Tabella Veneziana: conflittualità con la Tabella Milanese
10 Novembre 2016
Evoluzione del danno non patrimoniale dalla visione sanzionatoria ex art. 2059 c.c. alla legalizzazione delle tabelle milanesi
La definizione di danno non patrimoniale e la successiva liquidazione del medesimo hanno trovato una soluzione solo in tempi recenti a fronte dei molteplici contrasti sorti sul punto tanto in dottrina che in giurisprudenza. E infatti, a mente dell'art. 2059 c.c., «Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge» mentre, a differenza di quello patrimoniale, non può esser provato nel suo preciso ammontare, e deve essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.. L'opzione ermeneutica originaria che limitava il ristoro del danno non patrimoniale alle sole sofferenze patite dalla vittima (c.d. danno morale) in una ottica interpretativa giurisprudenziale dell'illecito extracontrattuale di tipo sanzionatoria – che voleva punire l'autore dell'illecito per avere tenuto una condotta colpevole e lesiva – è stata successivamente superata (vds. in tal senso l'evoluzione giurisprudenziale maturata dal 2003) da altra più recente tesi della giurisprudenza che ha posto al centro dell'indagine risarcitoria la vittima e le conseguenze negative subite dalla medesima per effetto della ingiusta lesione della sua sfera giuridico patrimoniale così da dare la stura ad un approccio interpretativo che qualifica la risposta risarcitoria come tecnica riparatoria del patrimonio del danneggiato e che, quindi, prescinde dai profili soggettivi del contegno tenuto dal danneggiante. Ne deriva che questo diverso modo di interpretare il danno non patrimoniale ha spinto la giurisprudenza di legittimità quanto quella della Corte delle leggi a riconoscere all'art. 2059 c.c. una autonoma rilevanza nell'ambito del sistema di risarcimento del danno da fatto illecito così da coniare un sistema risarcitorio bipolare che assicura adeguata tutela tanto al danno patrimoniale che a quello non patrimoniale seppure, quanto a questo ultimo, con i limiti della tipizzazione e della gravità e della serietà. Fino alla sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008 n. 26972) e ss., il danno non patrimoniale nella componente di danno morale soggettivo, era inteso come «transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima»: almeno fino al 2003 e conformemente a quanto previsto dall'art. 185 c.p. in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale, l'art. 2059 c.c. trovava applicazione (salve eccezionali ipotesi legislative) pressoché esclusivamente nelle ipotesi di accertamento di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi di un reato. In tale contesto interpretativo è nata l'esigenza di individuare degli strumenti idonei a quantificare detta voce di danno attesa che la sua risarcibilità era rimessa alla valutazione equitativa del giudice ex art. 1226 c.c.. Esigenza che è stata soddisfatta dagli Osservatori organismi spontanei sorti negli Uffici Giudiziari e composti da avvocati e giudici con il fine di monitorare e concordare prassi processuali condivise. Nel 2011 la Suprema Corte, avvertendo che i criteri di liquidazione dei danni alla persona non devono incorrere nei due vizi estremi costituiti rispettivamente dalla rigida fissazione in astratto dei medesimi e dalla sottrazione al giudice di qualsiasi seria possibilità di adattare i criteri legali alle circostanze del caso concreto, ha ritenuto che il contemperamento dei due principi richiede che il criterio di liquidazione associ alla uniformità pecuniaria di base del risarcimento ampi poteri equitativi del giudice eventualmente entro limiti minimi e massimi. Pertanto, in assenza di criteri legali, l'adozione della regola equitativa ex art. 1226 c.c. deve assicurare tanto una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, quanto la uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi: ecco, quindi, che il riferimento al criterio di liquidazione di cui alle tabelle milanesi riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n 12408). Nella menzionata pronuncia la Suprema Corte ha affermato che nella ipotesi di danni alla salute temporanei o permanenti inferiori al 9% della complessiva validità dell'individuo non può trovare applicazione in via analogica l'art 139 d. lgs. n. 209/2005 (c.d. Codice delle Assicurazioni) trattandosi di disciplina normativa settoriale sicché per i postumi di lieve entità non connessi alla circolazione stradale valgono i criteri di cui alla tabella milanese (anche se la l. 189/2012 ha esteso la disciplina di cui all'art 139 d. lgs n. 209/2005 anche al «danno biologico conseguente all'attività dell'esercente le professioni sanitarie»).
