La Cassazione e le macchie d’olio sulla strada

Mauro Di Marzio
14 Maggio 2015

In tema di responsabilità da cosa in custodia, la presunzione stabilita dall'art. 2051 c.c., presuppone la dimostrazione, ad opera del danneggiato, dell'esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso. Il comportamento del custode è estraneo alla struttura della menzionata norma codicistica, laddove il fondamento della sua responsabilità va ricercato nel rischio che grava su di lui per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito. Va pertanto confermata la responsabilità dell'Anas per un sinistro occorso ad un automobilista uscito di strada per la presenza di una macchia sull'asfalto, atteso che l'ente non aveva fornito la prova del caso fortuito.
Massima

In tema di responsabilità da cosa in custodia, la presunzione stabilita dall'art. 2051 c.c., presuppone la dimostrazione, ad opera del danneggiato, dell'esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso. Il comportamento del custode è estraneo alla struttura della menzionata norma codicistica, laddove il fondamento della sua responsabilità va ricercato nel rischio che grava su di lui per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito. Va pertanto confermata la responsabilità dell'Anas per un sinistro occorso ad un automobilista uscito di strada per la presenza di una macchia sull'asfalto, atteso che l'ente non aveva fornito la prova del caso fortuito.

Il caso

Un uomo alla guida di un'autovettura perde il controllo del veicolo a causa di una macchia d'olio sul manto stradale, esce di strada e subisce danni. Ne chiede il risarcimento all'Anas, ente proprietario della strada. Quest'ultimo resiste alla domanda, negando ogni propria responsabilità. L'attore vince in primo e secondo grado e la decisione è confermata dalla Corte di cassazione.

La questione

Come tutti sanno, il caso del sinistro stradale cagionato da macchie d'olio o altre analoghe cause si presenta, nelle aule giudiziarie, con grande frequenza. In tale ipotesi sorge la questione della norma applicabile — se e quando l'art. 2043 c.c., se e quando l'art. 2051 c.c. — e del conseguente riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, esamina la vicenda essenzialmente attraverso la lente dell'art. 2051c.c., e — pur non citando alcun precedente — è conforme al dictum di Cass. civ., sez. III, sent., 19 febbraio 2008, n. 4279, riguardante però una fattispecie del tutto diversa (tuffo nel lago di Garda da un pontile di attracco per imbarcazioni).

A fronte della doglianza spiegata nel ricorso per cassazione dall'Anas, che aveva lamentato la mancata verifica della concreta possibilità di esercitare i poteri di custodia sulla strada, dal momento che la macchia d'olio costituiva un'alterazione repentina della res, rispetto alla quale nessun potere di custodia era concretamente esercitabile, la S.C. osserva in particolare:

  1. che l'art. 2051 c.c., dettato in tema di danni da cose in custodia, prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, sicché il custode è responsabile a condizione, necessaria e sufficiente, della sussistenza del nesso di causalità tra la cosa e il danno;
  2. che la responsabilità è esclusa soltanto dal caso fortuito, la cui prova incombe sul custode;
  3. che, conseguentemente, la condotta del custode medesimo si colloca al di fuori della fattispecie normativa, nulla rilevando, dunque, per i fini dell'esclusione della responsabilità, che l'Anas avesse o meno osservato il proprio obbligo di vigilanza del tratto stradale.
Osservazioni

A ben vedere, i termini della questione — se l'art. 2051 c.c. si applichi in caso di sinistri cagionati da irregolarità o anomalie del manto stradale — sono un po' più complessi di quanto non emerga dalla sentenza che stiamo esaminando: e la complessità discende da un innegabile dato obiettivo, quale l'impossibilità per l'ente proprietario della strada di garantire un continuo ed efficace controllo sulla rete stradale, considerata la sua estensione e l'apertura all'uso della generalità dei cittadini.

Andiamo per ordine.

Quanto all'art. 2051 c.c., la Suprema Corte ha per lungo tempo ritenuto che la norma ponesse un'ipotesi non già di responsabilità oggettiva, bensì di colpa presunta: la differenza è, ovviamente, colossale, giacché, se si costruisce la fattispecie come colpa presunta, il custode si libera dimostrando di non essere incorso in colpa e, cioè, di essere stato diligente; se si costruisce la fattispecie come responsabilità oggettiva, il custode si libera dando la prova del caso fortuito, ossia di un evento che interviene ab externo (anche sotto specie di fatto del terzo o del danneggiato), recidendo il nesso di causalità. Ma, in effetti, come osserva anche la sentenza in esame, sono ormai molti anni che il Supremo Collegio riconduce l'art. 2051 c.c. all'ambito della responsabilità oggettiva, fondata come tale sulla mera sussistenza del nesso di causalità materiale: la sentenza della svolta oggettivista può essere individuata in Cass.civ., sez. III, sent., 20 maggio 1998, n. 5031, dopodiché si sono alternate decisioni in un senso e nell'altro, ma le ultime che hanno letto nell'art. 2051 c.c. una presunzione di colpa risalgono al 2006-2007 (l'ultima, se non m'inganno, è Cass. civ., sez. III, sent., 2 febbraio 2007 n. 2308, che, proprio in materia di sinistro cagionato da una strada mal tenuta, ha affermato che l'amministrazione si libera dalla presunzione di colpa dimostrando di aver fatto tutto quanto previsto dalla normativa applicabile), mentre la giurisprudenza successiva si è tutta attestata sul fronte della responsabilità oggettiva (Cass. civ., sez. VI-III, sent., 27 novembre 2014 n. 25214; Cass. civ., sez. III, sent., 13 marzo 2013, n. 6306; Cass. Civ., Sez. III, sent., 5 febbraio 2013, n. 2660; Cass. civ., Sez. III, sent., 8 febbraio 2012, n. 1769; Cass. civ., sez. III, sent., 19 maggio 2011, n. 11016; Cass. civ., sez. III, sent., 24 febbraio 2011, n. 4476).

