Danno non patrimoniale: un rotondo «no» alle duplicazioni risarcitorie

Mauro Di Marzio
19 Gennaio 2015

Il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo «tenuto conto della gravità delle lesioni».
Massima

Cass. civ., sez. III, sent., 7 novembre 2014, n. 23778

Il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo «tenuto conto della gravità delle lesioni».

Sintesi del fatto

Nel lontano 1991 ha luogo un sinistro stradale a seguito del quale un ragazzo di 26 anni subisce lesioni molto gravi. Egli agisce in giudizio per il risarcimento del danno ed ottiene (in parte) la condanna richiesta. La decisione è confermata con la sentenza di appello.

Contro di essa quasi tutte le parti del giudizio propongono ricorso per cassazione. I motivi complessivamente spiegati sono 27, attinenti a vari aspetti della pronuncia impugnata, che qui verrà esaminata con riguardo ad uno solo dei profili sottoposti al vaglio della corte di legittimità: quello della liquidazione del danno non patrimoniale in favore della vittima del sinistro, cui la corte d'appello aveva riconosciuto non soltanto una somma a titolo di risarcimento del danno biologico, ma anche una ulteriore somma quale risarcimento del danno alla vita di relazione, estetico, sessuale, esistenziale.

La questione

Ecco allora il semplice quesito: la liquidazione del danno biologico si può cumulare con quella del danno alla vita di relazione, estetico, sessuale, esistenziale?

Le soluzioni giuridiche

Che cosa direbbe il lettore se si trovasse di fronte ad una sentenza che, nel condannare il mutuatario alla restituzione, in favore del mutuante, di una somma ottenuta a titolo di mutuo feneratizio, lo condannasse altresì, simultaneamente, all'ulteriore pagamento: a) degli interessi sulla somma capitale; b) dei frutti civili sulla medesima somma? Dopo il primo momento di sorpresa, data una scorsa all'art. 820 c.c., probabilmente esclamerebbe: «Poffarbacco, ma il giudice non aveva un codice civile sottomano, così da avvedersi che gli interessi e i frutti civili sono la stessa cosa, come la zuppa e il pan bagnato? Beato il mutuante, che, grazie ad un simile gratta e vinci giudiziario, ha avuto non gli interessi che gli spettavano, ma il doppio!».

Nel campo del danno non patrimoniale le cose non stanno diversamente. Che cos'è il danno biologico? È una lesione dell'interesse «salute» che provoca, a valle, una serie di conseguenze, talune che, secondo una valutazione diciamo così all'ingrosso, toccano più o meno tutti, altre che toccano in maniera particolare qualcuno.

Chi subisce una frattura di tibia e perone (lesione della salute, danno-evento), rimarrà per un certo tempo allettato (invalidità temporanea assoluta: e cioè non potrà svolgere le sue normali attività), per un altro periodo di tempo sarà fortemente limitato (invalidità temporanea parziale), poi i postumi si stabilizzeranno: camminerà peggio di come camminava in precedenza, sarà impedito nello svolgimento delle attività sportive, avrà dei dolori ricorrenti nel punto in cui la frattura si è saldata, eccetera eccetera (invalidità permanente, danno-conseguenza). Queste conseguenze normali sono fotografate dai baréme medico-legali posti a base delle tabelle per la liquidazione del danno biologico: quando dico che alla frattura della tibia e del perone corrisponde il grado di invalidità permanente di x, al quale secondo la tabella che applico (immaginiamo quella di Milano) corrisponde la somma y, sto risarcendo il danneggiato per l'appunto per il fatto che camminerà peggio, che non potrà svolgere attività sportive, che patirà dolori ricorrenti.

Il singolo danneggiato non è però identificabile in una media statistica: le ricadute della lesione medico-legale possono variare in funzione del variare del soggetto. Immaginate la frattura del mignolo sinistro: sul piano dei baréme medico-legali vale poco o nulla, ma se il danneggiato è un violinista o un pianista dilettante, le cose cambiano, per lui quella lesione è ben più grave di quanto non sarebbe per chi coltivi l'hobby del giardinaggio o della falegnameria. Così, la frattura di tibia e perone in un soggetto che pratichi un'intensa attività sportiva (tennis, pallacanestro, football americano) comporta ricadute più gravi di chi coltivi essenzialmente lo sport passivo, seduto davanti alla televisione, con frittatone di cipolla, come diceva Fantozzi, e quel che segue. Ecco allora, che il risarcimento del danno biologico non può consistere nella meccanica assegnazione al danneggiato di quanto previsto dalle tabelle, in base ai baréme medico-legali: è per questo che la liquidazione deve essere oggetto di personalizzazione, tenuto conto di quanto l'interessato ha allegato e provato. Per questa via il risarcimento del danno biologico copre l'intera gamma delle ripercussioni «dinamiche» della lesione psicofisica, in ossequio al principio del risarcimento integrale: finanche in casi curiosi, come quello di una ragazza che, avendo battuto la testa a seguito della caduta dal motorino, aveva perso ogni freno inibitore, tanto che — ci informa la Cassazione — «si spogliava in pubblico e si concedeva a chiunque» (Cass. civ., sez. III, sent., 20 aprile 2007 n. 9514).