Voci dissonanti: le Tabelle indicative del Tribunale di Venezia
Nel mese di maggio 2016, a fronte di un panorama giurisprudenziale che vede “legalizzate” le tabelle milanesi, il Tribunale di Venezia ha adottato una nuova tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona in ambito responsabilità civile che si pone in aperto contrasto con i criteri tabellari milanesi. Le novità introdotte dalla suddetta tabella riguardano: a) il pregiudizio biologico temporaneo da € 100,00 a € 150,00; b) il pregiudizio biologico permanente implica la individuazione di quattro nuove fasce di età con rimodulazione del coefficiente di correzione con il crescere dell'età e possibile personalizzazione con aumento fino al 50%; c) il pregiudizio morale dal 10% al 100% secondo una scala in gravità (lieve 10%, moderato 25%, marcato 40%, severo 70% e grave 100%) viene riconosciuto sulla base di quanto liquidato per il pregiudizio biologico temporaneo e permanente in percentuale; d) i valori del pregiudizio da perdita del congiunto o convivente sono incrementabili fino al 100%; e) il danno terminale è quantificato ponendo come unità di base € 150,00 da moltiplicare per il coefficiente 100 per ciascuna voce (biologico e catastrofale) e per il numero di giorni di sopravvivenza. Le ragioni che sono alla base della adozione di una tabella autonoma rispetto a quella milanese si spiegano sulla scia dell'insegnamento delle sentenze di San Martino e del conseguente consolidamento di un sistema risarcitorio bipolare – in cui all'interno del segmento non patrimoniale le diverse voci di danno devono essere liquidate unitariamente conservando solo una funzione descrittiva- e del riconoscimento che il pregiudizio di carattere morale non include solo la sofferenza transitoria ma si estende a quella derivante da non poter più fare. Pertanto il tribunale lagunare ha evidenziato che: a) quanto al pregiudizio di natura biologica, pur trovando applicazione il sistema tabellare milanese “legalizzato” dalla Suprema Corte nel 2011, la valutazione economica dovrebbe essere aggiornata per adeguare il quantum all'effettivo sentire sociale alla luce del principio ricavabile da altra pronuncia della stessa Corte (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014 n. 1361). Sempre da altra pronuncia della Cassazione (Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2015, n. 16197) sarebbe dato desumere che il sistema tabellare milanese pur perseguendo il fine di assicurare valutazioni unitarie non consentirebbe al danneggiato di ottenere l'integrale risarcimento del danno sicchè sul punto sarebbe privo di efficacia vincolante; b) quanto al pregiudizio di carattere morale in parallelo con lesioni della validità psicofisica, sul presupposto che esso deve comprendere anche la sofferenza derivante da non poter più fare, la consueta parametrazione sulla componente biologica (temporanea e permanente) dovrà essere aggiornata superando la distinzione tra lesioni di lieve e non lieve entità e procedendo, sulla base di specifiche allegazioni delle parti, suscettibili di verifica in sede di CTU, ad una classificazione cui corrisponderà una percentuale da applicare sulla base di calcolo; c) quanto al pregiudizio di natura non patrimoniale svincolato dalla lesione della salute la liquidazione avverrà in via indicativa tenendo conto del rilievo della posizione soggettiva lesa, della gravità della lesione, dell'incidenza sulla dignità della persona e della natura e del profilo psicologico della condotta del soggetto danneggiato; d) quanto al pregiudizio derivante da perdita di congiunto la liquidazione sarà effettuata facendo applicazione dei valori tabellari massimi incrementabili fino al 100% al cospetto dei consueti parametri utilizzati per la concreta ponderazione del danno (età della vittima; età del sopravvissuto; convivenza; estensione del nucleo familiare); e) quanto al pregiudizio tanatologico e biologico terminale mentre per il primo, alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 22 luglio 2015 n. 15350), non viene tabellato alcun valore, per il secondo nella sue due componenti (biologico e catastrofico) si propone di applicare per ciascuna voce il valore di € 150,00 da moltiplicare per il coefficiente di 100 per ogni giorno (o frazione di giorno nel caso di decesso entro le ventiquattro ore dall'evento) atteso che i comuni parametri di liquidazione del danno temporaneo darebbero luogo a una liquidazione irrisoria.
In conclusione
Il danno non patrimoniale è quasi una sorta di personaggio pirandelliano in cerca però non già di un autore (quello è noto se si legge l'art. 2043 c.c.), ma piuttosto di una sua identità tanto qualificatoria che liquidatoria. Ora non v'è dubbio che, in materia risarcitoria, uno dei maggiori progressi compiuto dalla giurisprudenza, tanto di merito che di legittimità quanto di quella della Corte delle Leggi, è stato porre al centro dell'attenzione della questione risarcitoria la vittima e non già l'autore del danno. Ne è seguito che questa vittima non poteva soffrire limitazioni al ristoro del danno subito sulla base di costruzioni dogmatiche del tutto anacronistiche: in tal senso già la Carta Costituzionale del 1948 già prima dell'intervento ermeneutico della Corte di Legittimità e di quella delle Leggi esprimeva all'art. 2 il riconoscimento della rilevanza della persona umana in ogni suo aspetto (tanto individuale che come formazione sociale) sicché, con il senno di poi, il ristoro del danno non patrimoniale nei termini sopra indicati ben poteva leggersi quasi come una sorta di atto dovuto. Ebbene il punto di forza delle tabelle milanesi, in tal senso colto e valorizzato dalla Suprema