Va quindi rammentato che, in un passato ormai remoto, si tendeva ad escludere l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla pubblica amministrazione, in particolare nel settore dei sinistri cagionati da irregolarità o anomalie del manto stradale. Come tutti sanno, si faceva applicazione della costruzione pretoria del danno da «insidia o trabocchetto» (pericolo occulto, oggettivamente non visibile e soggettivamente non prevedibile, tale da determinare il danno), inquadrato nell'ambito di applicazione dell'art. 2043 c.c., con il conseguente carico (pressoché integralmente spostato sul danneggiato) degli oneri probatori.

La giurisprudenza ha in seguito modificato questa impostazione, vista da più parti come ingiustificato privilegio riconosciuto alla pubblica amministrazione: è stata così riconosciuta l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. nel caso dei sinistri cagionati dalle strade, ma — questo il punto che occorre qui sottolineare e che la sentenza in esame sembra non aver considerato — non si è trattato di un riconoscimento incondizionato, giacché l'oggettiva impossibilità di un controllo costante ed efficace della rete stradale è, come si diceva, un fatto innegabile.

Il banco di prova del nuovo indirizzo, inaugurato da Cass. civ., sez. III, sent., 13 gennaio 2003,n. 298, è stato quello degli incidenti sulle autostrade. Nella menzionata pronuncia, la Suprema Corte, dopo aver ribadito il tradizionale principio secondo cui l'art. 2051 c.c. non si applica a beni di estensione tale da non consentire un'efficace controllo, ha tuttavia aggiunto che, considerate le opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico, la norma deve ritenersi applicabile alle autostrade, «per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza». La pronuncia, tuttavia, contiene un'importante distinguo, giacché evidenzia come debbano essere trattate diversamente:

i) le situazioni di pericolo «immanentemente connesso alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada» (ad es., irregolarità del manto stradale, insufficienza delle protezioni laterali, segnaletica inadeguata);

ii) le situazioni di pericolo «provocato dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa, che pongano a repentaglio l'incolumità degli utenti e l'integrità del loro patrimonio» (e, evidentemente, questo è il caso delle macchie oleose, visto che sorgenti petrolifere al di sotto delle nostre strade, purtroppo, non ce ne sono).

Ebbene, nel primo caso si applica l'art. 2051 c.c.: il pericolo provocato dagli stessi utenti o dall'imprevedibile alterazione dello stato della cosa configura per l'appunto, invece, secondo la citata decisione del giudice di legittimità, ipotesi di caso fortuito, a meno che tale pericolo, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimosso o segnalato, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. Quest'indirizzo è stato successivamente più volte ribadito (Cass. civ., sez. III, sent., 29 marzo 2007, n. 7763; Cass. civ., sez. III, sent., 3 aprile 2009, n. 8157; Cass. civ., sez. III, sent., 20 novembre 2009, n. 24529).

Nel caso in esame, l'Anas aveva sostenuto proprio tale tesi: ossia che la macchia d'olio fosse stata presumibilmente determinata da un qualche veicolo in transito, dopo l'orario giornaliero entro cui la manutenzione della strada era assicurata, senza che potesse essere dunque tempestivamente rimossa. E non sorprende che, in fattispecie almeno apparentemente del tutto analoga a quella che oggi commentiamo, la Suprema Corte sia pervenuta all'opposto risultato, affermando che il proprietario della strada non risponde della macchia d'olio: «La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l'amministrazione liberata dalla medesima responsabilità ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d'olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato la rovinosa caduta di un motociclista) la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode» (Cass. civ., sez. III, sent., 12 marzo 2013, n. 6101).

In definitiva, a quanto pare, una medesima fattispecie concreta, due applicazioni giurisprudenziali contrastanti. Di qui il semplice consiglio pratico ai lettori: prima di iniziare una causa, dire una preghierina a Sant'Ivo, che è il santo protettore degli avvocati.

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