La qualificazione dei finanziamenti dei soci nella fase di liquidazione della s.r.l.

Marta Bellini
07 Marzo 2017

L'applicazione della regola di cui all'art. 2467 c.c. è circoscritta alle sole ipotesi di finanziamenti realizzati nelle circostanze anomale postulate dal secondo comma della norma e viceversa, non si estende ai finanziamenti dei soci concessi in condizioni “fisiologiche”, non rilevando eventuali successivi peggioramenti della situazione patrimoniale della società.
Massima

L'applicazione della regola di cui all'art. 2467 c.c. è circoscritta alle sole ipotesi di finanziamenti realizzati nelle circostanze anomale postulate dal secondo comma della norma e viceversa, non si estende ai finanziamenti dei soci concessi in condizioni “fisiologiche”, non rilevando eventuali successivi peggioramenti della situazione patrimoniale della società. Ne consegue che la parte che ha interesse a far valere la postergazione è gravata dell'onere di provare che il finanziamento è stato concesso in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

Il caso

Nel caso di specie, venivano convenuti in giudizio avanti il Tribunale di Milano il liquidatore ed il socio finanziatore illegittimamente rimborsato affinché – accertata la responsabilità personale e solidale dei convenuti rispettivamente ex artt. 2489 e 2486 c.c. – venissero condannati al risarcimento del danno subito dall'attrice, pari al credito insoddisfatto, per aver violato gli artt. 2467 e 2423 c.c.. Deduceva parte attrice di essere creditrice nei confronti della società convenuta per spese di lite a seguito di una sentenza di condanna e di aver appreso in sede di esecuzione del titolo dello stato di liquidazione volontaria della società. In particolare, l'attrice lamentava che nel corso dell'esercizio fosse stato rimborsato il credito di un socio mentre, dall'esame del bilancio di liquidazione, alcuna menzione vi fosse del proprio credito. Nello specifico, l'attrice apprendeva dall'esame della nota integrativa al bilancio di liquidazione che la società aveva provveduto al rimborso di un finanziamento del socio attraverso la datio in solutum di un marchio non registrato in proprietà della società.

Le questioni: l'ambito di applicazione dell'art. 2467 c.c.

La sentenza in commento riporta l'attenzione sull'annosa questione degli apporti dei soci a titolo di capitale finanziario e di loro successivo rimborso (l'art. 2467 c.c. venne introdotto al fine di rispondere ad un'esigenza meramente pratica dettata dalla diffusa abitudine dei soci di finanziare la società attraverso dei prestiti, piuttosto che attraverso conferimenti a capitale - con ciò che ne consegue dal punto di vista della sottocapitalizzazione della società -, si v. sul punto Maugeri, Finanziamenti «anomali» dei soci e tutela del patrimonio della società di capitali, Milano, 2005, 193) e sulla consequenziale responsabilità addebitabile al liquidatore ed al socio che abbiano, rispettivamente, posto in essere la restituzione ed ottenuto il rimborso (a tale proposito, in Dottrina l'opinione prevalente ritiene che la previsione normativa di cui all'art. 2467 c.c. prevista per la società a responsabilità limitata, sia espressione di un principio di portata generale che, a prescindere dal tipo sociale in concreto adottato, sancendo la tutela dei creditori nei confronti della “sottocapitalizzazione nominale”, possa essere analogicamente adottato ogniqualvolta la s.p.a., ma anche l'accomandita per azioni, presentino una struttura chiusa analoga a quella delle s.r.l.: si veda Portale, I <<finanziamenti>> dei soci nelle società di capitali, in Banca borsa tit. cred., 2003, I, 681, ed in giurisprudenza, Cass. 7 luglio 2015, n. 14056, in questo portale con nota di Papini, Postergazione del finanziamento dei soci e s.p.a. “chiuse”, e Trib. Roma, sez. fall., 15 settembre 2015); contra, invece, Rivolta, La società per azioni e l'esercizio di piccole e medie imprese, in Riv. soc., 2009, 654 e Cass. 24 luglio 2007, n. 16393).

