Brexit: quali ricadute sulle controversie in materia di rc con “fattori britannici”?

11 Luglio 2016

Nel recente referendum tenutosi in Gran Bretagna hanno prevalso i voti favorevoli all'uscita dall'Unione Europea, ma gli sviluppi successivi della Brexit sono ancora incerti. Nell'attesa di conoscere se e con quali tempistiche avrà luogo tale storico passaggio, conviene, comunque, cominciare a vagliare i possibili scenari futuri e, quindi, le implicazioni dell'eventuale recesso del Regno Unito dall'Unione sia sulle controversie con “fattori britannici” (ciò con particolare riguardo per il campo della responsabilità civile) che sull'evoluzione del diritto UE.
Premessa: la qeustione

Il 23 giugno 2016, come noto, si è tenuto in Gran Bretagna il referendum sulla permanenza nell'Unione Europea. Hanno vinto i sostenitori del “leave” con il 51,9%.

Quali sono e saranno le ricadute sulle controversie per sinistri che annoverino almeno un “elemento britannico”?

Ci si riferisce qui a quelle controversie relative, per esempio, a sinistri che si siano verificati oltremanica in danno di persone residenti in Italia, ad incidenti occorsi in Italia che annoverino danneggiati o responsabili civili britannici (con cause azionate da noi o nel Regno Unito) e, ancora, ad eventi dannosi che vedano coinvolte, sul piano della tutela assicurativa, compagnie d'assicurazione britanniche.

Nessuna ricaduta giuridica immediata

L'Unione Europea, per il momento e per diverso tempo ancora, è e sarà destinata a rimanere composta da 28 Stati Membri, Regno Unito compreso.

Infatti, l'art. 50 della versione consolidata del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (2012/C 326/01) prevede una procedura speciale, introdotta per la prima volta con il Trattato di Lisbona, per il recesso di uno Stato membro dall'Unione, procedura che non contempla effetti immediati di nessun tipo.

Innanzitutto, lo Stato membro, che intende muoversi in tale direzione, deve «decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione» (par. 1) e poi procedere a notificare «tale intenzione al Consiglio europeo» (par. 2).

Per il momento (luglio 2016) il Regno Unito non ha ancora compiuto il suo percorso decisionale (trattavasi, infatti, di un referendum consultivo). Anzi, oltremanica si discute attualmente sulla necessità o meno di un'approvazione del “leave” da parte del Parlamento, questione che è lungi dall'essere risolta dallo European Union Act del 2011; si dibatte, altresì, sul fatto che il risultato del referendum sia vincolante per il Parlamento (cfr. T.T. Arvind, R. M. Kirkham, L. Stirton, Article 50 and the European Union Act 2011: Why Parliamentary Consent is Still Necessary, in U.K. Const. L. Blog, 1st Jul 2016, http://ukconstitutionallaw.org). Dunque, si hanno significative incertezze sulle regole costituzionali stesse operanti in materia, sicché si preannunciano tempi lunghi per una conferma dell'intenzione della Gran Bretagna di recedere dall'Unione. Tantomeno il Regno Unito, ora alle prese anche con problemi economici e politici decisamente spinosi (ivi compresa una possibile scissione con la Scozia), ha dato luogo alla predetta notificazione.

Dunque, soltanto se e quando interverrà tale imprescindibile comunicazione, potrà avviarsi la fase delle trattative durante la quale l'Unione negozierà con lo Stato uscente, «alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo», «un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione» (par. 2). L'accordo, posto che nel corso delle trattative non intervengano altre soluzioni atte a scongiurare il recesso, sarà «concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo» (par. 2).

Ciò ricordato, neppure durante il periodo delle predette trattative si dovrebbero annoverare significative deviazioni del Regno Unito dal percorso giuridico degli altri Stati membri: infatti, come puntualizzato senza particolari equivoci, dal para. 3 dell'art. 50, «i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso» (pertanto, soltanto da tale momento lo Stato recedente può ritenersi svincolato dal dovere di rispettare i trattatati, ivi compreso l'obbligo di dare attuazione a regolamenti e direttive); unicamente «in mancanza di tale accordo» entro due anni dopo la notifica, di cui al par. 2, si ha la cessazione automatica dell'applicazione dei trattati, «salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine».