Corte nel 2011, è stato quello di elaborare un sistema liquidatorio del danno non patrimoniale non solo dotato di una indubbia flessibilità che lo ha reso compatibile con le evoluzioni concettuali maturate dalla giurisprudenza in ordine alla stessa qualificazione di detta voce di danno ma anche quello di esprimere la sintesi tra due contrapposte esigenze di assicurare la uniformità pecuniaria di base del risarcimento con gli ampi poteri equitativi del giudice eventualmente entro limiti minimi e massimi in una ottica di personalizzazione del danno non patrimoniale. Insomma sullo sfondo del disegno sotteso alla elaborazione delle tabelle milanesi vi è sempre stata la vittima: una vittima che subisce sì menomazioni che incidono nella sua sfera individuale, ma che devono essere parametrare ad un criterio generalizzante che assicuri a tutte le vittime di quel tipo di danno una parità di trattamento ai sensi dell'art. 3 Cost. Ecco, quindi, che quello che viene definito come un aggiornamento di tipo incrementativo dal tribunale lagunare nella tabella in esame pone in realtà una serie di interrogativi che finiscono per farne emergere la illegittimità e la inopportunità. E, infatti, la stessa pronuncia della Suprema corte richiamata nella tabella lagunare (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12408) è stata chiara nell'affermare il principio secondo il quale l'applicazione di diverse tabelle rispetto a quelle elaborate dal tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge. Ne consegue che è lo stesso tribunale lagunare a riconoscere implicitamente, attraverso il richiamo alla suindicata pronuncia di legittimità, di avere adottato un sistema tabellare geneticamente e intrinsecamente illegittimo perché contrario ad altro – quello milanese- da ritenersi ormai “legalizzato”. A ciò si aggiunga che le ragioni addotte a giustificazione della deroga tabellare risultano ancor più viziate e inopportune perché richiamano un criterio, quale è quello indicato della necessità di adeguare i valori tabellari all'effettivo sentire sociale che è, invece, stato stroncato dalla Suprema Corte nella pronuncia a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 22 luglio 2015 n. 15350), laddove si è affermato che il ricorso al criterio della coscienza sociale, se può avere rilievo sul piano assiologico e delle modifiche normative, non può guidare l'attività dell'interprete del diritto positivo. Del pari la pretesa distorsione da cui sarebbero affette le tabelle milanesi in ordine alla mancata copertura integrale del danno risulta frutto di interpretazione apodittica atteso che proprio in un passaggio della sentenza richiamata dal tribunale lagunare (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014 n 1361) per sostenere la validità del modello elaborato è dato, piuttosto, leggere che: «Si è in dottrina obiettato che la riparazione integrale del danno non costituisce principio costituzionalmente garantito. La stessa Corte Costituzionale ha in effetti in più di un'occasione escluso che la regola generale di integralità della riparazione ed equivalenza al pregiudizio cagionato al danneggiato abbia copertura costituzionale da ultimo v. C. Cost. (ord.), 28 aprile 2011, n. 157, ponendo in rilievo che in casi eccezionali il legislatore ben può ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento del danno, sia nel campo della responsabilità contrattuale (v. ad es., artt. 1784 e 1786 c.c. e artt. 275, 412 e 423 c.n.), che in materia di responsabilità extracontrattuale, in considerazione delle particolari condizioni dell'autore del danno (v. C. Cost., 6 maggio 1985, n. 132)». Principio che è stato riaffermato anche nella recente pronuncia a Sezioni Unite del Cass. civ., sez. un., 22 luglio 2015 n.15350. Se, quindi, il principio di integralità del ristoro del danno non trova cittadinanza nel nostro ordinamento, ecco che la tabella lagunare presenta un ulteriore profilo di illegittimità perché si pone in contrasto con altro e consolidato principio che è quello della unitarietà del danno non patrimoniale, e che si risolve nella impossibilità di liquidare lo stesso danno due volte solo perché chiamato con nomi diversi; la introduzione di criteri correttivi nella liquidazione del danno non patrimoniale da parte del tribunale lagunare, in ragione di un inesistente principio di integralità della riparazione del danno, finisce per celare dietro ad una apparente “etichetta giuridica” la violazione della stessa unitarietà del danno non patrimoniale ormai affermata a gran voce dalla Suprema Corte. In sintesi, lo sforzo del tribunale di Venezia di elaborare un sistema tabellare compensativo si risolve in uno strumento sostanzialmente illegittimo e, quindi, contrario alle stesse premesse di adottare un strumento che fosse capace di soddisfare le ragioni di equità ritenute non pienamente assicurate dalle tabelle milanesi le uniche che, allo stato, risultano dotate della patente di legalità come riconosciuta dalla Suprema Corte. Strumento anche inopportuno, perché ingenera nel cittadino la convinzione che la giustizia non segua criteri oggettivi ma sia retta da localismi, che si giustificherebbero in nome di una diversa coscienza sociale (e locale!). DAMIANO SPERA, Tabella del Tribunale di Milano, Bussola del 21 ottobre 2015, RIDARE; DAMIANO SPERA, Le Supreme Corti hanno validato le tabelle milanesi e ora ispirano l'osservatorio di Milano nelle proposte di nuove tabelle, Focus del 27 giugno 2016, RIDARE; FILIPPO MARTINI, Danno biologico: la “pax milanese” sotto il tiro di Venezia, Guida al Diritto/Il Sole 24 ore, n 28 del 2 luglio 2016.
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