Il risarcimento del danno del creditore e l’uso dell’ordinaria diligenza

Redazione Scientifica
05 Maggio 2014

Quale condotta si esige dal creditore affinché possa considerarsi non escluso, ex art. 1227 co. 2 c.c., il risarcimento del danno che il medesimo avrebbe potuto evitare con l'uso dell'ordinaria diligenza? A quali condizioni assumono rilievo processuale i fatti che escludono il risarcimento ex art. 1227 co. 2 c.c.?

Quale condotta si esige dal creditore affinché possa considerarsi non escluso,

ex art. 1227 co. 2 c.c.

, il risarcimento del danno che il medesimo avrebbe potuto evitare con l'uso dell'ordinaria diligenza? A quali condizioni assumono rilievo processuale i fatti che escludono il risarcimento

ex art. 1227 co. 2 c.c.

?

L'istituto del concorso di colpa del danneggiato trova il suo tradizionale campo di applicazione tanto nell'ambito della responsabilità da inadempimento contrattuale (art. 1227 c.c.) quanto nell'ambito di quella aquiliana, in forza del richiamo operato dall'art. 2056 c.c.

Nell'interpretazione giurisprudenziale della norma - il cui primo comma disciplina il concorso del fatto colposo del creditore nella causazione del danno, laddove il secondo concerne il danno che il medesimo avrebbe potuto evitare con l'uso dell'ordinaria diligenza - è di recente prevalso l'indirizzo che vede nella stessa affermato non il principio di auto-responsabilità del soggetto danneggiato, rilevante sul piano dell'imputabilità del fatto illecito, ma quello della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Cass. civ., S.U., sent., 21 novembre 2011, n. 24406).

Secondo

Cass.

c

iv., Sez. II, sent.

,

28

novembre

2013

n. 26639

, l'

art. 1227 co

mma

2

c.c.

- nell'escludere il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare con l'uso della normale diligenza - impone allo stesso non già solo un comportamento meramente inerte a fronte dell'altrui comportamento dannoso, ma una condotta attiva o positiva, funzionale a limitare le conseguenze dannose di detto comportamento.

Fin qui la sentenza in commento si pone esattamente nel solco delle pronunce che la precedono, sul presupposto per cui il dovere di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c. impone al creditore di intervenire per evitare un danno che il debitore dovrebbe risarcirgli, nei limiti in cui ciò non involga un apprezzabile sacrificio (ex alteris, Cass. Civ., sent. n. 20684/2009, che evidenzia anche come l'onere della prova della gravosità eccessiva ricada sul creditore). Il dovere di correttezza, invero, quando posto a carico del debitore impone allo stesso di preservare l'utilità del creditore; quando posto a carico del creditore impone allo stesso di salvaguardare il debitore dai pregiudizi che nello svolgimento del rapporto potrebbero aggravare la sua posizione.

L'aspetto che allontana la sentenza in commento dalle precedenti è quello che concerne i presupposti di rilevanza, sul piano del processo, del comportamento contrario a correttezza.

Secondo Cass. 26639/2013, infatti, il giudice di merito può accertare il difetto di ordinaria diligenza da parte del creditore anche in difetto di un'espressa istanza del debitore in tal senso, sol che lo stesso abbia assolto all'onere di rituale e puntuale allegazione dei fatti che si prestino, una volta provati, a costituire il dato incontroverso dal quale desumere, in sede decisoria, le conseguenze rilevanti ai fini della liquidazione del danno. Nell'affermare ciò, si richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo cui – se il potere di allegazione compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (con le relative preclusioni e decadenze) – il potere di rilevazione compete alla parte (e soggiace alle preclusioni previste per le attività di parte) nei soli casi in cui la manifestazione della relativa volontà assurge ad elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile la sua iniziativa, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. civ., S.U., sent., 3 febbraio 1998, n. 1099 come espressamente richiamata, da ultimo, da Cass. civ., sez. II, sent., 28 novembre 2013, n. 26639, cit.).

Ebbene, l'affermazione di cui alla sentenza in commento non è condivisibile - proprio alla luce dei principi affermati dal richiamato arresto delle Sezioni Unite - se si tiene conto che l'ipotesi dell'art. 1227 comma 2 c.c., è radicalmente diversa da quella disciplinata dal primo comma della medesima norma. Infatti, mentre in quest'ultimo caso il giudice deve eseguire d'ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile, sul piano causale, la sua colpa concorrente, al contrario la prima situazione costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto da parte del debitore, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (cfr. Cass.

c

iv., Sez.

III, sent., 8

luglio

2010, n. 16149

;

Cass.

c

iv.,

s

ez. III, sent., 27

giugno

2007, n. 14853

, in Giust. civ. Mass., 2007, 6;

Cass. civ., Sez.

II, sent., 5
aprile 2011, n. 7771, in Giust. civ. Mass., 2011, 4, 545).

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