Concordato preventivo e apporto di finanza esterna

Daniele Fico
12 Febbraio 2014

Una società pone in essere una scissione parziale proporzionale trasferendo parte del patrimonio ad una newco; dopo qualche anno la società scissa, incapiente ed insolvente, presenta un ricorso per concordato preventivo prevedendo per tutti i crediti ante scissione, che non trovano capienza nel proprio patrimonio, l'apporto della beneficiaria nei limiti del patrimonio netto trasferito ai sensi dell'art. 2506-quater c.c. (coobbligata solidale) e, per i crediti maturati post scissione, che non trovano alcuna capienza nel patrimonio della società in concordato, l'apporto di finanza esterna in regime di neutralità rispetto allo stato patrimoniale della società in concordato. Vi è una norma della legge fallimentare o un principio di matrice giurisprudenziale che imponga un eguale trattamento dei crediti ante e post scissione e quindi un apporto del terzo non liberamente utilizzabile?

Una società pone in essere una scissione parziale proporzionale trasferendo parte del patrimonio ad una newco; dopo qualche anno la società scissa, incapiente ed insolvente, presenta un ricorso per concordato preventivo prevedendo per tutti i crediti ante scissione, che non trovano capienza nel proprio patrimonio, l'apporto della beneficiaria nei limiti del patrimonio netto trasferito ai sensi dell'art. 2506-quater c.c. (coobbligata solidale) e, per i crediti maturati post scissione, che non trovano alcuna capienza nel patrimonio della società in concordato, l'apporto di finanza esterna in regime di neutralità rispetto allo stato patrimoniale della società in concordato. Vi è una norma della legge fallimentare o un principio di matrice giurisprudenziale che imponga un eguale trattamento dei crediti ante e post scissione e quindi un apporto del terzo non liberamente utilizzabile?


I DATI DEL PROBLEMA. LA SCISSIONE. E' noto che la scissione è un'operazione societaria straordinaria, in virtù della quale una società (definita “scissa”) assegna a più società (definite “beneficiarie”), preesistenti o di nuova costituzione, l'intero suo patrimonio (c.d. scissione totale) o, come nella fattispecie prospettata, a più società o anche ad una sola società “beneficiaria”, parte del suo patrimonio (c.d. scissione parziale), e le relative azioni o quote ai suoi soci (art. 2506, comma 1, c.c.).
In virtù di tale operazione, chiarisce il terzo comma di tale disposizione, la società scissa può attuare il proprio scioglimento senza liquidazione o, in alternativa, continuare la propria attività.
In ogni caso, ai sensi dell'art. 2506-quater, comma 3, c.c., ciascuna delle società partecipanti alla scissione è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico. Da ciò consegue che, per le obbligazioni della scissa non soddisfatte dalla società cui fanno carico, la responsabilità delle altre società coinvolte nell'operazione di scissione ha carattere sussidiario e presuppone, quindi, la preventiva infruttuosa escussione della società obbligata, che, in quanto assegnataria di uno specifico debito della scissa, ne risponde illimitatamente.

L'APPORTO DI FINANZA ESTERNA NEL CONCORDATO PREVENTIVO. Quanto all'apporto di finanza esterna, è necessario tenere in considerazione l'opinione dei giudici di legittimità (Cass. 8 giugno 2012, n. 9373) secondo cui, ai fini dell'ammissibilità della proposta di concordato preventivo, l'art. 160, comma 2, l. fall. - che consente, come noto, di prevedere nella proposta che i creditori muniti di cause di prelazione non siano soddisfatti integralmente (a determinate condizioni) - deve essere interpretato nel senso che l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati soltanto allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né un incremento dell'attivo, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della stessa, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato o meno postergato.
Pertanto, poiché l'apporto di finanza esterna può assumere le seguenti due differenti modalità e funzioni, a seconda sia del momento in cui venga effettuato, sia del titolo che può causalizzarlo e delle condizioni con cui si attui:
a) prima della presentazione della domanda o comunque in modo tale che tale apporto possa considerarsi ormai divenuto parte integrante del patrimonio del debitore proponente;
b) successivamente a tale momento o comunque in modo tale da conservare la sua caratterizzazione di apporto proveniente dal patrimonio di un terzo (a tal fine occorrendo che non incida sul passivo in senso incrementativo, ovvero, in altre parole, che non ne sia previsto l'obbligo di rimborso);
risulta evidente che soltanto in questa seconda ipotesi si avrà vera e propria finanza esterna, dal momento che nell'ipotesi sub a), al contrario, la vicenda circolatoria si è già consumata prima del procedimento, o comunque in modo tale da privare di rilievo l'esterna provenienza soggettiva dell'apporto, il quale non potrà conseguentemente più essere considerato ai fini della valutazione della proposta e del piano di concordato come apporto di terzi (cfr. Lamanna, Le insidie logiche della finanza esterna in caso di prelazioni incapienti, in ilFallimentarista, 20 gennaio 2014. Sul tema, v. anche Bozza, L'utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti, in Fall., 2009, 1441).