Il tema degli apporti a titolo di capitale è stato a lungo oggetto di analisi, ben prima della riforma del diritto societario del 2003, con particolare interesse da parte della dottrina all'individuazione delle diverse tipologie di finanziamento soci [v. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in G.E. Colombo, G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, 1***, Torino, 2004, 762 ss.] e della giurisprudenza all'individuazione dei parametri finanziari richiesti dall'art. 2467, comma 2, c.c. (v. Tribunale di Venezia, Sez. fall., 14 aprile 2011 in Le Società, 2012, I, 19). La prassi del finanziamento della società attraverso il prestito dei soci non pone alcun problema se non in presenza di uno squilibrio finanziario, in previsione del quale il legislatore ha risolto il problema prevedendo una postergazione legale del prestito in sede di liquidazione volontaria o in sede di riparto concorsuale rispetto al soddisfacimento degli altri creditori (Giordano, La qualificazione dei finanziamenti dei soci nella s.r.l., in Giur. comm., 2012, I, 672 e Cass. civ., 4 febbraio 2009, n. 2706).

Nessun rilievo riveste la circostanza che, nella fattispecie in esame, il rimborso fosse avvenuto attraverso la cessione in compensazione di un marchio della società piuttosto che attraverso la restituzione di una somma di denaro.

Rileva, invece, in primo luogo, che la postergazione debba essere eccepita ed opposta dagli amministratori alla richiesta di rimborso ogniqualvolta sussistano creditori “ordinari” (vale a dire creditori non soci) titolari di crediti non soddisfatti. Nei fatti, la posta creditoria del socio, rappresentata dalla rifusione delle spese di lite di cui ad una sentenza di condanna intervenuta successivamente al rimborso, non risultava inserita in bilancio in quanto di competenza dell'esercizio successivo rispetto alla restituzione del finanziamento del socio: di qui la pretesa attorea in merito al depauperamento del patrimonio a garanzia della massa creditoria, basata sulla circostanza che di tale pendenza giudiziaria non vi fosse alcuna annotazione in bilancio e che il bene concesso a titolo di rimborso rappresentasse, in sede liquidatoria, l'unico bene sociale a soddisfacimento dei creditori. In punto all'omessa indicazione in bilancio della causa giudiziale pendente, si rileva, in generale, l'opportunità di iscrivere in bilancio nel fondo rischi ed oneri l'eventuale soccombenza in causa; nel rispetto dell'art. 2424-bis, comma 3, c.c. devono essere iscritti gli accantonamenti per quelle passività̀ potenziali connesse a situazioni già̀ esistenti alla data di bilancio, ma caratterizzate da uno stato d'incertezza il cui esito dipende dal verificarsi o meno di uno o più̀ eventi in futuro (quale passività probabile: v. OIC 31 e IAS 37): l'esistenza del principio generale di prudenza nella redazione del bilancio di cui all'art. 2423-bis comma 1, n. 4 c.c. avrebbe imposto l'annotazione (trattandosi di società in liquidazione volontaria) del rischio di causa pendente nel bilancio di esercizio di competenza del rimborso. Quanto ai criteri di anormalità del finanziamento, la dottrina si divide sull'impiego alternativo dei due principi di squilibrio finanziario e della ragionevolezza al cui esame è tenuto l'operatore del diritto (v. Stella Richter Jr., Le società a responsabilità limitata, in AAVV., Diritto delle società. Manuale Breve., Milano, 2008, 289), dall'individuazione dei due parametri quali esplicitazioni del medesimo principio [v. Irrera, in Ambrosini (a cura di), La Riforma della società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, 141]; la prassi poi (Cass. 7 luglio 2015, n. 14056, cit.) ha individuato nella risultanza tra attivo e passivo fallimentare l'indice di eccessivo squilibrio dell'indebitamento, nonché il quantum ai fini dell'individuazione di una eventuale bancarotta preferenziale (Cass. Pen. 7 marzo 2008, n. 14908), ed identificato nella prognosi postuma, la metodologia di individuazione dell'indice standardizzato di anomalia del finanziamento, da ritenersi sussistente ogniqualvolta al momento della concessone del finanziamento, fosse molto probabile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di far fronte al soddisfacimento degli altri creditori (Cass. 16 gennaio 2012, n. 434 e Trib. Roma 1 giugno 2016).

