L’applicazione della negoziazione assistita alle controversie in materia di responsabilità da circolazione di veicoli e natanti

Michele Ruvolo
09 Gennaio 2015

Dopo avere tratteggiato i caratteri essenziali del nuovo istituto della negoziazione assistita, vengono nel contributo esaminate le principali questioni, processuali e non, riguardanti l'appena introdotta condizione di procedibilità (costituita dal previo esperimento del procedimento di negoziazione assistita) delle domande giudiziali relative alle cause in tema di sinistri stradali.
Cos'è la negoziazione assistita?

Nella Gazzetta ufficiale del 10 novembre è stata pubblicata la legge n. 162/2014 (che ha convertito in legge il d.l. n. 132/2014) ed ha, tra le altre cose, introdotto, quale nuovo ed ulteriore strumento per la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale, la procedura di negoziazione assistita da un avvocato.

Così come è stato per la mediazione, anche in questo caso l'obiettivo è di definire parte delle controversie fuori dalle aule giudiziarie.

La negoziazione assistita è un procedimento che può condurre prima alla sottoscrizione ad opera delle parti di un accordo (c.d. convenzione di negoziazione) mediante il quale esse convengono di cooperare per risolvere in modo stragiudiziale e tramite avvocati una lite che è tra di loro insorta e che riguarda diritti disponibili, nonché, in un secondo momento, alla successiva attività di negoziazione vera e propria, che può sfociare in un altro accordo (compositivo della lite) che, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il procedimento di negoziazione assistita può essere facoltativo o obbligatorio. Nel primo caso il ricorso al procedimento in questione viene liberamente scelto dalle parti. Rientra nella negoziazione assistita facoltativa anche quella in tema di famiglia.

La negoziazione assistita è obbligatoria ex lege, invece, nei casi in cui essa è imposta dalla legge.

La disciplina della negoziazione assistita è in molti suoi punti strutturata secondo quanto già previsto nel d.lgs. n. 28 del 2010 in tema di mediazione.

Come si svolge il procedimento di negoziazione assistita?

Quando viene conferito l'incarico all'avvocato questi deve informare (e ciò costituisce dovere deontologico, senza comunque conseguenze processuali) il proprio cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita. A questo punto se la parte sceglie, nei casi di negoziazione facoltativa, di fare ricorso al procedimento di negoziazione, allora l'avvocato (e può trattarsi anche di cd. avvocato stabilito ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, e ciò in ossequio a quanto affermato dalla Corte Giust. UE, Grande Sezione, sentenza 17 luglio 2104) formulerà alla controparte un invito a stipulare una convenzione di negoziazione indicando l'oggetto della controversia (che non può concernere né diritti indisponibili né cause lavoristiche) e avvertendo l'altra parte del fatto che la sua eventuale mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto potrebbe in futuro essere valutato dal giudice ai fini della determinazione del regime delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 c.p.c. (in materia di responsabilità aggravata della parte) e 642, comma 1 c.p.c.(relativo ai casi in cui il giudice deve concedere l'esecuzione provvisoria al decreto ingiuntivo). Tale ultimo avvertimento è finalizzato a favorire la serietà del tentativo di conclusione dell'accordo.

Inoltre, l'invito in questione deve anche contenere la certificazione dell'autografia della firma apposta all'invito ad opera dell'avvocato che formula l'invito.

In merito agli effetti dell'invito in questione si noti che, che al fine di impedire che il tempo necessario allo svolgimento della procedura in questione possa risultare pregiudizievole per la parte il cui diritto sia prossimo alla prescrizione, è stato previsto che già la semplice comunicazione dell'invito (ma ciò vale anche per la sottoscrizione della convenzione) incide sulla prescrizione in quanto produce, con riferimento ad essa, gli stessi effetti della domanda giudiziale. Inoltre, dallo stesso momento è impedita, per una sola volta, la decadenza. Se però l'invito è rifiutato o non è accettato entro 30 giorni dalla ricezione allora la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dall'eventuale rifiuto (in ipotesi di espresso rigetto dell'invito) ovvero dalla mancata accettazione dell'invito nel termine (in caso di mancata risposta) ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati (in ipotesi di convenzione conclusa ma con mancato successivo accordo sul merito della controversia).

Dopo l'invito in questione è quindi possibile stipulare la “convenzione di negoziazione” che, evidentemente, altro non è che un accordo tra le parti tramite il quale queste pattuiscono di “cooperare in buona fede e con lealtà” per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati.

In particolare, secondo la definizione normativa “la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96”.

Tramite l'introduzione di questo tipo di convenzione non si vuole che le parti si obblighino a pervenire ad una definizione stragiudiziale della controversia, ma soltanto che esse si impegnino a “cooperare in buona fede e con lealtà” per tentare di definire bonariamente la loro controversia.

Il testo legislativo precisa che sono tenute ad affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, e cioè, fra l'altro, tutte le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le comunità montane, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, nonché le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Con riferimento alla natura giuridica della detta convenzione di negoziazione va ora rilevato che essa rientra tra i negozi compositivi della lite e, in particolare, tra le transazioni se si considera che, come tutte le transazioni, la causa della convenzione di negoziazione è quella di porre fine a una controversia relativa a diritti disponibili.

Tuttavia, a differenza delle normali transazioni, la convenzione di negoziazione può essere conclusa anche in assenza di reciproche concessioni. Inoltre, essa richiede sempre l'assistenza di un avvocato (e ne basta anche uno solo, salvo che nella materia della famiglia, visto il definitivo testo del comma 5 dell'art. 2), che gestisce la procedura negoziativa.

Trattandosi, quindi, di un particolare tipo di transazione, risulta applicabile la disciplina in tema di transazione se non espressamente derogata dalle norme sulla negoziazione assistita. Conseguentemente, ad esempio, se viene stipulata una convenzione di negoziazione in materia di dritti indisponibili, allora la convenzione sarà nulla ex art. 1967 comma 2 c.c. Chiaramente, infatti, per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite (art. 1966, comma 1, c.c.).

Sono poi previsti particolari requisiti formali per la convenzione di negoziazione, la quale deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità, deve essere sottoscritta dalla parti e dagli avvocati, i quali certificano l'autografia delle sottoscrizioni, e deve indicare il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura (termine che non può comunque essere inferiore ad un mese né superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti) nonché l'oggetto della controversia (che non deve riguardare diritti indisponibili, né, come aggiunto in sede di conversione, vertere in materia di lavoro).

Cosa succede se manca uno dei citati requisiti di forma?

Deve ritenersi che in questo caso l'accordo potrà valere, se ne ricorrono comunque i requisiti, come normale transazione (v. sul punto v. G. Buffone, Processo civile:. tutte le novità (d.l. 132/2014, conv. con mod., in l. 162/2014), in Il Civilista, Giuffré, 2014) e ciò anche in considerazione di quanto stabilito dall'art. 1424 c.c. Si pensi al caso del difensore che non certifichi l'autografia delle sottoscrizioni o all'accordo concluso senza l'assistenza di un avvocato iscritto all'albo o all'accordo non sottoscritto dai difensori che le hanno assistite.

Diversamente l'eventuale mancanza di certificazione in ordine alla conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico sarà invece soltanto ostativa all'esecutività del patto.

Inoltre, se le parti omettono di indicare il termine per lo svolgimento della procedura di negoziazione tale omissione non comporta alcuna nullità dovendosi comunque ritenere applicabile il termine massimo di tre mesi previsto dalla legge.

In ogni caso, è da ritenere che anche le altre irregolarità non impediscono alle parti di andare avanti con la negoziazione.

Inoltre, relativamente alle materiali modalità di stipulazione della convenzione di negoziazione sembra fin troppo evidente che essa, integrando un normale contratto, possa essere redatta o contestualmente dalle parti o tramite lo scambio di proposta e di controproposta ex art. 1326 c.c. (v. anche Porracciolo-Tona, Guida alla nuova giustizia civile, in Guida al diritto-Il Sole 24 ore, novembre 2014, pag. 12) .

Una volta stipulata la convenzione di negoziazione, si potrà procedere all'espletamento della procedura di negoziazione, che deve essere ovviamente svolta con l'assistenza degli avvocati che, cosi come le parti, sono tenuti a comportarsi con lealtà e devono tenere riservate le informazioni ricevute dall'altra parte. In particolare, le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto. Inoltre, i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite. La violazione di tali regole di condotta costituisce per l'avvocato illecito disciplinare.

All'esito dello svolgimento del procedimento di negoziazione è possibile che le parti non riescano ad addivenire ad un accordo. In questo caso va redatta la dichiarazione di mancato accordo che gli avvocati designati certificano.

