Amministratori e limiti all'insindacabilità delle scelte di gestione

Antonio Franchi
15 Aprile 2016

La diligenza richiesta all'amministratore è espressione del fondamentale principio di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 c.c.Esso assume i caratteri del dovere di protezione dell'altrui sfera giuridica, connotandosi come dovere di prendersi cura dell'interesse di colui che ha incaricato il gestore dell'amministrazione delle proprie attività e, per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie connotazioni fiduciarie.
Massime

La diligenza richiesta all'amministratore è espressione del fondamentale principio di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 c.c. Come in tutti i casi di gestione di interessi altrui, esso assume i caratteri del dovere di protezione dell'altrui sfera giuridica, connotandosi come dovere di prendersi cura dell'interesse di colui (individuo o ente) che ha incaricato il gestore dell'amministrazione delle proprie attività e, per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie connotazioni fiduciarie.

L'amministratore ha il dovere di gestire l'impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza: non ha, al contrario, l'obbligo di amministrare la società con successo economico. Se, quindi, gli amministratori hanno agito con la dovuta diligenza e, malgrado ciò, abbiano scelto di compiere operazioni imprenditoriali che si siano rivelate inopportune, il principio dell'insindacabilità nel merito delle loro scelte comporta che gli amministratori non siano responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società (e ciò anche se si tratta di danni che altri amministratori, più competenti, avveduti e capaci, avrebbero con certezza evitato).

Il principio dell'insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto. La giurisprudenza ha, infatti, elaborato due particolari limiti: il primo è che la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta); il secondo è che la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre).

Il caso

Con atto di citazione, la s.r.l. attrice ed il socio unico citavano in giudizio l'ex amministratore unico, al fine di vederne accertata la responsabilità ai sensi dell'art. 2476 c.c., per il compimento di operazioni azzardate in violazione dei doveri inerenti la carica gestoria e ottenerne la condanna al risarcimento dei danni arrecati alla società dallo stesso gestita.

In particolare, la società contestava al convenuto la conclusione di contratti privi di reale utilità per la società, nella consapevolezza della impossibilità per la società di fare fronte agli impegni ivi assunti.

Il convenuto si costituiva in giudizio, chiedendo nel merito il rigetto della domanda proposta e ammettendo che la stipulazione di tre dei contratti sottoscritti fosse stata effettuata in un'ottica speculativa.

Le questioni

I limiti al principio della insindacabilità delle scelte di gestione

Il Tribunale di Roma conferma (anche se di vera e propria conferma può parlarsi soltanto con riguardo al requisito della diligenza) il principio per cui l'insindacabilità delle scelte di gestione trova due particolari limiti, rappresentati (i) dalla diligenza con la quale sia stata intrapresa una certa operazione e (ii) dalla razionalità e dalla coerenza della scelta gestoria con le informazioni assunte e le verifiche svolte in applicazione della diligenza anzidetta.

La diligenza

Il Tribunale richiama il principio, consolidato in dottrina e in giurisprudenza, in base al quale gli amministratori (tanto delle s.p.a. quanto delle s.r.l., in funzione dell'applicazione estensiva dell'art. 2392 c.c.) sono tenuti ad adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze (in tal senso si veda Trib. Roma, 25 ottobre 2013; Trib. Napoli 5 agosto 2015; Cass. 2 febbraio 2015, n. 1783; Cass. 7 maggio 2015, n. 9193; N. Abriani, Commento all'art. 2476, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, 360 ss., 371; R. Teti, La responsabilità degli amministratori di S.r.l., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, III, Torino, 2006, 637; A. Angelillis e G. Sandrelli, Articolo 2476, in Società a responsabilità limitata, a cura di L. A. Bianchi, in Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, Milano, 2008, 665 ss.; G. Laurini, La società a responsabilità limitata post riforme, Milano, 2014, 194).

In particolare, il Tribunale, pur riconoscendo l'applicabilità del principio dell'insindacabilità delle scelte di gestione degli amministratori, ritiene che, nel valutare se sussista la responsabilità dell'amministratore nella causazione del danno alla società, si debba, innanzitutto, verificare se questi abbia usato la dovuta diligenza nell'apprezzamento preventivo dei rischi connessi all'attività da intraprendere al fine di evitare l'assoggettamento della società a danni che avrebbero potuto essere evitati.

E', infatti, evidente che la diligenza, cui inerisce il dovere generale di accuratezza, costituisce una della forme di estrinsecazione del principio di correttezza e buona fede (si vedano gli artt. 1175 e 1375 c.c.) e del dovere di fedeltà; tutti doveri, questi, posti a carico dell'amministratore, in qualità di gestore di un patrimonio altrui (si veda Cass. 24 ottobre 2004, n. 16707).

In concreto, lo svolgimento di un'attività di gestione in maniera diligente da parte dell'amministratore si realizza nell'assunzione preventiva di cautele, nell'effettuazione di verifiche e nel reperimento di informazioni, così da poter assumere una scelta consapevole (sul punto si veda la Relazione al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 per la quale le scelte degli amministratori “devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione”). Spetta, poi, al giudice che decide il merito della causa verificare se le scelte operate dall'amministratore siano state frutto di un'adeguata istruttoria.