Resta comunque indefinito il ventaglio delle possibili diverse interpretazioni di eccessivo indebitamento correlato alla tipologia di attività esercitata dalla società, che troveranno risposta nelle diverse fattispecie poste all'esame del Giudicante (in ambito di indici di bilancio, si veda: Spada, Diritto commerciale, II, Padova, 2009, 18, secondo il quale «tra capitale proprio e capitale di credito deve esserci un rapporto che la scienza aziendalistica si studia di determinare in modo ottimale per la validità dell'impresa: l'impresa non deve essere troppo indebitata (sottocapitalizzata) per avere ragionevoli prospettive di persistenza sul mercato e di sviluppo»). E così similmente, per l'espressione «situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento»: il richiamo alla ragionevolezza effettuato dal legislatore, quale parametro oggettivo di analisi applicativa della norma, impone una valutazione del comportamento del socio paragonata ad un elemento terzo ed estraneo (il mercato), secondo la quale non sarebbe ragionevole finanziare la società qualora, attraverso una valutazione ex ante, la stessanon risulti in grado di restituire il finanziamento ricevuto. Si rammenta a tal proposito, che secondo la relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003, “la soluzione indicata dal comma 2 dell'art. 2467 c.c., non potendosi in generale individuare parametri quantitativi, è stata quella di un approccio tipologico con il quale, dovendosi ricercare se la causa del finanziamento è da individuare nel rapporto sociale (e non in un generico rapporto di credito): in tal senso l'interprete è invitato ad adottare un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto della situazione della società e la si confronti con i comportamenti che nel mercato sarebbe opportuno ragionevole aspettarsi”. È del tutto evidente che l'individuazione della presenza dei requisiti oggettivi per l'applicazione della normativa non potrà che correlarsi all'esame di ogni singola fattispecie.

Osservazioni

Il Tribunale di Milano fornisce la soluzione al quesito, quanto alla datio del marchio a titolo di restituzione del finanziamento del socio, attraverso la valutazione economica del bene posto in compensazione, ritenendo che non vi sia stato da parte del liquidatore alcun depauperamento della società in danno ai creditori, in quanto il marchio risultava inattivo e privo di valore economico; il giudice esclude poi l'applicazione alla fattispecie dell'art. 2467 c.c. in quanto ogniqualvolta il finanziamento avvenga in condizioni "fisiologiche" a nulla rilevando l'eventuale successivo peggioramento della situazione finanziaria della società; conseguentemente, qualificando la fattispecie non assimilabile al finanziamento <<anomalo>> di cui alla postergazione prevista dal 2467 c.c., esclude, all'uopo, ogni responsabilità in capo al liquidatore della società.

In parziale condivisione con le conclusioni cui giunge il tribunale meneghino, si rileva peraltro che, a fronte dell'effettiva assegnazione di un valore economico e di mercato al bene concesso al socio a titolo di rimborso del finanziamento (ossia un marchio registrato della società), l'analisi ex ante del disequilibrio finanziario tra patrimonio sociale e liquidazione della posta di bilancio avrebbe con ogni probabilità evidenziato un potenziale pregiudizio a carico della massa creditoria. Parallelamente, se la società avesse correttamente – nel rispetto del principio di prudenza – indicato nel fondo rischi la presenza di un giudizio pendente senza dover attendere il concretizzarsi del credito del socio alla notifica dell'atto di precetto, l'indice di anomalia finanziaria, evidenziando l'impossibilità della società in liquidazione di assicurare il futuro pagamento dei crediti, avrebbe imposto la dichiarazione di non esigibilità del finanziamento al socio che ne avesse fatto domanda, obbligando il tribunale all'applicazione dei parametri previsti dall'art. 2467 c.c.

Conclusioni

La pronuncia qui commentata pone l'accento sulle criticità derivanti dalla concreta applicazione dell'art. 2467 c.c. in mancanza di principi oggettivi volti ad individuare lo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure la presenza di una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, piuttosto che un finanziamento «anomalo». Resterà pertanto in capo all'interprete la valutazione, caso per caso, di natura prettamente aziendalistica da effettuarsi attraverso una valutazione postuma, se al momento del finanziamento sussistessero o meno i requisiti previsti per l'applicazione della norma.

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