Infine, va debitamente rimarcato come la procedura di recesso non sia mai stata sperimentata in precedenza, sicché rimangono dischiuse le porte, tanto per il Regno Unito che per le istituzioni UE, a svariate opzioni interpretative/applicative.

Gli incerti scenari futuri

Fermo restando che per il momento non è affatto scontata l'effettiva uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, nell'eventualità del recesso si possono ipotizzare essenzialmente due scenari, entrambi connotati da profonde incertezze delle quali è opportuno tener conto sin d'ora in vista dell'instaurazione di cause “cross-border” con “fattori britannici”, giacché non può escludersi l'intervento in corso di causa degli effetti concreti della Brexit.

Il primo scenario ipotizzabile è quello della permanenza della Gran Bretagna nello Spazio Economico Europeo (S.E.E.). Il secondo è quello che vedrebbe il Regno Unito uscire anche dal S.E.E.; in questo secondo scenario ogni futuro rapporto con l'Unione Europea dipenderebbe in via esclusiva dagli accordi che saranno assunti nelle negoziazioni ex art. 50 TUE.

In relazione al primo scenario va ricordato per sommi capi quanto segue:

  • il 1° gennaio 1994 venne alla luce il S.E.E. in seguito ad un accordo (firmato il 2 maggio 1992) tra, da un lato, l'Associazione Europea di Libero Scambio (AELS) e, dall'altro lato, l'Unione europea con lo scopo di permettere ai Paesi AELS di partecipare al mercato europeo comune senza dover essere membri dell'Unione;
  • l'AELS (nota anche con l'acronimo «EFTA» dall'inglese European Free Trade Association) fu istituita il 3 maggio 1960 come alternativa per gli stati europei che non volevano, o non potevano ancora, entrare nella Comunità Economica Europea; a fondarla furono sette Stati: Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito; nel 1961 si associò all'AELS anche la Finlandia; nel 1970 entrò a farne parte l'Islanda e nel 1991 il Liechtenstein; successivamente, con l'adesione di diversi suoi membri dapprima alla CEE e poi alla UE, l'EFTA venne a ridursi a soli quattro Stati: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera; quest'ultima, a seguito di referendum, è rimasta fuori dal S.E.E., rimanendo, tuttavia, legata alla UE con un accordo bilaterale.

Ciò premesso, si potrebbe allora pensare, per l'appunto, ad un'adesione del Regno Unito al S.E.E..

In questo scenario il Regno Unito rimarrebbe normativamente agganciato all'Unione Europea per molteplici aspetti, tra i quali diversi anche rilevanti ai fini delle controversie qui in disamina.

Svariate direttive, infatti, trovano applicazione anche nei confronti degli Stati non-UE aderenti al S.E.E.: si pensi, per esempio, alla dir. 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, ed alla dir. 2009/103/CE concernente l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità. Anche la dir. 85/374/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, modificata dalla dir. 1999/34/CE, si estende ad Islanda, Liechtenstein, Norvegia.

Deve pure rilevarsi come in questo scenario non vi sarebbero particolari divergenze in relazione alle questioni inerenti la competenza giurisdizionale: difatti, al posto del regolamento (UE) n. 1215/2012Bruxelles I-bis»), concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, opera per gli Stati non-UE aderenti al S.E.E. la Convenzione di Lugano («Lugano II») del 2007, che sostanzialmente ricalca il regolamento (CE) n. 44/2001 («Bruxelles I»). Semmai si registrerebbe un solco piuttosto rilevante sul versante del riconoscimento e dell'esecuzione delle sentenze straniere, attese le novità apportate dal Reg. (UE) n. 1215/2012 al precedente modello di cui regolamento (CE) n. 44/2001, nonché risultando altamente improbabile un prossimo allineamento della nuova Convenzione di Lugano al recast di «Bruxelles I».