Il giudizio sulla diligenza nella gestione della società, dunque, non investe il merito delle scelte operate dagli amministratori (identificabile nell'insieme delle valutazioni di carattere tecnico – commerciali e finanziarie - e di opportunità), ma il modo in cui tali scelte siano state compiute (in tal senso si veda Cass. 28 aprile 1997, n. 3652; Cass. 17 settembre 1997, n. 9252; Trib. Milano, 10 febbraio 2000; Trib. Milano, 3 settembre 2003; Cass. 23 marzo 2004, n. 5718; Cass. 24 agosto 2004, n. 16707; Trib. Milano, 14 aprile 2004; Trib. Palermo, 13 marzo 2008; Cass. 12 agosto 2009, n. 18231; Trib. Milano, 14 gennaio 2010; Trib. Milano, 27 ottobre 2011; Trib. Palermo, 2 aprile 2015).

La coerenza

Come già accennato, il Tribunale individua quale secondo limite al principio dell'insindacabilità delle scelte di gestione la coerenza di tali scelte con le informazioni assunte e le verifiche svolte.

Pertanto, occorre che l'amministratore, dopo aver assunto le informazioni e svolto le verifiche richieste nelle circostanze del caso concreto, operi la propria scelta gestoria in maniera razionale, logica e coerente alle informazioni acquisite.

Viceversa, qualora la scelta gestionale non venga svolta in maniera coerente e conforme alle verifiche e alle cautele poste in essere dall'amministratore, questi deve essere ritenuto pienamente responsabile per il danno subito dalla società.

A ben guardare, tuttavia, risulta dubbio se il requisito della coerenza possa porsi in via autonoma quale limite al principio dell'insindacabilità delle scelte di gestione ovvero se esso debba farsi rientrare nel più ampio concetto di diligenza (che l'amministratore è tenuto ad osservare nell'intero svolgimento della propria attività), giacché in effetti per diligenza deve intendersi “la misura del comportamento del debitore nell'eseguire la prestazione dovuta [e] riassume in sé quel complesso di cure e di cautele che ogni debitore deve normalmente impiegare nel soddisfare la propria obbligazione, avuto riguardo alla natura del particolare rapporto e a tutte le circostanze di fatto che concorrono a determinarlo” (si veda la Relazione al Codice Civile, punto 559).

In ogni caso, tanto nell'ipotesi in cui si voglia considerare il requisito della coerenza in via autonoma quanto nell'ipotesi in cui lo si faccia rientrare nell'ampio concetto di diligenza, qualora il comportamento dell'amministratore non sia stato coerente, tale comportamento risulterà comunque censurabile e sussisterà la conseguente responsabilità risarcitoria.

Violazione dell'atto costitutivo in ipotesi di gestione speculativa

Il Tribunale svolge, inoltre, un'interessante considerazione in merito alle conseguenze del compimento di attività gestorie in violazione dei principi di diligenza e di coerenza.

Più precisamente, nella sentenza in commento viene sottolineato come lo svolgimento di attività gestionali in maniera azzardata (dunque, in assenza del rispetto dei principi di diligenza, congruità e coerenza anzidetti) costituisca, negli effetti, la realizzazione di un'attività che non rientra nell'oggetto sociale.

Più precisamente, il Giudice identifica in un puro azzardo (dunque, in un'attività che non è prevista nello scopo della società e, anzi, è allo stesso contraria, non potendosi identificare l'azzardo con il normale rischio d'impresa) il compimento da parte dell'amministratore di attività realizzate in un'ottica speculativa, ossia nella consapevolezza della sussistenza di un rischio intimamente connesso alle attività compiute.

Nel caso di specie l'amministratore aveva sottoscritto dei contratti preliminari di acquisto in assenza della necessaria provvista, nella speranza di poter cedere i contratti preliminari stessi, così realizzando un vantaggio economico per la società.

Non può, dunque, non considerarsi che, in ipotesi di gestione speculativa (quindi, in presenza di una condotta azzardata, in spregio ai principi di diligenza e di coerenza), venendosi a determinare un mutamento della finalità in vista della quale la società era stata costituita e, dunque, un contrasto con l'interesse alla corretta gestione dell'impresa, si venga a realizzare una condotta illegittima in violazione dello statuto; ciò da cui scaturisce una specifica responsabilità risarcitoria a carico dell'amministratore in caso di danneggiamento della società (in tal senso si vedano App. Milano, 15 settembre 1994; App. Milano, 16 giugno 1995; C. Conforti, in La responsabilità civile degli amministratori di società per azioni, Milano, 2012, 365; L. Nazzicone e S. Providenti, Amministrazione e controlli nelle società per azioni, Milano, 2010, 37; F. Galgano, Il nuovo diritto societario, Padova, 2003, 66 e 244; S. Ambrosini, La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, 63; A. Tucci, Gestione dell'impresa sociale e supervisione degli azionisti, Milano, 2003, 213).

Osservazioni

Nella sentenza in esame, inter alia, vengono individuati due limiti al principio generale della insindacabilità delle scelte di gestione e viene specificato che la condotta degli amministratori non rispondente ai principi della diligenza e della coerenza realizza, negli effetti, il compimento di attività contraria allo scopo sociale.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, si può concludere, sottolineando che lo svolgimento di attività di gestione in spregio ai principi della diligenza e della coerenza (o della sola diligenza, facendo rientrare la coerenza nell'ampio concetto di diligenza) (e, quindi, realizzando un'attività azzardata) non solo costituisce di per sé la violazione di doveri imposti dalla legge, ma comporta altresì la violazione dell'atto costitutivo della società, venendosi così a determinare a carico degli amministratori un aggravamento della responsabilità risarcitoria verso la società medesima.