Se, invece, si riesce a raggiungere un accordo compositivo della controversia (che deve essere conforme alle norme imperative e all'ordine pubblico) questo viene sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono e costituisce così titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

In questo contesto di redazione dell'accordo, cosi come in quello precedente di svolgimento del procedimento di negoziazione, è essenziale il ruolo dell'avvocato, il quale, tra le altre cose, certifica la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico e l'autografia delle firme (anche se quando con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'arti. 2643 c.c., per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato).

Inoltre, l'accordo che compone la controversia deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'art. 480, comma 2, c.p.c. E poiché le indicazioni che devono essere trasfuse nel precetto in base al citato art. 480 c.p.c. sono previste «a pena di nullità», allora anche la trascrizione dell'accordo che compone la controversia è richiesta ad substantiam.

Visto il rilevantissimo ruolo svolto dall'avvocato in sede di negoziazione, si è previsto che il legale che impugni un accordo alla cui redazione ha partecipato commette illecito deontologico.

La negoziazione assistita obbligatoria

In alcuni casi il previo espletamento della procedura di negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda. Ciò a decorrere dall'11 novembre 2014 .Si tratta delle ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria, che ricalcano, a livello di disciplina, le previsioni in tema di c.d. mediazione obbligatoria.

Come in quest'ultima, infatti, in relazione a talune fattispecie il procedimento di negoziazione assistita deve essere esperito a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.

Sono stati così introdotti altri casi di giurisdizione c.d. condizionata, in cui, cioè, chi vuole fare ricorso al giudice deve prima sperimentare un preliminare ricorso ad un meccanismo alternativo di risoluzione delle controversie, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale. È un meccanismo attraverso il quale il legislatore pensa di poter fornire una reale spinta deflattiva (assegnando all'autorità giudiziaria solo le controversie non componibili) e di consentire una rapida definizione delle liti.

Due sono i casi in cui una parte ha l'obbligo, a pena di improcedilità della domanda, di invitare, tramite l'avvocato, l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita:

  1. quando si vuole esercitare in giudizio un'azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti (non più rientrante tra i casi di mediazione obbligatoria dopo la riforma operata dal d.l. n. 69/2013, convertito in l. n. 98/2013);
  2. quando si vuole proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria.

In questi due casi in cui la procedura di negoziazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la parte, come detto, deve, tramite il suo avvocato, invitare la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Comunque, la condizione si considera avverata se l'invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, comprensivo di eventuale proroga.

L'invito a stipulare la convenzione deve indicare l'oggetto della controversia e contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642,comma 1, c.p.c. È l'avvocato che formula l'invito che certifica l'autografia della firma apposta allo stesso invito.

Affinché il giudice possa ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità basta che i difensori producano in causa la dichiarazione di mancato accordo, certificata dai difensori medesimi, ovvero che l'avvocato che introduce la lite provi l'avveramento della condizione di procedibilità producendo, quindi, un invito contenutisticamente idoneo.

Evidentemente, invece, risulta ostativo al formarsi della procedibilità della domanda un invito che non indichi l'oggetto del controversia o che non contenga gli avvertimenti previsti dalla legge o che non sia stato correttamente comunicato al destinatario.

Come nel caso di mancato previo esperimento del procedimento di negoziazione assistita, anche il non idoneo svolgimento dello stesso comporta l'improcedibilità della domanda giudiziale, che deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza (che nel rito ordinario di cognizione è l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c.), al termine della quale il giudice assegna alle parti il termine di 15 giorni per la comunicazione dell'invito a stipulare la convenzione e, contestualmente, fissa la successiva udienza (nella cui determinazione egli deve evidentemente tenere conto della possibilità che le parti utilizzino per intero il termine massimo di tre mesi nonché la proroga di 30 giorni).

Diversa è l'ipotesi in cui alla prima udienza il giudice verifica che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, ipotesi nella quale il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dalle parti nella convenzione stessa per la durata della procedura di negoziazione e che, come detto, non può essere inferiore a un mese né superiore a tre mesi.

Comunque, la condizione di procedibilità si considera avverata se l'invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro 30 giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo previsto dalle parti nella convenzione per la durata della procedura di negoziazione.

In ogni caso la negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale quando la parte può stare in giudizio personalmente così come non lo è per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3 Decreto Legge n.132/2014, Decreto convertito, con modificazioni, dalla Legge 10 novembre 2014, n. 162 - Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile

).

Va ora evidenziato che la disciplina sopra esposta non si applica con riferimento ad alcuni procedimenti, che sono:

a) i procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione;

b) i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all'articolo 696 bis del codice di procedura civile;

c) i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

d) i procedimenti in camera di consiglio;

e) i procedimenti riguardanti l'azione civile esercitata nel processo penale.

Inoltre, l'obbligatorietà dell'esperimento del procedimento di negoziazione assistita “non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”.

Negoziazione assistita e patrocinio a spese dello Stato

Quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, e quindi anche per le controversie relative ai sinistri stradali, all'avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell'articolo 76 del d.P.R.n. 115/2002 (T.U. spese di giustizia).

La parte è comunque tenuta in questo caso a depositare all'avvocato un'apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo avvocato, nonché a produrre, se l'avvocato lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.

Le principali questioni in tema di negoziazione assistita relativa a sinistri stradali

La disciplina normativa della negoziazione assistita quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali in materia di sinistri stradali pone a livello processuale molte questioni, alcune delle quali simili a quelle che sono state già affrontate con riferimento al procedimento di mediazione.

In materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli natanti quali sono i rapporti tra la condizione di procedibilità di cui alla legge 162/14 e la condizione di proponibilità della domanda di cui all'art. 145, commi 1 e 2, Cod. Ass.?

Anche l'attività precontenziosa prevista dal Codice delle assicurazioni mira ad evitare la causa ed incide sull'azione (rendendo la domanda improponibile anche se non improcedibile come invece accade con la disciplina sulla negoziazione assistita).

Tuttavia, i due istituti sembrano potere convivere.

La raccomandata con la quale si chiede il risarcimento del danno alla compagnia di assicurazioni è sì imposta normativamente (così come è imposta l'attesa di 60 o 90 giorni prima di potere proporre la domanda giudiziale), ma non è affatto diversa da tutte quelle altre raccomandate contenenti le più svariate richieste che normalmente precedono l'instaurazione di un giudizio.

Come queste ultime (se relative a materie rientranti tra quelle assoggettate a negoziazione assistita obbligatoria), anche quella in tema di sinistri stradali dovrà essere seguita, in caso di silenzio o di risposta negativa del destinatario della richiesta extragiudiziale, dal procedimento di negoziazione assistita prima di potere (eventualmente) pervenirsi alla lite giudiziale.

Peraltro, un supporto testuale alla soluzione appena indicata si rinviene nell'art. 3, comma 5 del decreto legge, che prevede, con riferimento al caso dei rapporti tra negoziazione assistita c.d. obbligatoria ed altri procedimenti conciliativi, che “restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati”; disposizione così modificata in sede di conversione nella leggen. 162/14: “restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi”.

In questo modo si è voluto evitare che la proposizione della domanda giudiziale potesse subire eccessivi rallentamenti a causa della necessità di attendere, per il ricorso alla negoziazione assistita, che fossero prima decorsi i termini di procedibilità previsti da altre normative. Certo, è vero che l'art. 145, commi 1 e 2, D.lgs. 209/2005 (c.d. Codice delle assicurazioni) contempla un condizione di proponibilità e non di procedibilità. Tuttavia, ricorrendo la medesima ratio sopra indicata, la soluzione normativa sulla contestuale decorrenza dei termini deve ritenersi valevole anche per il caso di specie.

In altri termini, sembra possibile, nello stesso periodo di tempo, inviare una raccomandata alla Compagnia di assicurazioni contenente la richiesta risarcitoria e inviare al contempo l'invito per la stipula della convenzione di negoziazione. Non essendo richiesto che le due condizioni (di proponibilità e di procedibilità) debbano sussistere in sequenza l'una rispetto all'altra, è quindi forse da credere che ciò che importa è che si verifichi la sussistenza delle stesse, a prescindere dal loro sviluppo temporale. Ed è verosimile che spesso, per evitare perdite di tempo, si intrecceranno le due procedure se anche si considera che la citazione non può essere notificata prima del decorso dei 60 o 90 giorni previsti per la condizione di proponibilità di cui all'art. 145 Cod. Ass. mentre può essere notificata anche prima dell'instaurazione del procedimento di negoziazione assistita o anche prima del decorso del termine di 3 mesi (prorogabile di 30 giorni) di durata massima del procedimento di negoziazione assistita.