Semmai potrebbero intervenire percorsi distinti sul fronte dei criteri funzionali all'individuazione della legge applicabile, ciò in quanto sia il Reg. CE n. 864/2007 dell'11 luglio 2007Roma II») sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali che il Reg. (CE) n. 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali («Roma I») trovano applicazione soltanto nei confronti degli Stati membri dell'Unione Europea (Danimarca esclusa).

Eventuali future modifiche su questo versante, tuttavia, non si rifletterebbero sulle controversie con “fattori britannici” instaurate in Italia, atteso il carattere universale dei criteri di collegamento di cui ai predetti due regolamenti.

Semmai, tanto per le controversie instaurate in Italia che per quelle incardinate nel Regno Unito, si potrebbe assistere, già anche per quei giudizi avviati prima del recesso ed entrati nella fase istruttoria soltanto dopo la conclusione della procedura di cui all'art. 50, a significativi mutamenti, in corso di causa, dei regimi operanti per l'acquisizione “cross-border” delle prove (dichiarazioni testimoniali, documenti, accertamenti tecnici su cose o persone, ecc.).

Infatti, trovando applicazione con riferimento ai soli Stati Membri UE, il Reg. (CE) N. 1206/2001 del 28 maggio 2001 relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale non sarebbe più applicabile al Regno Unito, con conseguente inapplicabilità delle importanti semplificazioni procedurali ivi sancite per l'acquisizione delle prove all'estero (invero, soluzioni, comunque, spesso negate dai giudici nostrani per scarsa conoscenza delle procedure e dei diritti di cui a tale regolamento).

Logicamente, salvo accordi ad hoc tra Unione Europea e Regno Unito, potrebbero poi intervenire ostacoli in ordine alla possibilità per gli avvocati britannici e viceversa per quelli UE di rappresentare processualmente i propri assistiti nelle rispettive giurisdizioni, ciò con effetti anche sulle cause in corso (sicché sarà opportuno sin d'ora premunirsi al riguardo facendo attenzione a contemplare una rappresentanza anche disgiunta laddove in delega compaiano tanto avvocati inglesi quanto legali residenti in altri Stati membri).

In breve, anche nello scenario della permanenza del Regno Unito nel S.E.E. ci potremmo trovare ad assistere a significativi cambiamenti.

Si pensi, tra l'altro, al venire meno, fatte salve specifiche intese sul punto, del sistema di tutela indennitaria “cross-border” previsto dalla dir. 2004/80/CE del 29 aprile 2004 relativa all'indennizzo delle vittime di reati violenti intenzionali: tale prospettiva di minore tutela graverà tanto sui residenti italiani in transito od in soggiorno sul territorio britannico quanto per i residenti nel Regno Unito in visita in Italia.

Il dato forse più eclatante è, però, il seguente: anche nello scenario ora in disamina (dunque, nonostante la permanenza nel S.E.E.) il Regno Unito non sarebbe più assoggettato alla giurisdizione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Tuttavia, rimanendo nel S.E.E., il Regno Unito perlomeno dovrebbe confrontarsi con la Corte EFTA (Court of Justice of the European Free Trade Association States), che rispetto agli Stati AELS ad essa aderenti (Islanda, Liechtenstein, Norvegia), opera sostanzialmente quale alter ego della Corte di Giustizia UE nell'interpretazione degli stessi strumenti legislativi. La Corte EFTA, peraltro, si uniforma ai precedenti della Corte di Giustizia UE. Quest'ultima a sua volta si è richiamata ai precedenti della prima, come per esempio verificatosi in tre recenti pronunce della Corte di Giustizia occupatesi della questione della risarcibilità del danno non patrimoniale in seno alle direttive assicurazioni autoveicoli (Haasová c. Petrík e Holingová, Corte giust. Ue, Sez. II, 24 ottobre 2013, C 22/12; Drozdovs c. Baltikums AAS, Corte giust. Ue, Sez. II, 24 ottobre 2013, C-277/12; Petillo c. Unipolsai, Corte Giust. UE, Sez. II, 23 gennaio 2014, causa C-371/12; in queste tre pronunce è stata richiamata, in termini adesivi, la sentenza Celina Nguyen c. Norvegia, Corte EFTA, 20 giugno 2008, causa E-8/07).

