica e quindi a quale manovra ed a quale strumento utilizzato potesse essere imputabile la causa della rottura del vaso sub-durale) ma riteneva non rimproverabile allo stesso la mancata esecuzione della tac. I giudici di seconde cure, inoltre, riconoscevano un profilo di colpa per imprudenza e imperizia per non aver tenuto conto della comune massima di esperienza della scienza medica per cui lo spessore della teca cranica in soggetti più anziani è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani, così che l'eccessiva pressione usata sulla struttura parietale oculare aveva causato il trauma degenerativo del versamento traumatico.

Proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato.

La suprema Corte riconoscendo la prescrizione del reato annullava senza rinvio per ai fini penali, mentre annullava con rinvio ai fini civili, ritenendo di dover comunque valutare l'impugnazione proposta dall'imputato sotto il profilo dell'accertamento del causalità quanto meno ai fini degli interessi civili.

La questione

La Corte ha incentrato la sua valutazione su un'analisi particolarmente rigorosa della causalità nei reati colposi, sottolineando la necessità, per effettuare una corretta ricostruzione giuridica, non solo di individuare per ogni singolo caso concreto la condotta, attiva o passiva, che possa essere la causa dell'evento ma anche di valutare se tale azione rappresenti la violazione di una specifica e determinata regola cautelare.

Le soluzioni giuridiche

La Corte nella pronuncia in oggetto è chiamata ad analizzare la problematica, tipica delle cause di responsabilità medica, relativa alla prova dalla causalità per i reati colposi. La pronuncia si caratterizza però, rispetto ad altre sentenze che affrontano la stessa tematica, per un'analisi estremamente rigorosa, quasi scolastica.

Nella pronuncia in esame, si partiva dal presupposto, pacificamente emerso dalle risultanze probatorie dei due gradi di merito, che la causa della morte fosse da riconnettersi all'intervento chirurgico eseguito dall'imputato e che la lacerazione del vaso, con conseguente complicanza emorragica letale, fosse avvenuta per l'uso non corretto di uno degli strumenti utilizzati dall'operatore. Tuttavia, affermavano chiaramente i giudici, ciò non poteva essere sufficiente per ritenere sussistente una responsabilità colposa del medico per il contestato reato di omicidio colposo.

Si è sottolineato, infatti, come occorresse ripercorre tutte le tappe che dovrebbero caratterizzare il ragionamento del giurista in una caso di responsabilità colposa. In primo luogo, ricordava la Corte, l'accertamento giudiziario deve muovere dalla ricerca di una condotta, attiva o passiva, che possa essere la causa dell'evento lesivo. Una volta individuata la condotta occorre verificare la sussistenza di una regola cautelare che, se rispettata, avrebbe evitato il verificarsi dell'evento. Solo se la condotta, produttiva dell'evento, rappresenti la violazione della regola cautelare individuata si potrà parlare di condotta colposa. Diversamente l'evento sarà da ascrivere al caso fortuito o alla forza maggiore o alla condotta di un diverso soggetto.

La regola cautelare, naturalmente, deve preesistere alla condotta contestata e deve tradursi in puntuali indicazioni comportamentali da tenersi nel singolo caso concreto. Esistono, sottolineavano ancora in giudici, regole cautelari “rigide”, che indicano nel dettaglio il comportamento a valenza preventiva, e regole “elastiche”, che presentano un maggior tasso di indeterminatezza nella misura da adottare ma in ogni caso l'identificazione della regola cautelare violata non può limitarsi al mero richiamo astratto ai generali doveri di prudenza, perizia e diligenza. È escluso, ribadiva la suprema Corte, che il giudice possa fare ricorso ai concetti di prudenza, perizia e diligenza (o ai loro speculari) senza indicare nel caso concreto quale fosse il comportamento imposto dalla prudenza, dalla diligenza, dalla perizia.

Nel caso di specie, osservavano i giudici di legittimità, non era stata effettuata un'adeguata ricostruzione dell'operazione chirurgica, poiché nelle sentenze di merito non si era arrivato a determinare quale strumento tra quelli utilizzati dal medico avesse in effetti causato la rottura del vaso. Pertanto, non era stato possibile individuare nemmeno la regola cautelare violata.

Concludeva, quindi, la suprema Corte ritenendo che la motivazione esposta nella sentenza della Corte d'appello in merito all'identità della condotta colposa fosse meramente apparente. I giudici di secondo grado, infatti, appurato che la lesione del vaso arterioso era stata consequenziale all'intervento, si erano limitati a ritenere che tale rottura fosse stata determinata da un'imperita e/o negligente manovra del medico, ma senza indicare, come invece avrebbero dovuto, le concrete modalità che la perizia o la prudenza avrebbero prescritto nel caso di specie, in modo da individuare l'errore di esecuzione commesso.

Rilevava ancora la Corte come i giudici di secondo grado avessero anche fatto riferimento ad una condotta imprudente o imperita imputabile al medico per non aver tenuto conto della massima di comune esperienza della scienza medica secondo la quale lo spessore della scatola cranica delle persone di età avanzata è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani. Ritenevano, però, i giudici di legittimità che seppure tale massima potesse essere ritenuta corretta, in ogni caso, la stessa non si traduce in una precisa regola esecutiva che l'imputato avrebbe dovuto osservare e, in ogni caso, appariva dubitabile che in una vicenda medica così tecnicamente complessa si potesse far ricorso a nozioni di comune esperienza.

La Corte, pertanto, annullava la sentenza d'appello senza rinvio ai fini penali, essendo il reato prescritto ma con rinvio al competente giudice civile in ordine alle statuizioni civili.

Osservazioni

La sentenza in oggetto si caratterizza per l'attenzione riposta dai giudici della suprema Corte alla valutazione della sussistenza della causalità colposa in una materia così delicata come quella della responsabilità medica. La Corte pertanto ripercorre in maniera quasi scolastica tutti i passaggi che il giudice è chiamato a svolgere nella accertamento della responsabilità in ipotesi colpose.

L'accertamento, pertanto, deve avere ad oggetto la ricorrenza di una condotta trasgressiva di una regola cautelare causalmente efficiente rispetto all'evento. Indagine che non può non essere effettuata in modo assolutamente rigoroso da parte dell'organo giudicante. La stessa Corte evidenzia come siano numerose le pronunce ove quest'analisi non viene svolta in maniera sufficientemente approfondita finendo così per individuare una relazione causale di fatto oggettiva che determina quindi una responsabilità dei soggetti imputati. Rischio che si palesa anche maggiore nelle ipotesi in cui il soggetto rivesta una posizione di garanzia.

La pronuncia in esame rappresenta quindi un precedente rilevante in un ambito quale quello della responsabilità medica dove spesso, stante la complessità tecnica, non è facile individuare l'esatto comportamento causativo dell'evento lesivo né esplicitare in concreto il contenuto della regola cautelare violata, senza limitarsi ad un generico richiamo ai concetti astratti di prudenza, perizia o negligenza. Occorre, infatti, che il giudice possa indicare in concreto il comportamento, imposto dalla regola cautelare o dalla diligenza, dalla perizia o dalla prudenza, che il soggetto agente avrebbe dovuto tenere per evitare l'evento.

La stessa Corte nella pronuncia in esame evidenzia l'essenzialità di una ricostruzione corretta e approfondita della causalità nei reati colposi, tanto che pur essendo il reato prescritto ritiene di dover approfondire il caso in oggetto sul punto e annulla la pronuncia in esame rinviandola al competente giudice civile in merito alle statuizioni civili.

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