Il problema che può porsi è quello relativo al possibile rifiuto da parte della Compagnia di Assicurazioni di stipulare la convenzione di negoziazione assistita motivato alla luce della mancata decorrenza dello spatium deliberandi previsto per la condizione di proponibilità di cui all'art. 145 Cod. Ass.

Rientra nella negoziazione assistita obbligatoria il caso della domanda risarcitoria per danni derivanti a motociclisti o automobilisti da buche presenti sul manto stradale?

Al riguardo va ricordato quell'orientamento giurisprudenziale che si è formato in merito alla competenza del giudice di pace per le cause, sostanzialmente identiche a quelle cui fa riferimento la legge n. 162/14 in tema di “risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti”.

Si è affermato che la controversia relativa ai c.d. danni da buca non è una .“causa di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli” visto che la c.d. .“insidia stradale” si ricollega alla circolazione solo tramite un nesso di occasionalità e non di causalità efficiente.

Ed invero, perché si possa ritenere applicabile la disciplina di cui all'art. 7, comma 2, c.p.c. (sulla competenza del giudice di pace per le cause di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti con valore non superiore ad € 20.000) occorre uno specifico nesso causale tra il fatto della circolazione stradale ed il danno, nel senso che il primo elemento deve essere causa efficiente del secondo e non costituirne, invece, semplice occasione (come accade invece nel caso delle buche, dove il danno è conseguenza dell'omessa manutenzione delle strade e solo occasionalmente connesso alla circolazione stradale .– v. Cass. civ.n. 14564/2002).

Analogamente, il caso dei danni “da buca” non può essere fatto rientrare nella materia, rientrante tra le fattispecie di negoziazione assistita obbligatoria, «di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti».

Rientra nella negoziazione assistita obbligatoria (in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli) il caso della domanda risarcitoria per danni derivanti dal contratto di trasporto su mezzi pubblici o privati?

Spesso nei giudizi relativi a responsabilità da trasporto viene fatto valere il c.d. concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (tipicamente e classicamente configurabile proprio in materia di trasporto).

In proposito è noto che in tema di trasporto di persone la scelta tra l'azione di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale e quella da responsabilità extracontrattuale, fondata la prima sull'inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di trasporto e la seconda sulla violazione del principio generale del neminem laedere, e la scelta del loro esercizio cumulativo nel processo rientra nel potere dispositivo della parte, senza alcun possibile intervento del giudice (cfr. Cass. civ. n. 6233/1999; Cass. civ. n. 8656/1996; Cass. civ. n. 1593/1979; Cass. civ. n. 11766/2002).

Rientra invero nel potere dispositivo della parte proporre cumulativamente azione contrattuale ed azione extracontrattuale quando si ritiene che, con un unico comportamento, siano stati violati i doveri derivanti dal contratto concluso ed i doveri derivanti dal generale principio del neminem laedere (Cass. civ. n. 6233/1999; Cass. civ. n. 8656/1996; Cass. civ. n. 418/1996; Cass. civ. n. 8090/1994).

Ciò chiarito, va ora precisato che l'art. 7, comma 2, c.p.c. riguarda sia i fatti illeciti prodotti dalla circolazione stradale di veicoli (arg. ex Cass. civ. n. 746/2002; Cass. civ. n. 15573/2000) che le ipotesi di responsabilità contrattuale.

Per “cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti” devono invero intendersi, oltre a quelle in cui si fa valere una responsabilità aquiliana, anche quelle in cui l'attore fa valere la responsabilità contrattuale del vettore, magari insieme a quella extracontrattuale.

Pure quando la parte attrice chiede il risarcimento del danno contrattuale e fa valere un illecito contrattuale va ritenuta ricorrente una causa “di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti”.

Vista l'ampiezza di tale ultima formula normativa, deve infatti reputarsi che nella formula in questione rientri, oltre al fatto illecito prodottosi nella circolazione di veicoli o natanti, anche l'inadempimento del contratto di trasporto determinativo di un danno, posto che anche in questo caso si tratta di un “danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti”.

Ora, considerato che la legge n. 162/14 fa rientrare nella negoziazione assistita obbligatoria le cause in tema di “risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti”, formula sostanzialmente identica a quella di cui all'art. 7, comma 2, c.p.c., allora anche la controversia in cui si fa valere una responsabilità contrattuale da trasporto dovrebbe farsi rientrare nelle ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria sottoposte al meccanismo della condizione di procedibilità.

A tale conclusione deve poi pure pervenirsi se si considera, tra le altre cose, l'orientamento giurisprudenziale formatosi a proposito della condizione di proponibilità della domanda ex art. 22 della previgente legge n. 990/1969.

È noto, invero, che tale ultima disposizione prevedeva: «l'azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma della presente legge vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all'assicuratore il risarcimento del danno, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento».

La ratio della norma (analoga all'attuale art. 145, D.lgs. n. 209/2005, Codice delle assicurazioni) è chiara, in quanto finalizzata alla deflazione del contenzioso e ad agevolare una composizione stragiudiziale di ogni questione risarcitoria sorta a seguito della circolazione di veicoli.

L'esigenza sottesa all'invio della richiesta di risarcimento in questione è invero individuabile in quella di fornire all'assicuratore un congruo spazio di tempo per esperire accertamenti e decidere se opporsi alla pretesa o avanzare proposte transattive.

È il caso di sottolineare come, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, l'assicurazione medesima con riguardo ai danni alla persona trasportata si riferisce tanto al caso in cui detta responsabilità venga invocata a titolo extracontrattuale, per violazione del precetto del neminem laedere, quanto al caso in cui venga fatta valere a titolo contrattuale, sicché, anche in questa seconda ipotesi (responsabilità contrattuale), la proponibilità della domanda, sia diretta contro il responsabile civile o l'autore materiale del fatto, è soggetta al decorso di un termine da quello in cui il danneggiato ha chiesto il risarcimento per mezzo di lettera raccomandata all'assicuratore (cfr. Cass. n. 1128/1985; Cass. n. 3242/1982; Cass. n. 6847/1982).

La preventiva messa in mora dell'assicuratore come condizione di proponibilità dell'azione di risarcimento contro il preteso responsabile è richiesta quindi anche relativamente all'azione di responsabilità contrattuale per danni alla persona subìti da viaggiatori a bordo di veicoli adibiti al trasporto pubblico.

Un'impostazione giurisprudenziale così rigorosa trova, d'altra parte, fondamento anche nella ratio normativa di deflazionare il contenzioso mediante una tempestiva comunicazione del fatto all'assicuratore, in modo tale che il medesimo possa stragiudizialmente operare per una composizione della controversia.

Se, quindi, la Suprema Corte ha interpretato la locuzione contenuta nell'art. 22, L. n. 990/1969 («l'azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma della presente legge vi è obbligo di assicurazione») come relativa anche al caso in cui si faccia valere una responsabilità contrattuale, pure l'analoga locuzione (che più ci interessa) di controversie in materia di “risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti” di cui alla legge n. 162/2014 deve essere intesa come comprensiva anche dei casi di responsabilità contrattuale.

Rientrano tra le azioni in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti soggette a negoziazione assistita obbligatoria anche le domande relative ai contratti assicurativi?

Rientra nell'ambito della negoziazione assistita (riguardando il risarcimento del danno conseguente al sinistro stradale e non attenendo al contratto assicurativo) la domanda risarcitoria formulata nei confronti del proprietario del mezzo antagonista (e/o dell'autore dell'illecito) e della sua compagnia di assicurazione (nei confronti della quale l'attore agisce in forza di un'azione non scaturente da alcun contratto ma prevista ex lege), ma anche quando la stessa viene esperita nei confronti della propria compagnia di assicurazione in forza del principio dell'indennizzo diretto (posto che anche in questo caso la causa petendi non risiede nel contratto assicurativo).

Sono invece semplici eccezioni (e non richiedono, quindi, la condizione di procedibilità pretesa per le domande giudiziali) quelle formulate dalla Compagnie in ordine alla copertura assicurativa (esistenza o meno, eventuale scadenza, superamento del massimale, ecc.).

Infine, la riposta al quesito della sottoponibilità a negoziazione assistita delle azioni di rivalsa fatte valere dalle Compagnie di Assicurazione nei confronti dell'assicurato danneggiato è fortemente collegata alla risposta che si fornisce alla questione relativa all'invio in negoziazione assistita delle domande riconvenzionali (questione che si tratterà in un successivo paragrafo).

La riservatezza del procedimento di mediazione può limitare il diritto alla prova in sede giudiziale?

Iniziando da un'ipotesi esemplificativa, si pensi al caso in cui in negoziazione una parte ammetta che non indossava il casco protettivo al momento in cui si è verificato il sinistro stradale. In questo caso la riservatezza del procedimento di negoziazione impedirà di articolare interrogatorio formale o prova testimoniale su questa circostanza?