Ma, se a questo punto il giudice dice che «il non poter più fare» in cui consiste l'impedimento, causato dalla frattura di tibia e perone, al gioco del tennis, della pallacanestro o del football americano costituisce altresì danno esistenziale, commette lo stesso madornale errore della liquidazione cumulativa di interessi e frutti civili. Identico ragionamento, naturalmente, vale per il danno estetico per il danno alla sfera sessuale, per il danno alla vita di relazione, e quant'altre etichette mai riescano ad immaginarsi per il medesimo pregiudizio.

Questo, in breve, spiega la sentenza in commento, con verve e con diversi esempi.

E la spiegazione, in generale, non può che essere condivisa. Anzi, si potrebbe forse dire che un'analisi così dettagliata del problema era finanche superflua, giacché — forse — il principio dell'inammissibilità delle duplicazioni risarcitorie è patrimonio comune ben più di quanto appaia dalla lettura degli atti giudiziari e delle sentenze; lo conoscono bene, io credo, anche i tanti hungry lawyers, che pure tentano il gratta e vinci giudiziario, consapevoli che in genere si perde, ma che qualche volta — magari profittando di un giudice di manica larga — si può vincere.

Scontato, insomma, il no alle duplicazioni risarcitorie. È semmai più interessante chiedersi: possono esserci casi particolari in cui il risarcimento del pregiudizio biologico e di quello esistenziale possono cumularsi? Il tema esula dall'ambito del commento alla sentenza di cui ci stiamo occupando e non mancherà prima o poi occasione di analizzarlo con maggior approfondimento. Qui possiamo accennare che la condotta del danneggiante può talora ledere più di un interesse: è accaduto a chi scrive, nei giorni scorsi, di licenziare una sentenza con la quale è stato riconosciuto alle vittime di immissioni intollerabili (nel centro storico di Roma si erano visti aprire una discoteca proprio sotto il proprio appartamento) sia il risarcimento di un irrisorio pregiudizio biologico (per la lesione della salute: era insorta una modesta nevrosi ansiosa), sia il risarcimento di un meno irrisorio pregiudizio esistenziale (per la lesione del diritto all'abitazione, inteso non solo come diritto ad un mero spazio fisico, ma come facoltà di godimento, in tutta tranquillità, di detto spazio: non aver potuto dormire in pace, in parole povere, per qualche anno).

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Un aspetto della sentenza in commento merita particolarmente di sottolineare. Chiunque converrà sull'osservazione che segue: assai frequentemente si riscontra nelle sentenze che hanno ad oggetto il risarcimento del danno un forte sbilanciamento tra il segmento della motivazione dedicato all'an e quello dedicato al quantum: dettagliato, approfondito, esaustivo il primo; gracile, superficiale, generico, stereotipato il secondo.

In ciò una parte della colpa è dei giudici, certo; l'altra parte, non minore, è degli avvocati. È loro compito spiegare approfonditamente cosa nella vita del danneggiato è cambiato: sottoporre ad analitica disamina le sequele dannose, così da fornire al giudice gli elementi per pervenire ad una liquidazione davvero appropriata al singolo caso e che non si risolva — come condivisibilmente osserva la sentenza in commento — nell'impiego di frasi che non significano nulla, come quelle che richiamano una non meglio specificata gravità del danno.

Il passaggio più importante della decisione in esame, e allora quello in cui si afferma che «ben può accadere che nel singolo caso i postumi permanenti causati dalla lesione fisica provochino una più incisiva compromissione della vita di relazione della vittima, rispetto ai casi analoghi: ma tale circostanza deve da un lato entrare nel processo con le debite forme (e cioè essere tempestivamente allegata da chi la invoca); e dall'altro, se ritenuta esistente dal giudice, deve essere esposta nella sentenza e sorretta da una adeguata motivazione».

Nella celebre Cass., S.U., sent., 11 novembre 2008 n. 26972 (pietra angolare del no alle duplicazioni risarcitorie), c'è una frase, che si presta a chiudere questa noticina, con cui, nel discorrere del danno biologico, si afferma che l'espressione è utile «solo a fini descrittivi». Solo a fini descrittivi: come se descrivere fosse un'attività giuridicamente secondaria, figlia di un dio minore: viceversa, come può mai risarcirsi il danno alla persona nella misura dovuta (né più né meno di quella) se non a partire da puntuali descrizioni dei concreti pregiudizi patiti dalla vittima? Descrivere, allora, ecco che cosa occorre. Fino a che, come in buona sostanza chiede oggi la stessa Cassazione, non avremo sentenze in cui la motivazione sul quantum pesi quanto quella sull'an.

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