La responsabilità degli amministratori non esecutivi di s.p.a. tra potere e dovere di informazione

Stefano Mascia
26 Ottobre 2016

Gli amministratori di s.p.a. privi di delega sono responsabili per non aver impedito fatti pregiudizievoli che, in base al proprio dovere di agire in modo informato, erano da questi conosciuti o conoscibili, non sussistendo a loro carico un generale obbligo di vigilanza che li esponga ad una responsabilità di carattere oggettivo.
Massima

Gli amministratori di s.p.a. privi di delega sono responsabili per non aver impedito fatti pregiudizievoli che, in base al proprio dovere di agire in modo informato, erano da questi conosciuti o conoscibili, non sussistendo a loro carico un generale obbligo di vigilanza che li esponga ad una responsabilità di carattere oggettivo.

Il caso

La Corte d'Appello di Roma aveva confermato la condanna in primo grado nei confronti di alcuni amministratori di una s.p.a. fallita nel 2006 a causa di un investimento esorbitante e non giustificato, ritenuta la loro responsabilità per violazione degli obblighi ai sensi dell'art. 2392 c.c.. I giudici di merito, pur riconoscendo l'esclusiva responsabilità commissiva di uno degli amministratori nella dispersione del patrimonio sociale, condannavano in solido anche gli altri componenti dell'organo amministrativo, sul presupposto che avessero assistito inerti al dissesto senza assumere alcuna iniziativa ed omettendo altresì qualunque attività di vigilanza o controllo. Quest'ultimi proponevano ricorso in Cassazione, rilevando, in particolare, un vizio di violazione di legge in relazione all'art. 2392 c.c.. Secondo i ricorrenti, infatti, la loro responsabilità non poteva essere riconnessa alla violazione di un generale obbligo di vigilanza giacché, in mancanza delle informazioni da parte dell'amministratore operativo o comunque di segnali d'allarme, essi non erano stati posti nelle condizioni di avvedersi della situazione in cui la società effettivamente versava e, quindi, di poter intervenire.

Le questioni

Con il provvedimento n. 17441 in commento, la Cassazione torna sul tema della responsabilità degli amministratori non esecutivi in relazione all'operato degli organi delegati, in una vicenda che, ancora una volta, si sviluppa in ambito fallimentare.

In proposito si ricorderà che uno degli obiettivi della Riforma del 2003 era quello di porre un freno ad una certa prassi giurisprudenziale sviluppatasi proprio nei contesti concorsuali che, muovendo dall'obbligo di vigilanza delineato dal previgente art. 2392, comma 2, c.c., in più occasioni aveva indebitamente esteso la responsabilità solidale degli amministratori non operativi, finendo per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva.

Nella sua precedente formulazione l'art. 2392 c.c. imponeva a tutti gli amministratori un generale dovere di vigilanza sull'andamento della gestione, dovere che non veniva meno (come si evinceva dall'espressione «in ogni caso» di cui al comma 2) neppure nell'ipotesi di attribuzioni proprie degli organi delegati (Cass. 25 gennaio 1999, n. 661; Cass. 11 aprile 2001, n. 5443; Cass. 29 agosto 2003, n. 12696 e, successive alla Riforma ma relative a vicende antecedenti, Cass. 15 febbraio 2005, n. 3032; Cass. 11 novembre 2010, n. 22911; Cass. 27 aprile 2011, n. 9384), risultando peraltro irrilevante, al fine della valutazione della responsabilità dell'amministratore non esecutivo, che l'autonomia gestoria attribuita fosse particolarmente ampia.

Il contenuto indeterminato di tale obbligo portava la giurisprudenza a ricavare argomenti dimostrativi della responsabilità dalla stessa incapacità del consiglio di impedire il danno: se il delegato aveva compiuto un atto dannoso, ciò significava che il consiglio non aveva vigilato, in quanto se esso avesse vigilato, ne avrebbe evidentemente impedito il compimento (A. Rossi, Il nuovo diritto delle Società, in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 2005, 805). La mancanza di una «valutazione reale» sul significato giuridico del generico dovere di vigilanza (V. Salafia, Amministratori senza deleghe fra vecchio e nuovo diritto societario, in Le Società, 2006, 3, 290 ss.), si tramutava quindi in un'indebita operatività della norma, con il risultato che ad essere sollecitata non era la vigilanza attiva degli amministratori non esecutivi ma la rinuncia da parte di questi ai relativi incarichi, essendo essi esposti ad una responsabilità di fatto inevitabile.