La risposta preferibile è quella negativa in quanto l'art. 9 del Decreto legge n. 132/2014 impedisce di articolare prove sulle dichiarazioni rese o sulleinformazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione, ma non impedisce anche di articolare prove sui fatti oggetto di queste dichiarazioni. Diversamente opinando si verrebbe a compromettere eccessivamente il diritto alla prova. Inoltre, sarebbe ben possibile dire tutto in negoziazione per evitare alla controparte di provare in giudizio quelle circostanze.

Nella negoziazione assistita in tema di sinistri stradali le parti ed i loro avvocati potranno avvalersi di consulenti?

È noto a tutti che le controversie in tema di sinistri stradali possono avere concrete possibilità di trovare una soluzione concordata se sussiste un punto di riferimento in termini determinazione dell'entità del danno biologico e dei giorni di inabilità temporanea.

Tuttavia, la legge n. 162/2014 non contiene, a differenza del d.lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione (v. art. 8, comma 4, d.lgs. n. 28/2010 ), una disposizione normativa che preveda che ci si possa avvalere di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali.

Nulla però esclude che le parti ed i loro avvocati possano nominare dei comuni consulenti medico-legali.

Certo, mentre il d.lgs. n. 28/2010 prevede che il regolamento di procedura dell'organismo di mediazione disciplini le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti, nel caso della negoziazione assistita il compenso del consulente nominato sarà determinato d'intesa tra il professionista e le parti o, in assenza di accordo preventivo, secondo le tariffe vigenti (v. art. 2225 c.c.).

Può prodursi nel giudizio civile sul sinistro stradale la consulenza svolta nel procedimento di negoziazione assistita?

Posto, quindi, che si può espletare una consulenza in sede di negoziazione assistita, è possibile ritenere che, stante la riservatezza che caratterizza il procedimento di negoziazione assistita (come gli altri procedimenti conciliativi), per prodursi in giudizio la consulenza espletata nel procedimento di mediazione sembra necessario il consenso di entrambe le parti. E ciò nonostante l'art. 9, comma 2, legge n. 162/2014 preveda l'inutilizzabilità in giudizio delle “informazioni acquisite nel corso del procedimento” senza contemplare una deroga per il caso di “consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni”, come invece accade per la mediazione ex art. 10, comma 1, d.lgs. n. 28/2010. Con il consenso di entrambe le parti possono, infatti, derogarsi molti limiti processuali.

Occorre poi chiedersi, con riferimento al caso in cui vi sia il consenso delle parti alla produzione della consulenza redatta dall'esperto nominato dal mediatore, se sia utilizzabile in giudizio una tale consulenza.

L'opinione negativa si fonda sul rilievo per cui "il consulente non ha offerto la propria prestazione sotto il vincolo del giuramento di cui all'art. 193 c.p.c. Tale incombente non `e certo una formalità posto che, se svolto senza contraddittorio delle parti (v. Cass. civ., S.U., 29 novembre 1974, n. 3907) o del tutto omesso, determina addirittura la nullità dell'elaborato peritale (in passato, la Corte ha statuito che la nomina del consulente tecnico effettuata dal notaio delegato dal Giudice istruttore per le operazioni divisionali, anziché dal Giudice istruttore che ne deve ricevere il giuramento ai sensi dell'art. 193, c.p.c., è nulla, cfr. Cass. civ. 30 ottobre 1961, n. 2490, in «Mass. Giur. It.» 1961, 763).L'eventuale elaborato potrà, allora, semmai essere acquisito al processo al solo fine di confluire nell'incartamento del CTU nominando per l'espletamento del suo incarico, quale documento ulteriore di ausilio ai fini dell'attività; giammai, invece, il Giudice potrebbe decidere la lite sulla base della sola perizia consegnata ai mediatori" (v. G. Buffone, Risoluzione alternativa delle liti civili e commerciali, in Il civilista, marzo 2010, pag. 24).

A ciò si aggiunga che il valore attribuibile alla consulenza fatta redigere in sede di negoziazione assistita non sarebbe comunque inferiore a quello attribuito dalla giurisprudenza alla consulenza stragiudiziale di parte, con l'aggiunta che la consulenza posta in essere nel procedimento di negoziazione assistita è disposta da un soggetto imparziale (in quanto scelto da tutte le parti) ed è realizzata da un soggetto non legato da vincoli alle parti.

Ora, è vero che la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio (non trattandosi di circostanze acquisite alla causa attraverso prove orali o documentali), con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (v. Cass. pen. n. 20821/2006).

Tuttavia, è anche vero che il giudice di merito può fondare la propria decisione su una consulenza tecnica stragiudiziale, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione (v. Cass. civ. n. 2574/1992; Cass. civ. n. 1416/1987).

Può valutarsi negativamente la condotta della mancata risposta all'invito alla negoziazione assistita o del suo rifiuto? Può applicarsi alla negoziazione assistita obbligatoria in tema di sinistri stradali la sanzione prevista per la mancata ed ingiustificata comparizione in sede di mediazione?

È noto che il d.lgs. n. 28/2010 prevede, al comma 4-bis dell'art. 8, che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

La prima disposizione prevede un particolare regime probatorio, che non sembra applicabile analogicamente al caso della negoziazione assistita in considerazione del divieto, sancito dall'articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale (disp. prel. c.c.), non è possibile l'applicazione analogica per le norme che derogano a principi generali (c.d. norme eccezionali).

E l'art. 8, comma 4-bis, del d.lgs. n. 28/2010 deroga proprio ad un principio generale, che è quello per cui “il giudice può desumere argomenti di prova… dal contegno delle parti… nel processo” (art. 116 c.p.c.) e non dal comportamento tenuto delle parti fuori dal processo.

E l'altra disposizione contenuta nel citato comma 4 bis dell'art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 contempla una misura sanzionatoria (tanto che la somma di denaro va corrisposta in favore dello Stato e non della controparte processuale) che, in quanto tale, deve soggiacere al principio di legalità, richiedendo una previsione esplicita e specifica.

Conseguentemente, se l'invito alla stipula della convenzione di negoziazione non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione l'unica conseguenza è quella che sarà possibile instaurare il giudizio essendosi formata la condizione di procedibilità (in base al comma 2 dell'art. 3 della legge n. 162/2014). Non vi è però spazio per alcuna sanzione.

La corrispondenza oggettiva tra la domanda giudiziale e l'oggetto del tentativo di conciliazione e la corrispondenza soggettiva tra le parti processuali e quelle intervenute in negoziazione

In caso di controversia rientrante tra le ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria (come quella sui sinistri stradali) il giudice deve accertare che le domande formulate dalla parte attrice o ricorrente siano le stesse intorno alle quali il tentativo di conciliazione si è svolto (o si sarebbe dovuto, comunque, svolgere ove avesse avuto luogo) - cfr., in materia di contratti agrari Cass. civ. n. 10497/2001; Cass. civ. n. 10322/1997; Cass. civ. n. 6295/1995.

Qualora la domanda giudiziale abbia ad oggetto rivendicazioni non menzionate nel procedimento di negoziazione il tentativo obbligatorio di conciliazione, in ragione di tale non corrispondenza del petitum, non risulta ritualmente esperito e si deve assegnare un termine per il rinnovo del tentativo obbligatorio di conciliazione (v., con riferimento alla materia lavoristica, Trib. Roma, 26 settembre 2006).

Tuttavia, deve anche rilevarsi che non sussiste contraddizione tra la domanda anticipata nell'invito o nella convenzione di negoziazione e la domanda come formulata in sede giudiziaria qualora in entrambe le occasioni la parte istante abbia sollecitato la condanna delle controparti al pagamento di tutte le somme dovute, sebbene quantificate in modo diverso nel procedimento di conciliazione e nella domanda giudiziale.

Non è infatti rilevante che la pretesa ricavabile dal procedimento di conciliazione sia di contenuto quantitativo meno ampio di quella formulata in sede giudiziaria. Non si dubita, infatti, che la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova causa petendi ma integra una mera emendatio che come è ammissibile nel corso del giudizio di primo grado o di appello così, a maggior ragione, deve ritenersi consentita nei rapporti tra la richiesta come formulata nel procedimento di conciliazione e la successiva articolazione in sede giudiziaria (cfr. Cass. civ. n. 9266/2010).

Un problema può porsi quando nell'invito o nella convenzione di negoziazione manchi o sia indicato in modo molto generico “l'oggetto della controversia” (requisito richiesto dagli artt. 2 e 4 d.l. n. 132/2014). In questi casi sembra preferibile ritenere che solo laddove l'invito o la convenzione di negoziazione non contenga alcuna specificazione dell'oggetto della controversia (o laddove tale elemento sia assolutamente incomprensibile) si potrà considerare il tentativo di conciliazione come non regolarmente instaurato.