In definitiva nello scenario S.E.E. il Regno Unito - per quanto qui d'interesse innanzitutto nel campo dei sinistri stradali - rimarrebbe agganciato al diritto UE, pur senz'altro con significativi distacchi dallo stesso.

Diverso è, invece, il caso di un divorzio ancora più radicale dall'Europa: ossia l'uscita del Regno Unito anche dal S.E.E..

In questa ipotesi il Regno Unito, fatti salvi diversi accordi, risulterebbe parificabile in tutto e per tutto ad una nazione extracomunitaria, come può esserlo, tanto per fare degli esempi, il Canada piuttosto che il Brasile o l'Albania.

Non è, tuttavia, da escludersi che anche in quest'ultima estrema prospettiva la Gran Bretagna possa mantenere, sul piano del diritto sostanziale, delle strette connessioni con il diritto UE. Anzi, si può già oggi pacificamente escludere una riscrittura della normativa attualmente in vigore oltremanica all'indomani del suo recesso. Infatti, sotto molti profili il Regno Unito non risulta avere alcuna necessità di soppiantare le norme UE, del resto avendo contribuito a crearle (spesso con una partecipazione ai lavori preparatori più seria e fattiva rispetto a quella di molti altri Stati membri).

In conclusione: : le ricadute negative sull'evoluzione del diritto UE

All'indomani del referendum britannico, la Brexit è stata percepita nel resto dell'Unione Europea come un evento tale da comportare implicazioni primariamente economiche e politiche, non già altresì idoneo a mutare tutele sostanziali delle persone e produzione normativa stessa dell'Unione.

Tuttavia, nel caso in cui il voto espresso dal 51,9% dei votanti britannici avesse un seguito, si verrebbero a registrare importanti ricadute negative anche sul piano giuridico, ciò non solo in relazione a tutta una serie di controversie “cross-border” con uno o più “fattori britannici”, ma altresì, più in generale, tanto in termini di minori tutele per i numerosi residenti UE in transito sul territorio britannico (fatta eccezione in primis per il caso dei sinistri stradali nel caso di permanenza del Regno Unito nel S.E.E.) quanto pure in relazione alla qualità stessa del futuro diritto UE.

A quest'ultimo proposito, infatti, verrebbe a perdersi in larga misura, sia in seno alle istituzioni politiche UE (Consiglio, Commissione e Parlamento) sia nella Corte di Giustizia dell'Unione, quel prezioso confronto e quella proficua competizione, da sempre decisamente fondamentali nell'evoluzione del diritto UE, tra modelli di civil law e modelli di common law.

Verrebbe, inoltre, a mancare il contributo dei giuristi inglesi a tutti i livelli della produzione normativa UE, apporto lungi dall'essere marginale, come, del resto, dimostrano inequivocabilmente i lavori preparatori di regolamenti e direttive (ove spesso gli inglesi sono risultati tra i più assidui, annoverandosi invece assenti cronici tra altre fila, Italia compresa). Tanto per fare un esempio concreto basti pensare, ancora da ultimo, a quanto sia stato importante il contributo dei britannici nella preservazione di tutta una serie di diritti (anche risarcitori) dei consumatori in seno alla dir. (UE) 2015/2302 del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che abroga la dir. 90/314/CEE (la nuova direttiva sui “viaggi tutto compreso”). Si aggiunga al riguardo come diversi casi affrontati dalla Corte di Giustizia siano scaturiti da procedimenti inglesi: la giustizia britannica, invero, è risultata un'autentica fucina di questioni preliminari sottoposte all'attenzione della Corte.

Vanno, infine, rimarcate possibili ricadute in peius sul versante dell'editoria giuridica dedita allo studio e alla divulgazione del diritto UE: infatti, è indiscutibile come nell'ultimo ventennio le case editrici britanniche, innanzitutto (ma non solo) per ragioni linguistiche, abbiano giocato un ruolo importante.

In definitiva il diritto UE e l'Europa dei diritti rischiano di perdere non poco dall'uscita del Regno Unito.

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