Mancata esecuzione dei conferimenti

Fabio Signorelli
03 Luglio 2017

L'art. 2466 c.c. stabilisce un particolare iter nell'ipotesi di inadempimento del socio (il socio moroso) in relazione all'obbligo di eseguire i conferimenti promessi. Si tratta della reazione sociale alla mancata esecuzione dei conferimenti da parte dei soci. La sanzione immediata è costituita dal fatto che, decorso inutilmente il termine di trenta giorni dalla diffida ad adempiere da parte degli amministratori, è fatto divieto al socio moroso di partecipare alle decisioni dei soci, non potendo, quindi, né votare in assemblea né esprimere il suo consenso.
Inquadramento

L'art. 2466 c.c. stabilisce un particolare iter, un particolare meccanismo, nell'ipotesi di inadempimento del socio (il socio moroso) in relazione all'obbligo di eseguire i conferimenti promessi. Tale disciplina è applicabile anche quando siano scadute o diventino inefficaci la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria presentata dal socio a garanzia dei suoi conferimenti (anche se resta salva, in tal caso, la possibilità del socio di sostituirle con il versamento del corrispondente importo in denaro).

Si tratta della reazione sociale alla mancata esecuzione dei conferimenti da parte dei soci (Valzer, La mancata esecuzione dei conferimenti, in Dolmetta-Presti (a cura di), Portale (dedicato a), in s.r.l. – commentario, Milano, 2011, 214). La sanzione immediata è costituita dal fatto che, decorso inutilmente il termine di trenta giorni dalla diffida ad adempiere da parte degli amministratori, è fatto divieto al socio moroso di partecipare alle decisioni dei soci, non potendo, quindi, né votare in assemblea né esprimere il suo consenso in caso di consultazione scritta né sulla base del consenso espresso per scritto (ex art. 2479 c.c.). Gli amministratori, decorso inutilmente il predetto termine di trenta giorni dalla diffida ad adempiere, possono, alternativamente, promuovere l'azione giudiziaria per l'esecuzione dei conferimenti oppure vendere coattivamente la quota del socio moroso agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione. La vendita sarà effettuata a rischio e pericolo del socio moroso per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l'acquisto, se l'atto costitutivo lo consente, la quota sarà venduta all'incanto. Se la vendita non è possibile per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio moroso (vertendosi, in tal caso, in un'ipotesi legale di esclusione), trattenendo le somme fino ad allora riscosse (tenuto conto che, com'è noto, all'atto della sottoscrizione, deve essere versato almeno il 25% degli apporti in denaro). In tal caso il capitale sociale deve essere necessariamente ridotto in misura corrispondente, con esclusione della possibilità che la società acquisti quote proprie (come, diversamente, avviene per le azioni nelle società per azioni). Infatti, in nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione (art. 2474 c.c.).

La mora del socio e la vendita della quota

La disciplina della mora del socio è poliedrica e polivalente perché risulta applicabile in tutti i casi di mancata esecuzione dei conferimenti e, dunque, non più solo al caso di mancato pagamento della quota, com'era sotto l'impero del previgente art. 2477 c.c.. La sostituzione del termine pagamento con quello di conferimento meglio s'attaglia all'attuale tipologia di conferimenti previsti dall'art. 2464 c.c.. Pertanto, a tali fini, vengono in considerazione: il mancato versamento nel termine previsto o alla richiesta degli amministratori del 75% del conferimento in denaro o della minor percentuale sottoscritta ma non versata; l'esecuzione di prestazione diversa da quella pattuita, come nel caso di datio in solutum; il perimento del bene in natura conferito in godimento; l'evizione del bene conferito in proprietà o il vizio della cosa conferita; lo scollamento, rilevato dagli amministratori, tra il valore effettivo del bene conferito ed erroneamente stimato ed il maggior importo imputato a capitale; il mancato pagamento del credito ceduto sia da parte del terzo che da parte del socio conferente; la mancata costituzione della polizza o della garanzia, la loro scadenza o inefficacia, tanto nel caso che assicurino il versamento iniziale del 25% del conferimento in denaro, come nel caso che siano prestate a fronte del conferimento d'opera o di servizi (Pasquariello, I conferimenti, in Bione-Guidotti-Pederzini (a cura di), La nuova società a responsabilità limitata, in Galgano (diretto da) Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 2012, LXV, 52).

In tutti i casi di mancato conferimento nei termini sopra chiariti, la società può avvalersi, a sua completa discrezione, della facoltà di scelta tra l'azione per l'esecuzione dei conferimenti dovuti e la vendita coattiva della quota (analogamente a quanto previsto, in tema di vendita, dall'art. 1515 c.c.). Il meccanismo messo a punto dal legislatore con l'art. 2466 c.c. prevede che gli amministratori, naturalmente in nome, per conto e nell'interesse della società, inviino una diffida al socio moroso contenente l'invito ad eseguire la prestazione promessa entro il termine dilatorio di trenta giorni, prescindendo dalla scelta operativa che sarà fatta dalla società; il predetto termine, poiché previsto nell'interesse del socio moroso, potrà essere, eventualmente, prorogato ma mai abbreviato. Qualora gli amministratori non ritengano utile promuovere l'azione giudiziaria per il conseguimento dei conferimenti dovuti, è previsto il ricorso alla vendita della quota del socio moroso prima agli altri soci e, successivamente, in caso di mancanza di offerte da parte di questi ultimi, e sempre che l'atto costitutivo lo permetta, all'incanto. Si tratta, di tutta evidenza, di una vendita coattiva, sia perché è effettuata da un soggetto terzo diverso dal legittimo proprietario sia perché avviene contro il suo volere, in virtù di un potere che promana direttamente dalla legge, non essendo tale vendita disposta né dalla pubblica amministrazione né da un giudice, ma da un atto negoziale posto in essere da un soggetto privato. E' qui necessario porsi l'interrogativo se la vendita coattiva possa essere effettuata anche nel caso in cui la quota del socio moroso sia, per determinazione dell'atto costitutivo, intrasferibile. Nella scia dell'opinione dominante prima della riforma del diritto societario, la risposta negativa sembra attualmente auspicabile. Ed infatti se l'espropriabilità della quota da parte del creditore particolare del socio prevista dall'art. 2471 c.c. è nell'interesse di quest'ultimo che, normalmente, non è parte del contratto di società ed è estraneo alla volontà espressa nella clausola statutaria, che, dunque, gli è inopponibile, non così è possibile dire della società la quale, pur agendo nella veste di creditore moroso, è contemporaneamente destinataria degli effetti della volontà manifestata al proprio interno in sede di stipulazione dell'atto costitutivo o di modifica del medesimo (Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Schlesinger (fondato da) e Busnelli (diretto da), Il codice civile – Commentario, Milano, 2010, t. 1, 404 ess.). Lo stesso dicasi anche per il caso di vendita all'incanto di partecipazioni che sono trasferibili ma non liberamente, in virtù di cause di prelazione o di gradimento.

Per il caso di fallimento della società, l'art. 150 l. fall. prevede che il giudice delegato, su proposta del curatore, possa ingiungere con decreto ai soci a responsabilità limitata e ai precedenti titolari delle quote di eseguire i versamenti ancora dovuti, quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento.

La vendita della quota avviene a rischio e pericolo del socio moroso, posto che gli effetti patrimoniali che ne derivano incidono direttamente sulla sua sfera patrimoniale. Infine, l'espressione per cui il prezzo della vendita deve avere come riferimento il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato sembra confermare che la vendita abbia un effetto purgativo nel senso che l'acquirente acquisterà la quota del socio moroso liberata dall'obbligo del versamento dei centesimi ancora dovuti, dovendosi considerare il prezzo pattuito comprensivo anche di questi ultimi e ciò perché se l'ultimo bilancio approvato deve portare all'attivo i crediti verso i soci per i versamenti ancora dovuti, il valore della quota non potrà non essere quello pieno, perché i centesimi da riscuotere sono già calcolati all'attivo del patrimonio, sia pur sotto forma di crediti (Santini, Art. 2466 - Mancata esecuzione dei conferimenti, in Scialoja-Branca-Galgano, Commentario del Codice civile e codici collegati, in Santini-Salvatore-Benatti-Paolucci, Società a responsabilità limitata, Bologna, 2014, 265).

La vendita della quota ai soci

L'art. 2466 c.c. prevede attualmente, avendo il legislatore abrogato il diritto di prelazione a favore dei soci, la possibilità per gli amministratori di vendere la quota del socio moroso agli altri soci in proporzione della loro partecipazione. Molto si è dibattuto circa la valenza del verbo ausiliare “possono, da intendersi ora come mera facoltà per gli amministratori di vendere ai soci, ora, invece, come necessità di esperire tale vendita una volta ultimato l'iter previsto dalla legge, risultando intimamente contraddittorio che gli amministratori siano obbligati a diffidare il socio moroso e siano poi autorizzati a non dar corso alle relative procedure di legge (Zanarone, Della società a responsabilità limitata, op. cit., 408 e ss.).

Dopo la riforma, l'invito ad offrire può essere rivolto solo ed esclusivamente agli altri soci, stante la chiarezza e l'univocità delle espressioni usate, e la vendita, esattamente come nel passato, si perfezionerà soltanto con l'accettazione delle offerte da parte della società. A questo punto ci si deve chiedere se la vendita in danno della quota del socio moroso, che è ancorata, come visto, al valore dell'ultimo bilancio approvato, possa, viceversa, avvenire ad un valore inferiore o superiore a dette risultanze di bilancio La risposta sembrerebbe essere negativa in entrambi i casi. Se fosse ammissibile una vendita ad un valore inferiore (al di là del fatto che manchi una previsione come quella di cui all'art. 2344 c.c. in tema di società per azioni), essa sarebbe eccessivamente penalizzante per il socio moroso che già deve scontare una scelta legislativa “al ribasso”, tenuto anche conto che la norma in esame è concepita a sua protezione al fine di evitare abusi degli amministratori (Tassinari, Sub art. 2466, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società di capitali. Commento sistematico al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 aggiornato al d. lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, Padova, 2005, 1801). Parimenti, per il caso di vendita ad un valore superiore, nonostante la già citata diversa norma di cui all'art. 2344 c.c. in tema di società per azioni, che non vieta un'offerta per un prezzo superiore, in quanto il riferimento “secco” (l'espressione è di Zanarone, Della società a responsabilità limitata, op. cit., 415) dell'art. 2466 c.c. al valore di bilancio, sembra non lasciare spazio ad interpretazioni analogiche.

La vendita della quota all'incanto

In assenza di offerte provenienti anche da uno solo degli altri soci, gli amministratori dovranno procedere alla vendita all'incanto ma solo, come recita lo stesso art. 2466 c.c., se l'atto costitutivo lo consente. La vendita all'incanto rappresenta un'offerta al pubblico, e costituisce un'evidente eccezione al disposto di cui all'art. 2468 c.c. che vieta che le quote possano formare oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Il requisito della pubblicità deriva dall'art. 83, comma 2, disp. att. c.c., laddove stabilisce che la vendita all'incanto deve essere annunciata con le forme di una pubblicità commerciale adeguata alla natura ed al valore delle cose poste in vendita. Alla vendita all'incanto della quota del socio moroso si applicheranno le regole previste per la vendita all'incanto di cose mobili pignorate ai sensi degli artt. 534 e ss. c.p.c.,: necessità di pubblicizzare luogo, giorno ed ora dell'incanto; determinazione del prezzo base; aggiudicazione del bene al maggiore offerente; nuovo incanto se il primo è andato deserto; redazione e deposito del processo verbale di incanto e, soprattutto, che la vendita debba essere fatta per contanti. Il disposto in esame va inteso non nel senso che si procede all'incanto solo se non sono pervenute offerte da parte degli altri soci, ma si deve procedere all'incanto anche nel caso in cui siano pervenute offerte da parte dei soci ma tali offerte non siano sufficienti per coprire l'intera quota da vendere, ovvero nel caso in cui siano prevenute offerte ad un prezzo più basso di quello imposto dalla norma. Va precisato che alla vendita all'incanto può provvedere direttamente la società per il tramite dei suoi amministratori, senza necessità d'intermediari. Come già precedentemente chiarito con riferimento all'offerta di vendita ai soci, la base d'asta dell'incanto dovrà essere pari al valore risultante dall'ultimo bilancio approvato, confermandosi così anche l'effetto purgativo della vendita all'incanto, in virtù del quale, qualora il ricavato fosse inferiore al debito del socio moroso, solo quest'ultimo risponderà per la differenza, mentre l'aggiudicatario andrà esente da ogni responsabilità.

L'esclusione del socio

Qualora non siano pervenute offerte d'acquisto da parte dei soci e l'incanto, ove, naturalmente, effettuato (stante la necessaria previsione statutaria), sia andato deserto, il terzo comma dell'art. 2466 c.c. impone agli amministratori (non si tratta di una facoltà, come accadeva prima della riforma) di procedere all'esclusione del socio moroso, trattenendo le somme riscosse. L'esclusione, naturalmente, deve essere portata a conoscenza del socio moroso ed acquista efficacia nel momento in cui giunge all'indirizzo del socio (risultante dal registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2479-bis, comma 1, c.c.), in applicazione dei principi generali stabiliti dagli artt. 1334 e 1335 c.c.. Il diritto di ritenzione delle somme riscosse corrisponde, a tutti gli effetti, ad una penale ex lege che, con riferimento all'art. 1382 c.c., non essendo (più) prevista la risarcibilità del danno ulteriore (diversamente da quanto accade per le società per azioni secondo la previsione dell'art. 2344, comma 2, c.c.), limita il risarcimento alle sole somme riscosse.

L'esclusione comporterà, necessariamente, l'obbligo di riduzione del capitale sociale in misura corrispondente alla quota del socio escluso. Si tratterà di una riduzione nominale e non reale del capitale sociale, posto che non si attuerà una restituzione di conferimenti ma perché i conferimenti non corrispondono al capitale sottoscritto. Nel procedere alla predetta riduzione dovranno essere rispettate tutte le formalità previste dalla legge per la riduzione del capitale per perdite (Nobili, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 3, Torino, 2007, 344), mediante deliberazione dell'assemblea con le maggioranze previste dall'art. 2479-bis, comma 3, c.c.. Va da sé che il socio escluso potrà opporsi giudizialmente all'esclusione ma solo dimostrando che vi siano state violazioni inerenti i presupposti di tale esclusione, vale a dire, secondo un parametro diacronico, il suo inadempimento, la diffida ad adempiere, l'offerta agli altri soci e, ove possibile, la vendita all'incanto e, finalmente, in assenza di acquirenti, la sua esclusione. Va qui segnalato un problema estremamente delicato relativo all'eventuale impugnativa da parte del socio escluso quando la competenza a deliberare l'esclusione spetti all'organo amministrativo perché non appare sicuramente applicabile per analogia l'art. 2388 c.c. previsto per le società per azioni. Se ne dovrebbe dedurre che il socio escluso debba ricorrere alla tutela ordinaria citando in giudizio la società con le forme dell'ordinario processo di cognizione (Zanarone, Della società a responsabilità limitata, op. cit., 429 e ss.; Galletti, Sub art. 2473-bis, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società di capitali, op. cit., 1918 e ss.).

Gli effetti della mora del socio

L'art. 2466, comma 4, c.c. precisa, diversamente dal passato, che il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci. Tale divieto che sembra costituire un'applicazione in sede societaria dell'exceptio inadimplenti contractus, si riferisce anche ai casi nei quali il voto dovesse spettare al terzo a causa di pegno, usufrutto, sequestro, pignoramento o fallimento. La dottrina si è chiesta se gli effetti e le conseguenze della mora scattino solo dopo che il socio interessato è stato diffidato e siano inutilmente trascorsi i trenta giorni previsti dall'art. 2466, comma 1, c.c., giungendo alla conclusione che sia sufficiente il semplice inadempimento (Tassinari, Sub art. 2466, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società di capitali, op. cit., 1803), poiché la diffida è rivolta ad un socio già moroso e costituisce l'atto iniziale del complesso iter per la sua esclusione (seppur in materia di società per azioni: Cass., 21 febbraio 1995, n. 1874). Per ragioni di coerenza e di logica il divieto si dovrebbe estendere anche al mero intervento in assemblea, tenuto conto che il divieto di voto potrebbe risultare pesantemente frustrato permettendo al socio moroso di influenzare positivamente o negativamente le decisioni dei soci. La partecipazione del socio moroso, in applicazione analogica dell'art. 2368, comma 3, c.c., è computata ai fini della regolare costituzione dell'assemblea ma non del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richieste per l'approvazione delle deliberazioni. Parimenti sospesi sono i diritti patrimoniali come il diritto d'opzione o di prelazione mentre i dividendi eventualmente conseguiti saranno oggetto di compensazione con il debito del socio moroso.

L'inoperatività sopravvenuta della polizza assicurativa o della garanzia bancaria

L'ultimo comma dell'art. 2466 c.c. estende la disciplina del socio moroso alle ipotesi in cui per qualsiasi motivo siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell'art. 2464 c.c., salvo che il socio le sostituisca con il versamento del corrispondente importo in denaro. Anche se non v'è dubbio, che almeno apparentemente, la norma si riferisca ad entrambe le ipotesi contemplate dal predetto art. 2464 c.c., vale a dire sia a quella prevista dal comma 4 – stipula di una polizza d'assicurazione o di una fideiussione bancaria in sostituzione dei centesimi da versare -, sia quella prevista dal comma 6 – stipula di una polizza d'assicurazione o di una fideiussione bancaria a garanzia degli obblighi del socio aventi ad oggetto la prestazione d'opera o di servizi a favore della società -, la dottrina si è divisa sul punto, ritenendo inapplicabile detta norma alla stipulazione di polizze o fideiussioni sostitutiva dei versamenti in denaro di cui all'art. 2464, comma 4, giusta la funzione non garantistica ma solutoria dell'obbligo di versamento che tale stipula avrebbe (Zanarone, Della società a responsabilità limitata, op. cit., 393; l'Autore, tuttavia, sottolineando i rischi di un'operazione che definisce di ortopedia legislativa, sembra non concordare affatto con questa interpretazione).

Altri, al contrario, ritengono che la norma trovi applicazione solo rispetto alle polizze o alle garanzie prestate a garanzia sostitutiva del versamento in denaro (Tassinari, Sub art. 2466, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società di capitali, op. cit., 1804), mentre, al contrario c'è chi ritiene che la norma si applichi solo alle garanzie sostitutive di obblighi fi facere (Santoro, I conferimenti e le quote nelle società a responsabilità limitata, in A.a. V.v., la nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, Milano, 2003, 97). Appare, tuttavia, molto convincente la tesi di chi ritiene che, quali che siano le caratteristiche e la disciplina delle garanzie di cui all'art. 2466, commi 4 e 6, c.c., non si può escludere ex ante che le stesse, per una serie imponderabile di variabili, si rivelino ex post inidonee allo scopo per il quale sono state prestate, con la logica conseguenza per la quale nel momento in cui si pone a carico del socio che ha eseguito il conferimento il rischio della scadenza o della sopravvenuta inefficacia della garanzia, la norma impone al predetto socio l'obbligo di mantenere valida ed efficace la garanzia stessa, pena la sua esclusione (Cacchi Pessani, Sub art. 2466, in Bianchi (a cura di), Società a responsabilità limitata, in Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008, 222 ss.).

Riferimenti

Normativi

  • artt. 1382, 2368, 2388, 2464, 2466, 2468, 2471, 2474, 2477 (ante riforma), 2479-bis, c.c.;
  • 83 disp. att. c.c.;
  • 534 c.p.c.;
  • 150 l. fall.
Sommario