Certo, sarebbe bene che gli avvocati effettuassero un controllo attento sul punto.

Va comunque precisato che è bene esaminare, al fine di valutare la coincidenza tra l'oggetto del procedimento di negoziazione e la domanda giudiziale, sia l'invito e la convenzione di negoziazione che il verbale di mancato accordo, posto che anche nel corso del procedimento si possono modificare le domande.

Oltre a verificare la detta corrispondenza oggettiva, il giudice deve anche accertare che esista coincidenza soggettiva fra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte.

Certo, nessun problema si porrà se tale coincidenza soggettiva non sussiste solo perché la domanda giudiziale viene avanzata nei confronti di uno solo dei più soggetti chiamati in negoziazione laddove non ricorra un caso di litisconsorzio necessario.

Che cosa succede se non viene garantito il litisconsorzio necessario nella fase della negoziazione assistita? Sussiste la condizione di procedibilità se non viene fatta al proprietario del mezzo danneggiante la comunicazione dell'invito alla stipula della convenzione di negoziazione?

Considerato che nei giudizi a litisconsorzio necessario (come sono quelli relativi ai sinistri stradali) non può prescindersi dalla presenza delle parti necessarie, non può iniziarsi un giudizio ritenendo che vi sia la condizione di procedibilità per alcune e non per altre. La condizione di procedibilità deve ricorrere per tutte le parti necessarie. E nelle cause sui sinistri stradali litisconsorte necessario è il proprietario del mezzo danneggiante e non il conducente (v., da ultimo, Cass. civ. n. 13671/2014 e Cass. civ. n. 3875/2014, v. anche Cass. civ. n. 11885/2007) Se la negoziazione è stata svolta senza la comunicazione dell'invito al proprietario del mezzo danneggiante il giudice dovrà ritenere assente la condizione di procedibilità.

Conseguentemente, il giudice dovrebbe assegnare il termine di 15 giorni per la comunicazione dell'invito alla negoziazione nei confronti di tutti (comprese le parti che già vi hanno partecipato).

Tuttavia, per quanto si dirà meglio sulla prevalenza del principio del contraddittorio sul principio della ragionevole durata del processo, si dovrebbe disporre l'integrazione del contraddittorio per l'udienza successiva e, solo dopo che il contraddittorio sarà stato regolarmente instaurato e tutte le parti avranno potuto interloquire sulle condizioni per svolgere la negoziazione, assegnare il termine per la nuova proposizione del procedimento di negoziazione nei confronti di tutti i litisconsorti.

Quali sono, con riferimento alla negoziazione assistita ed alla relativa condizione di procedibilità, i rapporti tra il principio della ragionevole durata del processo ed il principio del contraddittorio?

Per rispondere a tale domanda può essere utile ricordare ciò che è stato deciso con riferimento alla mediazione obbligatoria, in relazione alla quale particolare rilievo al principio del contraddittorio ha dato il Tribunale di Palermo. Infatti, in un caso in cui non era andata a buon fine la notificazione dell'atto di citazione ad uno dei convenuti in un giudizio relativo ad una controversia in materia di diritti reali non preceduto dal procedimento di mediazione il Tribunale di Palermo (sezione distaccata di Bagheria, ordinanza del 30 dicembre 2011) non ha assegnato il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione (con rinvio della causa ad un'udienza successiva alla scadenza del termine, di 4 mesi, di durata massima della mediazione), ritenendo che dovesse prima instaurarsi correttamente il contraddittorio tra le parti. Si è ritenuto, in generale, che non può disporsi la rinnovazione della citazione o della notificazione della stessa o l'integrazione del contraddittorio per una successiva udienza con contestuale assegnazione del termine per la proposizione dell'istanza di mediazione. Come detto, è infatti necessario garantire a tutte le parti del giudizio la possibilità di interloquire sulla necessità o meno di instaurare il procedimento conciliativo (con riferimento, ad esempio, alla circostanza della sussumibilità della specifica controversia in quelle soggette per legge alla mediazione obbligatoria).

L‘invio delle parti in mediazione (o, analogamente, in negoziazione assistita) contestualmente all'imposizione degli adempimenti per la regolare instaurazione del contraddittorio sarebbe sì una soluzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma impedirebbe alle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest'ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stesso chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste dall'art. 8, comma 5, d.lgs. n. 28/2010 (nello stesso senso del Tribunale di Palermo anche Trib. Como, sez. distaccata di Cantù, 2 febbraio 2012, che, prima di invitare le parti alla mediazione giudizialmente sollecitata, ha ritenuto di dovere integrare il contraddittorio). Per il Tribunale di Palermo è vero che più volte la Corte di Cassazione ha evidenziato che l'ordinamento vigente impone la necessità di interpretare ed applicare la normativa processuale in armonia con il principio di cui all'art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo come principio che conduce ad escludere che il mancato compimento di adempimenti processuali che si siano appalesati del tutto superflui possa condurre ad una conseguenza di sfavore per il processo, ma che è anche vero che ciò vale sempre che siano rispettati il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa (v. Cass., S.U. 20604/2008; Cass. S.U.n. 9962/2010; sull'incidenza sulle regole processuali del principio della ragionevole durata del processo solo dopo la regolare instaurazione del contraddittorio v. anche, in materia di decisioni della c.d terza via, Cass., sez. III, n. 6051/2010). Certo, in linea con le citate esigenze di ragionevole durata del processo, nulla esclude che l'attore si attivi spontaneamente, prima dell'udienza di comparizione davanti al giudice, per provocare il tentativo di mediazione, così evitando di dover attendere a tal fine l'udienza ex art. 183 c.p.c. per poi dovere subire il rilievo officioso dell'improcedibilità della domanda e, quindi, un ulteriore rinvio ad oltre quattro mesi di distanza.

La necessità o meno dell'esperimento del procedimento di mediazione in relazione alle domande riconvenzionali ed alle chiamate di terzo

È innanzitutto del tutto evidente che se in un giudizio vi sono più attori tutte le domande di questi richiedono la condizione di procedibilità se concernono controversie sottoposte a negoziazione assistita obbligatoria, con la conseguenza che se solo per alcune domande sussiste la condizione di procedibilità, allora talune domande potrebbero essere separate dalle altre (per evitare di allungare i tempi per tutti) purché ricorra (e non è semplice) un caso di litisconsorzio facoltativo. Certo, sarà difficile procedere ad una separazione delle domande in caso di loro connessione.

Più complessa è la questione dei rapporti tra negoziazione assistita obbligatoria e domanda riconvenzionale.

Al riguardo va in primo luogo chiarito che sicuramente non occorre il previo espletamento del procedimento di negoziazione assistita se la riconvenzionale amplia solo il petitum ma non anche l'oggetto della controversia (v, in tema di controversie sui contratti agrari, Cass. civ. n. 27255/2008 e Cass. civ. n. 2388/2002, Cass. civ. n. 23816/2007, Cass. civ. n. 1897/2002 e Cass. civ. n. 4982/2001. Sull'onere, ai fini della proponibilità della domanda, del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione anche nei confronti del convenuto che proponga una domanda riconvenzionale v. pure Cass. civ. n. 830/2006; Cass. civ. n. 10993/2003; Cass. civ. n. 14900/2002).

Nessun problema si pone, quindi, quando il tentativo di conciliazione sia stato svolto su tutte le pretese delle parti.

In ipotesi di confronto effettivo e completo tra i litiganti, la procedura di negoziazione assistita poteva già conseguire la finalità deflattiva cui è preordinata. E se le parti non si sono conciliate sulla domanda dell'attore pur avendo trattato dei fatti e delle questioni posti dal convenuto a base della domanda riconvenzionale poi proposta in sede di giudizio, allora è evidente che non si concilieranno se il giudice invia in mediazione la sola domanda riconvenzionale. Venuto meno lo scopo compositivo della lite e deflattivo del contenzioso giudiziario, resta solo l'interesse al celere e sollecito esaurimento della fase processuale.

Non sussiste quindi la necessità del previo espletamento del procedimento di negoziazione assistita qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura compositiva sperimentata dall'attore.