LA SOLUZIONE. Il quesito in esame sembra presupporre che la società scissa sia comunque attualmente titolare di un proprio patrimonio, sia pur modesto (e quindi che non sia totalmente incapiente), tanto che nell'ambito di esso dovrebbe essere riconoscibile il patrimonio netto nei cui limiti può valere la responsabilità solidale per i debiti ante scissione trasferiti alla beneficiaria, anche se esso non dovrebbe bastare per pagarli tutti.
È poi bene precisare che i creditori ante scissione possono essere in alcuni casi creditori condizionali, in altri creditori attuali.
Tale distinzione deriva dal fatto che con la scissione parziale alcuni debiti che prima facevano capo alla scissa vengono trasferiti alla società beneficiaria (nella specie: newco), mentre altri possono rimanere in capo alla scissa.
Questi ultimi sono sempre debiti propri (soltanto) della scissa, e quindi sempre attuali (non deve risponderne in via soldiale la beneficiaria).
I primi, invece, sono debiti della beneficiaria, anche se deve risponderne in via solidale la scissa: pertanto, qualora sia stata già vanamente escussa la beneficiaria debitrice principale, tali debiti sono divenuti attualmente debiti da soddisfare anche da parte della società scissa (coobbligata solidale), mentre, se la beneficiaria non sia stata ancora escussa, non si sa se verranno pagati, dovendo quindi considerarsi crediti condizionali.
In entrambi i casi, dei suddetti debiti deve tenersi conto ai fini del fabbisogno concordatario.
Partendo da tale premessa, deve osservarsi che la società in concordato deve comunque sempre rispettare la par condicio tra tutti i creditori concorsuali, senza poter distinguere quelli ante e post scissione, inserendo quindi tutti nella graduazione, ossia disponendosi a rispettare l'ordine delle prelazioni.
Vero è che dei debiti ante scissione assegnati alla beneficiaria risponde in via solidale la scissa nei soli limiti del patrimonio netto rimasto, ma questo è un limite che incide a monte sull'entità della obbligazione, senza creare però una massa passiva autonoma.
Pertanto è improprio parlare di un “apporto” della beneficiaria previsto nel piano concordatario al fine del pagamento dei (soli) crediti ante scissione: tutt'al più, al riguardo, se l'escussione delle beneficiaria non sia ancora avvenuta, la solvibilità della beneficiaria medesima costituirà elemento da valutare ai fini del giudizio di fattibilità del concordato: infatti se essa è capiente, i debiti ante scissione potranno essere soddisfatti per intero senza che residui la coobbligazione solidale della scissa; se la beneficiaria è parzialmente incapiente, le passività ante scissione in carico alla scissa andranno rapportate alla parte che presumibilmente resterà insoddisfatta (e nei soli limiti del patrimonio netto rimasto). In tali ipotesi i rischi di incapienza possono essere bilanciati dalla previsione di un apposito fondo rischi.
Fatti tali calcoli, ed ipotizzato, come da quesito, che il patrimonio della scissa, proponente del concordato, sia in parte incapiente, e che intervenga quindi un terzo finanziatore in regime di vera e propria neutralità (nuova finanza in senso stretto), l'unica condizione da rispettare, nella sostanza, è che “tutti” i creditori chirografari, compresi quelli in origine privilegiati che siano divenuti chirografari a seguito di “degradazione” dovuta ad incapienza del patrimonio della scissa, vengano pagati, quanto meno in piccola parte.
Posto il rispetto di tale condizione, il debitore potrà o prevedere un trattamento indifferenziato di tutti i chirografari, o classare i chirografari e quindi prevedere – in ipotesi - una classe composta dalla parte di creditori ante scissione rimasti insoddisfatti e da soddisfare in una certa entità, e un'altra classe di creditori post scissione da soddisfare in percentuale diversa con la finanza esterna apportata in regime di neutralità dal terzo finanziatore.

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