Ricorso abusivo al credito. Non c’è reato senza fallimento

La Redazione
28 Ottobre 2014

La Corte d'appello di Bologna dichiara il non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta prescrizione per i reati di bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito, mentre conferma la condanna per il reato di bancarotta documentale.

La Corte d'appello di Bologna dichiara il non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta prescrizione per i reati di bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito, mentre conferma la condanna per il reato di bancarotta documentale.

Sia il procuratore generale che l'imputato propongono appello. Il procuratore lamenta esservi stata un'applicazione errata della legge penale sulla prescrizione. I motivi a fondamento del ricorso dell'imputato invece riguardano l'insussistenza del dolo richiesto, a fronte dell'omessa tenuta delle scritture contabili.
I giudici di legittimità accolgono il motivo del ricorso del procuratore, affermando che il termine decennale di prescrizione decorre dalla data di dichiarazione di fallimento ed esso, quindi, nel caso di specie, non è ancora spirato. Sulla questione dell'elemento soggettivo per il reato di omessa tenuta delle scritture contabili la Cassazione dichiara trattarsi di una questione nuova, in quanto non proposta nel ricorso in appello, ma ritiene comunque che vi siano gli elementi idonei a dichiarare sussistente l'obiettivo dell'imputato di conseguire un profitto ingiusto e recare pregiudizio alle ragioni creditorie.

La V sezione penale coglie così l'occasione per schierarsi con quella parte della giurisprudenza secondo la quale il reato di ricorso abusivo al credito richiede necessariamente che il soggetto al quale esso sia addebitato sia stato dichiarato fallito.
Vero che l'art. 218 l. fall. non fa alcun riferimento alla dichiarazione di fallimento come elemento necessario per la configurazione del reato di ricorso abusivo al credito, ma tale conclusione trova fondamento – secondo il collegio della Suprema Corte decidente - in dati sia di ordine letterale che sistematico.
L'art. 218 l. fall è infatti collocato, nella legge fallimentare, al capo I del Titolo V, ed è intitolato, appunto, “Reati commessi dal fallito”.
Gli articoli 222, 223 e 225 l. fall. richiedono poi espressamente che sia avvenuto il fallimento della società.

L'art. 219, comma 2, n. 1) considera unitariamente le condotte di cui agli artt. 216, 217 e 218 l. fall.: si può quindi cogliere una base comune dei diversi reati, che consiste nell'interesse dei creditori concorsuali a non vedere le proprie ragioni pregiudicate da atti che riducono la garanzia patrimoniale.
Inoltre, dall'art. 221 l. fall., sia pure su un piano storico, si ricava la volontà – per quanto inespressa dal legislatore - di sanzionare le condotte ivi descritte solo nel caso in cui sia intervenuta una dichiarazione di fallimento.

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