Ed anche in assenza di una specifica richiesta in fase di negoziazione assistita, certamente basta pure (non rilevando il petitum ma l'oggetto del procedimento di negoziazione assistita) che la questione specifica, oggetto di quella pretesa poi formulata in sede giudiziaria in via riconvenzionale, sia stata trattata nel contraddittorio di tutte le parti interessate alla controversia in occasione del procedimento di negoziazione assistita, ancorché questo si sia svolto su istanza della parte attrice (v. Cass. 14 novembre 2008, n. 27255; Cass. civ. n. 19436/2008; Cass. 16 novembre 2007, n. 23816; Cass. 14 luglio 2003, n. 10993; Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388; Cass. 17 gennaio 2001, n. 593; Cass. 8 giugno 1999, n. 5613; Cass. 8 agosto 1995, n. 8685; Cass. 5 ottobre 1995, n. 10447; Cass. 27 aprile 1995, n. 4651). Se in sede di procedimento di negoziazione assistita la questione posta dal convenuto è stata dibattuta tra le parti, allora è sicuramente procedibile la domanda riconvenzionale.

Deve ora pure chiarirsi che va escluso che l'onere del preventivo esperimento del procedimento di negoziazione assistita possa gravare sulla parte che, convenuta in giudizio, ed al fine di resistere alle altrui pretese, si limiti a spiegare, in sede difensiva, delle mere eccezioni in senso proprio, negando fondamento alla pretesa di controparte. È infatti certamente da escludere l'onere del previo esperimento del procedimento di negoziazione assistita quando il giudice accerti che le difese svolte dal convenuto non integrano una domanda riconvenzionale, tenendo conto che l'elemento distintivo della eccezione (anche riconvenzionale) rispetto alla domanda riconvenzionale risiede non già nella natura del diritto fatto valere dal convenuto, ma nel fine che questi si propone, e cioè nel contenuto della sua istanza processuale, dovendosi ravvisare la configurabilità di una domanda riconvenzionale nella sola ipotesi in cui questa tenda ad un risultato concreto ulteriore rispetto al semplice rigetto della domanda avversaria, consistente nella richiesta, con effetto di giudicato di un provvedimento giudiziale a sé favorevole e sfavorevole alla controparte (v. Cass. civ. n. 10017/2003).

Le riconvenzionali inedite e la negoziazione assistita obbligatoria

Meno semplice è il caso in cui la negoziazione assistita non sia stata svolta anche sui fatti posti dal convenuto a base delle pretese (qualificabili in termini di domanda riconvenzionale) del convenuto. Questa è, quindi, la fattispecie delle riconvenzionali inedite, emerse, cioè, solo nella fase giudiziale della lite ma non anche dinanzi ai soggetti preposti alla negoziazione assistita.

In questi casi la domanda riconvenzionale viene ad ampliare l'ambito della controversia rispetto a quelli che sono stati i confini della stessa in sede di procedimento di negoziazione assistita, investendo aspetti nuovi della lite.

Si pensi al caso della domanda riconvenzionale di regresso formulata dalla Compagnia di Assicurazioni che non aveva aderito alla negoziazione assistita o che non aveva fatto cenno a questa sua richiesta in sede di negoziazione.

In relazione al tema delle c.d. riconvenzionali inedite è bene partire dal testo dell'art. 3 del D.L. n. 132/2014 che prevede che “chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

Trattasi di formula analoga a quella impiegata per il rito del lavoro, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità non ha avuto modo di pronunciarsi, la dottrina ha in diversi casi sostenuto la tesi della non estendibilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali e la giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare entrambe le tesi.

Contro l'applicabilità del tentativo

di conciliazione alle domande riconvenzionali

  • Trib. Ivrea 22 dicembre 2004 in Giur. it., 2005, 1684 e in Nuova giur. civ. comm. 2006, p. 68, con nota di Demontis
  • Trib. Taranto ord. 18 aprile 2002, in Giur. it. 2003, 78, con nota di Rascio
  • Trib. Torino 14 febbraio 2002, in Giur. piem. 2003, 181
  • Trib. Milano 10 febbraio 2001, in Lav. nella giur., 2001, 997
  • Trib. Forlì ord 11 maggio 2000, in Lav. nella giur 2000, 979

Esclude l'applicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione sul presupposto che si tratti di una eccezione riconvenzionale

  • Trib. Campobasso 8 ottobre 1999, in Giust. civ., 2000, I, 909

In favore applicabilità del tentativo

di conciliazione

  • Trib. Milano 10 marzo 2005, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 634;
  • Trib. Voghera ord 21 dicembre 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 315, con nota di Busico;
  • Trib. Pordenone 13 febbraio 2001, in Dir. lav., 2001, 271, con nota di Pamio;
  • Trib. Velletri 7 marzo 2000, in Mass. giur. lav., 2000, 875;
  • Pret. Napoli 31 marzo 1999, in Guida al lav., 1999, fasc. 21, 14;
  • Pret. Milano 9 marzo 1999, in Lav. nella giur., 1999, 575

Con riferimento al settore dei contratti agrari, settore in relazione al quale è prevista una condizione di proponibilità e non di procedibilità (v. il primo comma dell'art. 46 della l. 3 maggio 1982, n. 203), la Suprema Corte ha invece avuto modo di prendere posizione sostenendo la necessità del tentativo di conciliazione anche per le domande riconvenzionali (v., in materia di contratti agrari, Cass. civ. n. 19436/2008; Cass. civ. n. 23816/2007; Cass. civ. n. 830/2006; Cass. n. 11192/2005; Cass. civ. n. 10993/2003; Cass. civ. n. 10017/2003;Cass. civ. n. 408/2002; Cass. civ. n. 10497/2001; Cass. civ. n. 7445/2001; Cass. civ. n. 593/2001).

Analogamente, in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti ed in relazione all'abrogato art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, si è affermato che la relativa condizione di proponibilità (e non di procedibilità) dell'azione risarcitoria trova applicazione, "tenendo conto del difetto di espresse limitazioni e della "ratio" della disposizione medesima (favore per il soddisfacimento stragiudiziale delle istanze di risarcimento), anche con riguardo alla domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto che assuma a sua volta la responsabilità dell'attore" (Cass. civ. n. 12189/1998. In questo senso v. anche Cass. civ. n. 2269/2006).

Invece, all'art. 2 del regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti, approvato con delibera n. 173/07/CONS. dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si prevede che "l'utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 641 c.p.c. e ss.".

Passando ora all'esame delle domande riconvenzionali formulate nelle controversie relative alle materie soggette a negoziazione assistita obbligatoria in base alla legge n. 162/2014, va in primo luogo osservato che potrebbe sembrare risolutivo il chiaro dettato normativo del comma 1 dell'art. 3, che richiede, come già visto, la condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo in relazione ad ogni domanda che si vuol fare valere in giudizio.

D'altronde, nell'ottica dell'estensione della negoziazione assistita obbligatoria anche alle domande riconvenzionali si può evidenziare che la negoziazione assistita obbligatoria riguarda le domande formulate in giudizio in certe "materie" ed all'interno di queste ultime non può distinguersi in relazione alle modalità di presentazione della domanda.

Senza considerare che, ritenendo diversamente, potrebbe risultare economicamente conveniente, in caso di controversia tra due parti con richieste reciproche, attendere l'iniziativa altrui in sede di negoziazione assistita, non stipulare la convenzione di negoziazione e poi formulare le domande riconvenzionali in giudizio.

Tuttavia, sono diversi gli argomenti che portano a ritenere preferibile la tesi per cui il tentativo obbligatorio di negoziazione non si estende alle domande riconvenzionali in quanto:

1) il suo esperimento non sortirebbe l'effetto di chiudere il giudizio in corso. La conciliazione stragiudiziale, proprio in quanto stragiudiziale, ha lo scopo - nell'intento deflativo perseguito da tutti i sistemi di ADR - di evitare il giudizio, mentre il procedimento di negoziazione assistita sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di negoziazione assistita sulla domanda principale, a porre fine al giudizio. Peraltro, difficilmente l'attore, che ha già (vanamente) sperimentato il procedimento di negoziazione assistita sulla sua domanda, si presenterà di nuovo al tavolo della negoziazione;

2) si allungherebbero notevolmente i tempi di definizione del processo (in contrasto con l'art. 111 della Costituzione). Il procedimento di negoziazione assistita, come gli altri sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, può produrre effetti positivi se non prolunga i tempi processuali, anche considerato che per C. Cost. n. 276/2000 il diritto di azione può essere limitato con la previsione di procedure di negoziazione se vi è un limite temporale. In proposito è il caso di osservare che la possibile violazione del parametro dell'art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo non si pone con riferimento ai contratti agrari ed alla materia della responsabilità civile per sinistri stradali (con riferimento alla proponibilità della domanda di cui all'art. 145, commi 1 e 2, D.lgs. n. 209/2005, c.d. Codice delle assicurazioni)in quanto in questi casi il previo esperimento del procedimento di negoziazione si configura come condizione di proponibilità (e non di procedibilità come nella legge n. 162/2014). Conseguentemente, la domanda riconvenzionale non preceduta dal tentativo di conciliazione viene dichiarata, nei due casi appena indicati, improponibile e non comporta alcun allungamento dei tempi processuali. Diversamente, quando il procedimento di negoziazione viene configurato come condizione di procedibilità, il procedimento va instaurato anche a processo giurisdizionale iniziato, con inevitabile dilatazione dei tempi. Fare rientrare la domanda riconvenzionale nell'ambito della negoziazione assistita obbligatoria rischierebbe di esporre, sotto questo profilo, l'art. 3 del D.L. n. 132/2014 a possibili censure di incostituzionalità per violazione dell'art. 111 Cost. Occorre invece assolutamente procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme della legge n. 162/2014. Peraltro, si consideri che nella realtà dei fatti il giudice, qualora dovesse inviare le parti in negoziazione sulla riconvenzionale, rinvierebbe spesso ad un'udienza di ben oltre tre mesi successiva a quella nella quale ha rilevato l'improcedibilità della riconvenzionale;

3) il tentativo di conciliazione non avrebbe comunque modo di essere esperito in via preventiva (cfr. Trib. Taranto, sez. III, 18 aprile 2002, in Giur. it. 2003, 78 con nota di Rascio, in Giur. merito 2003, 1394 con nota di Tiscini, in Dir. e giur. 2003, 406 con nota di Della Pietra). Non sarebbero invero compatibili, da un lato, una domanda che (come la riconvenzionale) presuppone l'avvenuta instaurazione del processo e, dall'altro, una procedura che, invece, ha l'obiettivo di evitare che il giudizio venga mai ad esistenza;

4) l'art. 3 del D.L. n. 132/2014 prevede che l'improcedibilità vada eccepita dal “convenuto”, in tal modo evidenziando che l'improcedibilità si riferisce solo alle domande dell'attore. Né varrebbe sostenere che l'attore è da qualificare come convenuto in relazione alla domanda riconvenzionale dell'altra parte. In realtà, il destinatario di una domanda riconvenzionale non è un convenuto. Convenuto è solo chi è chiamato in giudizio, chi riceve una vocatio in ius. Il codice di rito non definisce mai come convenuto l'attore che è destinatario di una domanda riconvenzionale. Anche l'art. 183 c.p.c. parla sempre di attore in relazione a colui nei cui confronti viene formulata una domanda riconvenzionale e che può avanzare una reconventio reconventonis. Se il legislatore parla di “convenuto” deve farsi riferimento al concetto di “convenuto” impiegato dallo stesso legislatore;

5) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all'esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (v. Cass. civ. n. 967/2004). Peraltro, questa non è una condizione di procedibilità gratuita ma costosa. E non può non considerarsi, inoltre, che se il giudice manda le parti in negoziazione assistita per la domanda riconvenzionale non è solo il convenuto a pagare il suo avvocato ma vi è anche il fatto che se l'attore accetta di stipulare la convenzione di negoziazione, egli deve pagare il suo legale anche se ha già pagato per la negoziazione assistita sulla domanda principale. E tutto ciò non pare esigibile e sembra lontano dalle effettive esigenze delle parti;

6) occorre evitare che vengano formulate domande riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti di nuovo in negoziazione, allungando così i tempi del giudizio. Né varrebbe osservare che per le riconvenzionali strumentalmente formulate esiste il rimedio previsto dal terzo comma dell'art. 96 c.p.c. come sanzione degli abusi del processo. A parte il fatto che è noto quanto poco sia stata di fatto applicata tale norma (ed è prevedibile che continuerà ad essere scarsamente impiegata anche dopo la sua recente modifica), vi è che, se si fanno rientrare le domande riconvenzionali nell'ambito della negoziazione assistita obbligatoria, intanto tali domande verranno formulate e dovranno essere pure istruite prima di comprendere se sono infondate.

Sarebbe quindi preferibile intendere la locuzione “chi intende esercitare in giudizio un'azione” (art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014) come “chi intende instaurare un giudizio”. In questo senso, con riferimento alla mediazione obbligatoria, v. Trib. Palermo, sezione distaccata di Bagheria 11 luglio 2011.

Ecco che non sembra condivisibile l'impostazione per cui, in caso di proposizione di domanda riconvenzionale non preceduta dal procedimento di negoziazione assistita, il giudice dovrebbe (eventualmente anche disponendo, quando le domande non sono connesse, la separazione della domanda principale dalla domanda riconvenzionale) concedere il termine di 15 giorni per la comunicazione dell'invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita e rinviare ad un'udienza successiva alla scadenza del termine massimo di durata della negoziazione assistita, fissato dall'art. 2 del D.L. n. 132/2014 in 3 mesi prorogabile di altri 30 giorni su accordo delle parti (cfr. sul punto, sempre in relazione alla mediazione obbligatoria, anche Tribunale Padova 22 gennaio 2004, in Riv. dir. agr. 2004, II, 136. Vale comunque la pena di precisare che, pur adottando tale prospettiva, l'accertata improcedibilità di una domanda riconvenzionale in conseguenza dell'omesso tentativo di conciliazione non spiegherebbe ipso facto influenza sulla procedibilità della domanda di parte attrice, dovendosi, anche in relazione ad essa, accertare autonomamente se sia stata o meno preceduta dal tentativo in questione - v. Cass. civ. n. 11374/02).

Il giudice, pertanto, non deve effettuare alcun rinvio e non deve concedere alcun termine per la negoziazione assistita sulla domanda riconvenzionale, la quale va considerata procedibile. Il giudizio deve andare avanti normalmente, in modo da potere avere una durata ragionevole.

Peraltro, si consideri che, se si ritenesse di assoggettare la domanda riconvenzionale al previo espletamento del procedimento di negoziazione assistita, si verificherebbe che il giudice, per non ritardare l'iter processuale sulla domanda principale, dovrebbe, se possibile, come già accennato, separare, ex art. 103 comma 2 c.p.c., la domanda riconvenzionale da quella principale. Ed è del tutto evidente l'enorme incremento del numero dei fascicoli processuali che discenderebbe da un'operazione di sdoppiamento delle cause effettuata tutte le volte in cui c'è una domanda riconvenzionale.

Ponendosi quindi nell'ottica (che non si condivide) di ricondurre la riconvenzionale nell'ambito della negoziazione assistita obbligatoria, è prevedibile che tale separazione avverrebbe di fatto molto raramente, considerato che verrebbe quasi sempre ritenuto non opportuno né una separata decisione delle due domande, molto spesso connesse (oggettivamente e soggettivamente) tra loro, né una sopportazione ad opera delle parti dei costi e degli oneri di due processi.

Nella pratica succederebbe che il giudice rinvierebbe in negoziazione assistita la domanda riconvenzionale senza separare le domande, rinviando tutta la causa ad un'udienza di almeno 4 mesi (3 mesi prorogabili di altri 30 giorni secondo il citato art. 2 D.L. n. 132/2014 successiva ed invitando le parti a riportare in negoziazione assistita anche la domanda principale e ciò nella consapevolezza che difficilmente la negoziazione assistita andrebbe a buon fine su una sola parte della materia del contendere e che comunque nella negoziazione assistita sulla riconvenzionale si tratterebbe inevitabilmente anche della domanda principale.

In presenza di una negoziazione assistita obbligatoria sulla riconvenzionale è da credere che si riterrà che il termine di 3-4 mesi per il procedimento di negoziazione assistita in questione non si dovrebbe contare ai fini della legge Pinto (analogamente a quanto previsto dall'art. 7 del d.lgs. n. 28/2010). Certo, è bene precisare che l'art. 7 del d.lgs. n. 28/2010 è poco compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU che ritiene che il dies a quo della ragionevole durata coincida con il deposito del ricorso o con la notifica della citazione, con la conseguenza che, a giudizio in corso, la sottrazione di tempi per effetto di previsioni normative su subprocedimenti non giurisdizionali (come la mediazione) sembra togliere uno spatium temporis che per la Corte Edu potrebbe risultare lesivo del principio di cui all'art. 6 CEDU.

Comunque, l'invio in negoziazione assistita delle parti sulla domanda riconvenzionale si risolverebbe, molto spesso, dopo il già accertato fallimento della negoziazione assistita sulla domanda principale, nel fallimento anche della negoziazione assistita sulla domanda riconvenzionale, la quale va quindi tenuta fuori, per tutte le ragioni sopra indicate, dalla negoziazione assistita obbligatoria.

A queste conclusioni è giunto, come già osservato e con riferimento alla mediazione obbligatoria, Trib. Palermo, sezione distaccata di Bagheria 11 luglio 2011.

A soluzione diversa è invece pervenuto, con riferimento alla sola ipotesi delle riconvenzionali inedite e sempre relativamente alla mediazione obbligatoria, il Trib. Firenze 14 febbraio 2012, che - in relazione ad un caso in cui la domanda principale non rientrava, ratione temporis, nelle previsioni dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, mentre la domanda riconvenzionale era stata proposta il 13 febbraio 2012, quando cioè il primo comma dell'art. 5 in questione era già entrato in vigore relativamente alla materia oggetto del giudizio, ossia quella locatizia - ha affermato che la domanda riconvenzionale c.d. inedita, cioè non inserita prima in sede di mediazione (ad esempio, nella procedura di mediazione iniziata per la domanda principale), deve reputarsi soggetta al tentativo obbligatorio di conciliazione. Il giudice fiorentino ha valorizzato il favor per le soluzioni alternative delle controversie che emerge dalla direttiva europea in tema di mediazione (2008/52/CE), dalla “magna charta of judges” approvata il 17 novembre del 2010 dal Consiglio consultivo dei giudici europei in seno al consiglio d'Europa e dalla Raccomandazione sui giudici approvata dal Comitato dei Ministri degli Stati europei.

Affermando, poi, che il principio della ragionevole durata del processo andava valutato insieme al principio della ragionevole durata della risoluzione della lite, che la mediazione poteva fare venire meno del tutto, e precisando che non andava disposta la separazione delle domande tenuto conto delle finalità compositive della procedura di mediazione e del fatto che la mediazione deve, per sua natura, riguardare il rapporto nella sua interezza, il Tribunale di Firenze ha quindi non soltanto differito l'udienza ex art. 418 c.p.c. in relazione alla domanda riconvenzionale inedita, ma ha anche assegnato il termine per la proposizione della domanda di mediazione relativamente alla medesima riconvenzionale, rinviando la causa ad epoca successiva al periodo previsto dall'art. 6 del d.lgs. n. 28/2010 per il procedimento di mediazione.

Molto simile era il caso che si è posto davanti al Trib. Como, sez. distaccata di Cantù, ordinanza 2 febbraio 2012. Si trattava di una domanda principale non soggetta alla mediazione obbligatoria (non ratione temporis, però, ma perché afferente materia diversa da quelle indicate al primo comma dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010) e di una domanda riconvenzionale (di usucapione) ritenuta dal giudice rientrante nella mediazione obbligatoria. Il Tribunale di Como ha affermato che anche le domande riconvenzionali inedite vanno in mediazione obbligatoria (anche per evitare un'ingiustificata disparità di trattamento tra attore, onerato di proporre la domanda di mediazione, e convenuto) e che sulle domande principali, che dovrebbero essere separate per evitare l'irragionevole durata del processo, è bene dare luogo alla mediazione su provvedimento del giudice.

La reconventio reconventionis, la chiamata di terzo e le domande trasversali

È noto che il codice di procedura civile consente all'attore di proporre, nell'udienza di prima comparizione, domande ed eccezioni in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto (art. 183, comma 5, c.p.c.). La domanda in questione è la c.d. reconventio reconventionis.

È altrettanto noto, poi, che il convenuto può proporre domanda contro altro convenuto già parte del processo, così come può avanzarle verso chi, non essendo ancora parte del processo, venga chiamato a parteciparvi (artt. 106, 167, ultimo comma e 269, comma 2, c.p.c). Si tratta delle domande trasversali.

Ora, in relazione alla reconventio reconventionis possono riproporsi, mutatis mutandis, le stesse argomentazioni sopra esposte con riferimento alla tesi dell'esclusione della necessità del previo procedimento di negoziazione assistita ai fini della procedibilità della domanda riconvenzionale (invece, sostiene, con riferimento ai contratti agrari, la necessità del tentativo di conciliazione anche alla reconventio reconventionis formulata dall'attore - convenuto in riconvenzionale - Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 1995, n. 465). Si può però aggiungere che l'art. 3 del D.L. n. 132/2014 prevede che l'eccezione di improcedibilità vada formulata dal convenuto entro la prima udienza (in base a quanto previsto dall'art. 3 del D.L. n. 132/2014 l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza ed in particolare prima della concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., in quanto rientrante tra le questioni rilevabili d'ufficio, che vanno evidenziate dal giudice, secondo quanto previsto dall'art. 183 c.p.c., prima della concessione dei termini in questione). E pare davvero inverosimile che il legislatore abbia imposto al convenuto di formulare un'eccezione nella stessa udienza in cui può proporsi la reconventio reconventionis (e lo stesso ragionamento vale, poi, anche per la chiamata del terzo fatta dall'attore).

Con riferimento alle domande trasversali (verso altro convenuto o verso terzi chiamati in causa) ed alle domande del terzo interveniente (in ipotesi di interventi di terzo c.d. innovativi, ossia quelli che comportano un ampliamento del thema decidendum) si noti che anche in questo caso, al pari delle domande riconvenzionali del convenuto, è bene non richiedere la condizione di procedibilità.

La mediazione sulla domanda da parte del terzo o verso il terzo o altro convenuto non ha, in presenza del fallimento della mediazione sulla domanda principale, quasi nessuna possibilità di evitare la controversia. E valgano, poi, le stesse ragioni sopra esposte in relazione all'esclusione dall'ambito della negoziazione assistita obbligatoria delle domande riconvenzionali.

Di contro, nessun problema si pone, all'evidenza, con riferimento agli interventi di terzo non innovativi, poiché non allargano l'oggetto del giudizio.

Inoltre, non ha senso, in caso di negoziazione assistita già effettuata in modo fallimentare sulla domanda principale, inviare al procedimento di negoziazione assistita solo, ad esempio, una domanda di garanzia senza che sia ancora definito processualmente il rapporto principale. Se la domanda di un convenuto verso altro convenuto presuppone la soccombenza del primo nei confronti dell'attore, non vi è alcuna ragione (né mirante ad una composizione della lite né finalizzata ad una deflazione del contenzioso giudiziario) per inviare in negoziazione assistita dopo l'esito negativo della negoziazione assistita sulla domanda principale e prima della statuizione giudiziale definitiva su tale domanda, la domanda in questione. In questo caso, in cui la domanda trasversale del convenuto dipende dalla domanda dell'attore, la negoziazione assistita non avrebbe la possibilità di evitare la controversia. Il processo deve continuare regolarmente.

Certo, è quantomeno utile che gli avvocati indichino nel verbale eventuali contropretese del convenuto in negoziazione e dispongano la chiamata in negoziazione assistita di terzi (quali le compagnie di assicurazione) verso i quali una delle parti intende avanzare domande. Anche perché, altrimenti, l'eventuale accordo raggiunto tra le parti non potrebbe essere fatto valere nei confronti della compagnia.

Ancora si osservi che se si ritenesse di dovere inviare in negoziazione assistita anche le domande riconvenzionali o di terzi o formulate verso terzi si potrebbe pure verificare che, instaurato da un danneggiato un giudizio per un sinistro stradale dopo il fallimento del procedimento di negoziazione assistita, il giudice debba inviare le parti in negoziazione assistita (e rinviare la causa ad oltre 4 mesi) sia dopo l'eventuale riconvenzionale della compagnia si assicurazione sia (a giudizio ripreso dopo la tentata ulteriore negoziazione assistita) dopo l'intervento di un terzo danneggiato che voglia anch'egli ottenere il risarcimento del danno. Né potrebbe dirsi che a questo punto la negoziazione assistita obbligatoria non si applica. Tutte le domande formulate da terzi intervenienti nel corso del giudizio potrebbero comportare procedimenti di negoziazione assistita ulteriori rispetto a quelli già effettuati sulla domanda principale e sulla domanda riconvenzionale.

In conclusione, sembra che vadano escluse dall'ambito della negoziazione assistita obbligatoria tutte le domande (riconvenzionale inedita, domanda trasversale, reconventio reconventionis) che siano diverse da quella dell'attore proposta con l'atto introduttivo del giudizio. Lo scopo del legislatore che ha introdotto la negoziazione assistita obbligatoria è quello di aumentare i casi di composizione extragiudiziale della lite e di introdurre una ridotta limitazione del principio della ragionevole durata del processo. Probabilmente le stesse parti non vedrebbero con favore una soluzione giurisprudenziale costruita nel senso di imporre la (comunque costosa) negoziazione assistita anche sulle riconvenzionali, dopo che un procedimento di negoziazione assistita sulla domanda principale è stato già sperimentato senza che sia emersa in quella sede la questione posta dal convenuto alla base della riconvenzionale. Ed è bene che le soluzioni giurisprudenziali, oltre ad essere costituzionalmente ed eurounitariamente conformi, tengano anche conto del loro impatto pratico.

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