Il Legislatore è quindi intervenuto eliminando la previsione relativa al generale obbligo di vigilanza sull'andamento della gestione, disciplinando al contempo un sistema di flussi informativi dagli organi delegati all'organo collegiale e paralleli compiti valutativi da parte di quest'ultimo.

Sul punto è stato autorevolmente sostenuto che il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione sarebbe venuto meno (F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. a dieci anni dalla Riforma del 2003, Torino, 2013, 3). Diversamente, per altra parte della dottrina l'eliminazione del dovere di vigilanza nel nuovo testo dell'art. 2392 c.c. sarebbe meramente formale, ritenendo che tale obbligo risulti tutt'ora in capo agli amministratori (P. Montalenti, Amministrazione e controllo nelle società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. Soc., 2013, 54; V. Salafia, op. ult. cit., ibidem), e ciò anche alla luce del nuovo complessivo assetto normativo in tema di doveri e responsabilità degli amministratori risultante dalla Riforma.

La stessa sentenza della Corte d'Appello di Roma oggetto del provvedimento in commento ha ragionato sul presupposto che tuttora sussista a carico degli amministratori un obbligo di vigilanza.

Va dato atto che, con la riscrittura dell'art. 2381 c.c., il Legislatore ha delineato un sistema inedito caratterizzato da una maggiore attenzione ai rapporti interorganici attraverso l'istituzionalizzazione di flussi informativi (comma 3, ultima parte e comma 5) e la definizione di un nuovo insieme di poteri-doveri (comma 6), tra cui spicca il dovere (per tutti gli amministratori) di «agire in modo informato».

Volendo superare approcci radicali in relazione alla presunta soppressione o sopravvivenza del dovere di vigilanza si evidenzia che la nuova normativa non esclude il pericolo di interpretazioni gravose e, anzi, vi è il rischio di risultati ancora più rigidi di quelli imposti dal vecchio sistema. Infatti, mentre il previgente art. 2392 c.c. limitava l'obbligo di vigilanza al generale andamento della gestione, l'art. 2381, comma 6, c.c. non pone limiti alla sua estensione (P. Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle società – Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, II, Torino, 2006, 504).

In definitiva, pur essendo pacifica l'intenzione del Legislatore di revisionare il sistema degli obblighi e delle responsabilità in capo agli amministratori non esecutivi nell'ottica di limitare indebite applicazioni del regime solidaristico (in questo, la Relazione alla Riforma è espressa), resta un problema interpretativo circa l'estensione dei poteri-doveri in capo agli stessi.

L'intervento della Cassazione, apprezzabile per la sua concretezza, pare essere sufficientemente efficace sul punto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello di Roma aveva ragionato sul presupposto che l'art. 2392 c.c. ponesse a carico degli amministratori un'«attività di vigilanza», quale esplicazione di «obblighi di verifica dell'attività gestionale», ritenendoli responsabili per aver omesso qualunque attività di vigilanza o controllo.

La Cassazione afferma espressamente che gli amministratori non risultano più sottoposti ad un generale obbligo di vigilanza, fonte di indebita attribuzione di responsabilità oggettive, e che la responsabilità di questi discende, piuttosto, dalla violazione del proprio dovere di agire informati (in questo senso si vedano anche Cass. 9 novembre 2015, n. 22848, in questo portale, con nota di Caruso, Responsabilità degli amministratori privi di deleghe, e, sebbene la ricostruzione risultasse funzionale all'accertamento di una responsabilità penale, Cass. 4 maggio 2007, n. 23838 e Cass. 10 febbraio 2009, n. 9736).

Tale dovere si concreta innanzitutto nella attività di valutazione delle relazioni ed informazioni fornite dagli amministratori delegati ai sensi dell'art. 2381 c.c..

Onde però evitare che sia attribuita ai deleganti una vigilanza meramente «passiva», che potrebbe condurre ad una loro sostanziale deresponsabilizzazione (R. Sacchi, Amministratori deleganti e dovere di agire in modo informato, in Giur. Comm., II, 385), viene precisato che la violazione del dovere di agire informati deve essere valutata non solo sulla base delle informazioni che a detti amministratori sono somministrate ma anche sulla base di quelle che essi stessi possono acquisire di propria iniziativa (così anche Cass. 3 maggio 2016, n. 8730).

Si ricordi infatti che l'art. 2381, comma 6, c.c. attribuisce a ciascun amministratore il potere (e quindi il dovere) di chiedere informazioni agli organi delegati.

