No al sequestro dei beni sociali se manca la prova dello “schermo fittizio”
19 Gennaio 2015
Non superano il vaglio della Corte di Cassazione le pronunce di merito che, anche se precedenti, non fanno applicazione del nuovo principio espresso dalle Sezioni Unite in tema di sequestro preventivo dei beni della società, collegato ai reati tributari commessi dal legale rappresentante. Come recentemente sancito dal Supremo consesso (S.U., sent. n. 18311/2014), in tali casi, la misura è applicabile ai danni dei beni dell'ente esclusivamente se questo sia priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni”. Da ciò la distinzione tra regola generale (i beni della società non sono sequestrabili, per il fatto commesso dal rappresentante) e l'eccezione (sequestrabili solo se l'ente è stato utilizzato come schermo fittizio per commettere i reati). Con la sentenza del 15 gennaio scorso, n. 1736, la Corte ha infatti annullato l'ordinanza di sequestro del Tribunale, precedente al nuovo orientamento giurisprudenziale, dalla cui motivazione non emergeva che la struttura aziendale costituisse uno “schermo fittizio”. Il ricorso, in realtà avanzato dal nuovo rappresentante per ottenere il dissequestro stante l'uscita dalla società del collega imputato, ha prodotto l'effetto sperato ma soltanto a metà: con la sentenza, a essere liberarti dalla misura sono soltanto i beni sociali oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca dell'equivalente (art. 1, comma 143, Legge n. 244/07) ma non anche il denaro della società, oggetto di confisca diretta (art. 322 ter, c.p.), “trattandosi del profitto del reato”, la cui disciplina non richiede il presupposto della disponibilità in capo all'imputato di quanto confiscato. Proprio per tale ragione, la Corte ha annullato l'ordinanza impugnata limitatamente al sequestro per equivalente, rimanendo efficace la confisca dei conti societari. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |