Sezioni Unite n. 9140/2016: perché non si scioglie ancora il nodo della claims made

04 Luglio 2016

Il 6 Maggio scorso, le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono pronunciate per dirimere la vexata questio della legittimità, all'interno del nostro sistema giuridico, della clausola nota come claims made, o a “richiesta fatta”. La sentenza, pur prendendo le mosse da un caso di malpratica medica, impatta una vasta gamma di prodotti assicurativi. La clausola in esame è infatti di uso assai comune nell'assicurazione della responsabilità civile professionale, ma anche della responsabilità da circolazione di prodotti difettosi, della responsabilità di amministratori e sindaci di società e persino nelle coperture per l'inquinamento.
Premessa

Il 6 Maggio scorso, le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono pronunciate per dirimere la vexata questio della legittimità, all'interno del nostro sistema giuridico, della clausola nota come claims made, o a “richiesta fatta” (v. Cass., Sez. Un., n. 9140/2016, F. Rosada, Claims made “impura” e RC professionale: un connubio in crisi, M. Rodolfi, La claims made: tra liceità e meritevolezza, quanti problemi per gli operatori del diritto, il legislatore e le associazioni di categoria, in Ri.Da.Re.).

La sentenza, pur prendendo le mosse da un caso di malpratica medica, impatta una vasta gamma di prodotti assicurativi, poiché questo tipo di trigger (letteralmente, grilletto) che innesca il funzionamento della copertura assicurativa, determinando la validità delle richieste di risarcimento presentate nel corso della durata della polizza, è di uso assai comune nell'assicurazione della responsabilità civile professionale, ma anche della responsabilità da circolazione di prodotti difettosi, della responsabilità di amministratori e sindaci di società e persino nelle coperture per l'inquinamento.

La claims made, in pratica, trova applicazione ogni qual volta si esplichi un problema di lunga o lunghissima latenza, quando cioè è previsto che un certo lasso di tempo si interponga tra il fatto o l'omissione che hanno generato il danno ed il momento in cui lo stesso è venuto alla luce, determinando la richiesta di risarcimento da parte della vittima.

E infatti, molti anni addietro (si ritiene nei primi anni '80), quando ancora tale tipo di coperture non si era diffuso in Italia, questo dispositivo fu introdotto nei paesi di diritto anglosassone, proprio per fare fronte al marcato disallineamento temporale esistente tra la genesi ed il culmine dello sviluppo del danno: il momento topico in cui l'attore, resosi conto del torto subito ed individuato il nesso causale con l'evento generatore, presenta la richiesta di risarcimento all'assicurato.

Quest'ultimo, il più delle volte ignaro delle conseguenze che tale episodio ha a suo tempo determinato, ha così l'opportunità di fronteggiare la domanda di ristoro con i mezzi di cui dispone in quel momento. L'intera architettura temporale del danno viene in tal modo riallineata, venendo la risposta dell'assicurato attualizzata con l'esigenza della vittima.

Molte, poi, le ragioni pratiche che giustificano questa forma di assicurazione, per la difficoltà oggettiva di reperire, a distanza anche di molti anni, le condizioni vigenti al momento in cui il danno si è originato, e per la possibilità (tutt'altro che remota) che l'assicuratore in corso a quel tempo non operi più nel mercato di riferimento. Senza tener conto della congruità dei massimali assicurati e della conseguente necessità di aggiornarli alla data della presentazione della domanda di risarcimento.

Il regime temporale della claims made ha infine il merito di permettere all'assicuratore un miglior controllo sullo sviluppo del danno nei rami long tail, consentendogli una più accurata allocazione del capitale, allo scopo di contenere il cosiddetto “reserve risk e ridurre il fabbisogno di capitale previsto, ad esempio, quale requisito ai fini di Solvency II.

Ed è probabile che quest'ultimo punto abbia attirato su questa forma di assicurazione gli strali di una certa parte della magistratura italiana, nel timore che si manifestasse un «significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» a carico del consumatore, laddove l'assicuratore godrebbe invece di un vantaggio.

Pertanto, nel corso degli anni, questa clausola, che viene utilizzata senza alcun problema in quasi tutti i mercati assicurativi del mondo, ha attraversato da noi alterne vicende.

Sarebbe risultata atipica, se non certamente illegittima, perché contraria al disposto dell'art. 1917 c.c. che – ai fini dell'assicurazione della responsabilità civile – chiaramente indica come coperti i fatti accaduti durante il tempo dell'assicurazione.

Sarebbe stata vessatoria, perché avrebbe limitato l'operatività del contratto a danno dell'assicurato ed avrebbe perfino violato il disposto dell'art. 1895 c.c., in quanto avrebbe di fatto coperto avvenimenti la cui origine si collocava prima della stipulazione del contratto, eludendo in pratica il principio indennitario su cui fonda l'intero apparato del sistema assicurativo (Cass. civ., 13 marzo 2014, n. 5791).

Lungamente atteso da tutti gli operatori del settore giunge quindi, al termine di un'estenuante quanto discorde trafila di sentenze delle corti di ogni grado, l'arresto delle Sezioni Unite, che viene per giunta a cadere in prossimità di due altrettanto lungamente attesi interventi del legislatore in materia di responsabilità: il disegno di legge “Gelli” relativo alle professioni mediche ed il decreto attuativo della l. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense.

Provvedimenti, questi, che riguardano l'assicurazione di una parte cospicua delle categorie professionali italiane, di grande rilievo anche sul piano economico, con più di 400.000 iscritti nel settore medico e 200.000 in quello legale, pari ad oltre il 35% del totale dei professionisti nel nostro paese.

Provvedimenti volti a regolamentare la materia della responsabilità civile di queste professioni, tradizionalmente e quasi universalmente coperta su base claims made.

I tre tempi di una sentenza “caleidoscopica”

Potremmo individuare tre fasi principali, distinte ma integrate l'una con l'altra, a formare il complesso quadro di questa sentenza che qualcuno ha già definito come “caleidoscopica” (F.Martini, su Guida al Diritto).

  1. Nella prima vengono confutate, una ad una, in un'ampia e preziosa disamina delle motivazioni storicamente addotte per controbatterla, le pregiudiziali finora mosse in ambito giuridico al funzionamento della claims made. Non di clausola illegittima, dunque, si tratta per le Sezioni Unite della Cassazione, né vessatoria, e neppure contraria al principio che vedrebbe come non risarcibile un danno le cui premesse si sarebbero verificate assai prima della stipula del contratto di assicurazione. Ci troviamo dunque di fronte ad una vittoria senza ombre degli operatori del settore assicurativo, nei confronti di quella magistratura che per anni ha avversato l'applicazione di questo dispositivo di polizza?
  2. Nella seconda parte della sentenza i consiglieri delle Sezioni Unite operano un approfondimento di tipo tecnico sul funzionamento di questa forma di assicurazione, individuando due tipi di claims made. Nella sua formulazione “pura” la clausola prevedrebbe una retroattività illimitata. Sarebbero dunque valide tutte le richieste di risarcimento pervenute in vigenza di polizza, qualunque sia la data di accadimento del fatto o dell'omissione cui si riferiscono, laddove la claims madeimpura” limiterebbe il periodo di retroattività del contratto ad un preciso numero di anni (solitamente da 2 a 5 anni, prima della decorrenza della polizza).
  3. Ma ecco che a questo punto la sentenza prende una piega inaspettata perché, soprattutto ma non soltanto nella sua forma “impura”, il dispositivo della claims made, seppur legittimo, potrebbe risultare immeritevole allo scrutinio operato sul caso concreto dal giudice di merito. Con argomentazione invero meno elegante, rispetto alla preziosa esposizione che ha fin qui caratterizzato l'intero impianto della sentenza, la Suprema Corte assegna infatti al magistrato chiamato a pronunciarsi sulla singola evenienza, il compito di individuare eventuali “buchi di copertura”, in grado di porre a repentaglio la giustezza, per così dire, dello strumento assicurativo. In presenza, ad esempio, di un obbligo ad assicurarsi, com'è ora il caso della responsabilità civile professionale, il vero fuoco della copertura va posto infatti non tanto sull'assicurato, quanto sulla vittima dell'illecito. È pertanto in quest'ottica che assume rilievo la facoltà del magistrato, ormai “assurta a diritto vivente”, di intervenire sullo statuto negoziale del contratto, integrandolo ed eventualmente modificandolo, per garantirne l'equità.
Il ruolo del giudice di merito ed il ritorno della “loss occurrence”

Il disposto della claims made andrà perciò sempre valutato dal giudice di merito, il quale potrà decretarne la «nullità per difetto di meritevolezza», qualora lo stesso prevedesse particolari criticità o mancanze a carico del consumatore.

«Quanto poi agli effetti della valutazione di immeritevolezza, essi, in via di principio, non possono non avere carattere reale, con l'applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile e cioè della formula loss occurrence».

In pratica, decretata la nullità della clausola claims made, questa verrebbe automaticamente sostituita con la “loss occurrence”, basando la validità della richiesta di risarcimento non più sulla data della sua presentazione, ma su quella di accadimento del danno.

A questo punto, però, l'elegante logica su cui poggia l'intero impianto della sentenza non convince.

Al di là di ogni considerazione di tipo giuridico o dottrinario, infatti, è sul piano pratico che la questione resta di difficile applicazione.

L'uso della claims made, come si è detto, è mutuato dalla necessità di attualizzare le coperture caratterizzate da lunga latenza, o long tail.

Siamo dunque certi che rimandare l'assicurato e la vittima dell'illecito ad un contratto probabilmente non più in corso da molti anni (decenni, forse) sia la strada migliore per salvaguardarne gli interessi?

Mettiamo che una compagnia di assicurazione riceva oggi una richiesta di risarcimento su polizza di responsabilità professionale sottoscritta su base claims made, con cinque anni di retroattività, e che la richiesta si riferisca ad un illecito occorso otto anni or sono.

Secondo i giudici della suprema corte, ci troveremmo di fronte ad una clausola impura ed immeritevole, essendo il periodo di retroattività limitato in modo tale da determinare un “buco di copertura” nel contratto di assicurazione. Un ritorno alla formulazione della polizza su base loss occurrence, a questo punto, comporterebbe l'uscita di scena dell'assicuratore e la necessità da parte dell'assicurato di rivolgersi a chi copriva il rischio al tempo dell'illecito.

Ma negli ultimi anni sono moltissime le compagnie di assicurazione che hanno abbandonato il campo della responsabilità professionale, soprattutto della malpratica medica, ed è possibile che tale assicuratore non sia più presente nel nostro mercato.

L'assicurato, inoltre, dovrebbe aver conservato copia della polizza in corso a quel tempo, il che rappresenta un caso statisticamente raro. Un rimando a quell'assicuratore risulterebbe pertanto poco pratico: perché dunque non limitarsi ad incoraggiare l'adozione di una retroattività illimitata, come d'altra parte è d'uso in Francia ed in altri mercati? Sarebbe questa una soluzione meno artificiosa e più funzionale, per casi come quello evidenziato, in luogo dell'insidioso ricorso agli «spunti esegetici offerti dall'art. 1419 c.c., comma 2, nonché del principio, ormai assurto a diritto vivente, secondo cui il precetto dettato dall'art. 2 Cost., ..... consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto” (rif. Cass. civ., 6 maggio 2016, n. 9140 con nota di M. Hazan, La “claims made” e' salva! Ma non troppo......, in Ri.Da.Re.).

Anche su questo punto, però, bisognerebbe operare dei distinguo.

In conclusione

Una delle ragioni per cui la formulazione della claims made risulta particolarmente gradita agli operatori del settore, siano essi assicuratori o intermediari, ma anche agli assicurati, consiste nella possibilità di modulare l'efficacia della copertura in base alle reali esigenze delle parti coinvolte.

Da una parte, l'assicuratore ha la possibilità di calibrare il prezzo della copertura assegnandole il premio ritenuto più congruo per la gestione della lungolatenza del rischio, dall'altro, l'assicurato può risparmiare sul costo della polizza, in base all'effettiva esposizione rappresentata dalla sua attività. Si pensi, ad esempio, al caso di un giovane professionista, per il quale la spesa rappresentata da una copertura con retroattività illimitata risulterebbe tanto gravosa quanto inutile. Ma si pensi pure alle infinite variabili che caratterizzano la valutazione del rischio di un clinico, a seconda che presti la sua opera presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, con attività intramuraria o extramuraria ed a seconda che lo stesso abbia cambiato specializzazione nel corso degli anni, passando da un'attività meno “pericolosa” ad una statisticamente più soggetta a richieste di risarcimento.

Spingendo, di fatto, le compagnie assicurative ad offrire esclusivamente polizze con retroattività illimitata non rischiamo di limitare oltre misura la libertà di negoziazione tra le parti, muovendoci troppo oltre nel delineare un intervento correttore da parte della magistratura? È un fatto che, di fronte ad una simile eventualità, si siano levate forti e numerose le proteste degli intermediari e degli stessi assicurati.

Da ultimo, è utile rammentare come questa sentenza non tarderà a spiegare i suoi effetti sugli equilibri già precari di un mercato assicurativo costretto oggi a fare i conti con regole sempre più stringenti, sia sul piano economico (nell'ottica già menzionata di Solvency II), che su quello normativo.

Ad oggi è praticamente impossibile trovare compagnie di riassicurazione disposte a supportare polizze di responsabilità professionale che non funzionino su base claims made, a causa della difficoltà a controllare il cosiddetto “reserve risk” ed alla più marcata “alea” circa gli esiti di un contenzioso giudiziale già tanto complesso e corposo da determinare l'abbandono del mercato da parte di molti sottoscrittori.

Per poter mantenere a livelli accettabili il proprio margine di solvibilità, elemento preminente per la loro sopravvivenza, gli assicuratori sono costretti ad impiegare capitali tanto più cospicui quanto più ampia è la finestra temporale che caratterizza il loro impegno economico. Pertanto, in mancanza del supporto finanziario offerto dalla riassicurazione in questo frangente, non potrà che verificarsi un ulteriore impoverimento del panorama assicurativo dei rischi professionali, con l'unica conseguenza di un inasprimento dei prezzi, proprio mentre il legislatore compie ogni sforzo per calmierarli, come a più riprese dichiarato nelle motivazioni sottese alla stesura del disegno di legge Gelli sulle professioni mediche.

In conclusione, quindi, l'arresto n. 9140/2016 delle Sezioni Unite consegna nelle mani della magistratura un compito davvero impegnativo: il dovere, cioè, di valutare, oltre alla questione di merito, anche la meritevolezza di uno strumento assicurativo il cui mancato uso implica conseguenze assai gravi sul piano della sostenibilità dei costi di coperture assicurative che sono in gran parte obbligatorie per legge e della sopravvivenza stessa del mercato che dovrebbe garantirle.

L'attesa degli operatori del settore per una decisione che sciogliesse il nodo gordiano che ha lungamente caratterizzato l'applicazione della claims made nel nostro mercato non sembra quindi essere stata soddisfatta, mentre risulta abbastanza prevedibile un aggravio ulteriore del contenzioso che caratterizza l'assicurazione dei rami long tail, sia sul piano giudiziario che su quello assicurativo.

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