Il suddetto potere-dovere informativo ha però un limite strutturale, in quanto non ci si può informare su ciò che, senza colpa, si ignora del tutto (G. M. Zamperetti, Il dovere di informazione endoconsiliare degli amministratori di s.p.a., in Le Società, 2005, 12, 1474), altrimenti si ricadrebbe nella configurazione del generale obbligo di vigilanza che il Legislatore della Riforma ha voluto eliminare.

Secondo la Suprema Corte, allora, per trasformare la richiesta di informazioni agli organi delegati in un obbligo positivo di condotta, questa deve essere «innescata» da indici rivelatori o segnali di pericolo tali da indurre il delegante a ricercare dati informativi ulteriori e non già disponibili.

Si noti peraltro che l'estensione del suddetto potere-dovere informativo non è predefinita né uguale per tutti gli amministratori (D. Regoli, Poteri di informazione e controllo degli amministratori non esecutivi, in Società, Banche e Crisi d'Impresa – Liber amicorum Pietro Abbadessa diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, II, Torino, 2014, 1128), dovendo questa essere riferita alla diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle specifiche competenze di ciascun amministratore, così come richiesto, nella sua nuova formulazione, dall'art. 2392 c.c. (si vedano ancora le già citate Cass. 9 novembre 2015, n. 22848 e Cass. 3 maggio 2016, n. 8730).

La Corte d'Appello di Roma non aveva condotto alcuna indagine su quali fossero le informazioni a disposizione degli amministratori deleganti e sulla sussistenza di segnali di allarme tali da indurli a ricercare informazioni ulteriori. Nessuna verifica quindi sulla sussistenza dell'elemento della colpa nella condotta di inerzia che, in linea con il sistema previgente, era stata invece addossata nella sua mera oggettività. Da ultimo, rileva la Cassazione, la Corte d'Appello non aveva accertato la sussistenza o meno di un rapporto di causalità fra le ipotetiche violazioni ed il danno subito dalla società.

Per tali ragioni, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso degli amministratori deleganti, cassando con rinvio la sentenza di appello.

Osservazioni

Con il provvedimento in commento la Cassazione ha il merito di non limitarsi a ratificare la sostituzione del generale obbligo di vigilanza con il dovere di agire informati, soffermandosi invece nel chiarire l'estensione di quest'ultimo. La soluzione proposta circa il rapporto tra potere e dovere di informazione ai fini dell'esercizio del controllo consente di ricondurre la responsabilità degli amministratori al principio generale della responsabilità per fatto proprio.

L'intervento è da apprezzare perché, individuando comportamenti concretamente esigibili, fornisce agli operatori una corretta ricostruzione dell'attuale sistema di responsabilità degli amministratori di s.p.a. privi di deleghe.

Del resto solo un sistema così delineato può avere buone chances di realizzare l'obiettivo (non agevole) che la Riforma si prefigurava: evitare, da un lato, indebite estensioni della responsabilità agli amministratori non esecutivi (elemento disincentivante ai fini del loro ingresso in organi amministrativi collegiali) e, dall'altro, una totale deresponsabilizzazione dei medesimi.

Guida all'approfondimento

Dottrina

- P. Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle società – Liber amicorum Gian Franco Campobasso (diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale), II, Torino, 2006, 504;

- F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. a dieci anni dalla Riforma del 2003, Torino, 2013, 3;

- P. Montalenti, Amministrazione e controllo nelle società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. Soc., 2013, 54;

- D. Regoli, Poteri di informazione e controllo degli amministratori non esecutivi, in Società, Banche e Crisi d'Impresa – Liber amicorum Pietro Abbadessa, (diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi), II, Torino, 2014, 1128.

- A. Rossi, Il nuovo diritto delle Società, in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 2005, 805;

- R. Sacchi, Amministratori deleganti e dovere di agire in modo informato, in Giur. Comm., II, 385;

- V. Salafia, Amministratori senza deleghe fra vecchio e nuovo diritto societario, in Le Società, 2006, 3, 290 ss.;

- G. M. Zamperetti, Il dovere di informazione endoconsiliare degli amministratori di s.p.a., in Le Società, 2005, 12, 1474;

Giurisprudenza

- Cass. 10 febbraio 2009, n. 9736

- Cass. 11 novembre 2010, n. 22911

- Cass. 27 aprile 2011, n. 9384

- Cass. 9 novembre 2015, n. 22848

- Cass. 3 maggio 2016, n. 8730

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