Incompleta compilazione della cartella clinica: incertezze sul nesso di causa con il danno subito dal paziente ed onere della prova

Cristina Lombardo
25 Gennaio 2017

In tema di responsabilità sanitaria, la cartella clinica costituisce valenza principe in ordine alla ricostruzione dei fatti; la sua lacunosa compilazione ..
Massima

In tema di responsabilità sanitaria, la cartella clinica costituisce valenza principe in ordine alla ricostruzione dei fatti. Ne consegue che, nel caso in cui, all'esito del giudizio, sia risultato impossibile ricostruire con precisione il corretto susseguirsi degli eventi occorsi al paziente, in ragione della lacunosa compilazione della cartella clinica, e permanga dunque incertezza sull'esistenza di un nesso di causa tra la condotta del medico e il danno subìto dal paziente, tale incertezza non potrà che ricadere sulla struttura sanitaria. In particolare, perché la struttura possa essere condannata per non aver assolto l'onere probatorio sulla stessa incombente, occorrerà che sussistano due presupposti concorrenti: a) che l'impossibilità di accertare il nesso di causa tra la condotta del medico e il danno sia conseguita all'incompletezza della cartella clinica b) che la condotta del medico sia astrattamente idonea a causare il danno.

Il caso

Il caso trattato nella sentenza in esame riguarda un minore di otto anni, ricoverato presso una struttura ospedaliera lombarda, a seguito delle lesioni riportate al braccio sinistro, dopo una caduta accidentale avvenuta nel corso dell'attività ludica. Trattandosi di una frattura scomposta, viene programmato un intervento chirurgico di riduzione della stessa, in elezione. Alla visita pediatrica pre-operatoria, il giovane paziente viene classificato con un rischio anestesiologico minimo. Tuttavia, il giorno dell'intervento, dopo la somministrazione dell'anestesia, a breve distanza dall'intubazione, il paziente presenta un grave episodio di desaturazione, con arresto cardiaco e conseguente anossia, causa di uno stato di coma vegetativo irreversibile. I genitori del minore agiscono, dunque, in giudizio avanti il Tribunale di Milano, per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal figlio nonché i danni patrimoniali subiti dal padre, per un totale di oltre sei milioni di euro. Secondo gli attori, infatti, l'episodio di desutarazione occorso al figlio risulterebbe ricollegabile ad una erronea intubazione esofagea, sebbene la carenza di adeguate informazioni in cartella clinica non abbia consentito una corretta ricostruzione dei fatti. Tale tesi viene contestata dall'azienda ospedaliera convenuta, la quale, al contrario, deduce l'assenza di responsabilità dell'istituto in ordine all'accaduto, in ragione della correttezza sia delle manovre di endoscopia ed intubazione, sia delle successive manovre di rianimazione. Secondo la struttura, infatti, la causa dell'ipossia occorsa al minore sarebbe da ascriversi ad un evento imprevedibile e non altrimenti prevenibile, ossia all'iperattività delle vie aeree legata alle manovre di endoscopia ed intubazione.

La questione

Su chi ricadrà l'incertezza in ordine all'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno lamentato dal paziente, nel caso in cui, all'esito del giudizio, la ricostruzione degli fatti occorsi sia risultata impossibile, proprio in ragione dell'incompleta compilazione della cartella clinica?

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in esame, viene trattato un caso di presunta malpractice medica piuttosto complesso e con risvolti assai rilevanti in ambito processuale e risarcitorio, in considerazione della gravità dei postumi permanenti residuati all'attore, pari al 99%.

Nel caso di specie, per poter ricostruire la vicenda oggetto del contenzioso e valutare, quindi, se lo stato di coma vegetativo irreversibile sofferto dal giovane paziente fosse conseguenza di una condotta errata dei sanitari coinvolti o se, piuttosto, tale stato fosse conseguenza di un evento imprevedibile e non altrimenti prevenibile, il Tribunale di Milano si affida ad un Collegio di Consulenti Tecnici d'Ufficio, al quale chiede l'accertamento di tre specifici aspetti:

  1. l'individuazione della causa della crisi respiratoria occorsa al minore;
  2. la tempestività di reazione dei sanitari all'evento critico;
  3. l'adozione dei rimedi richiesti dal caso, quanto alla tipologia dei farmaci scelti ed alle quantità somministrate.

Per fornire un parere su questi punti, i consulenti nominati dal giudice procedono analizzando, con estrema scrupolosità, tutta la documentazione clinica versata in atti: dalla cartella clinica (comprensiva altresì del cartellino anestesiologico, della stampa elettronica delle frequenze cardiache e della saturimetria eseguite in automatico, in sede intraoperatoria, nonché della pagina del giornale elettronico estratta dal respiratore utilizzato in sede di intervento istruttore) alla Relazione complementare compilata dagli anestesisti e redatta successivamente all'intervento, come da prassi in uso presso molti Servizi di Anestesia.

All'esito dell'indagine peritale, in ragione della sintomatologia parzialmente sovrapponibile di entrambe le manifestazioni, i consulenti prospettano due possibili cause produttrici dell'evento: la prima, caratterizzata da un'errata intubazione; la seconda, caratterizzata da un grave episodio di broncospasmo.

In accordo con la letteratura scientifica, tuttavia, secondo i periti, una tempestiva ed adeguata gestione della crisi respiratoria da parte dei sanitari avrebbe comportato un'incidenza bassissima di esiti negativi per il giovane paziente, in entrambe le ipotesi causali.

In tal senso, dunque, solo la ricostruzione della condotta posta in essere dai sanitari, avrebbe potuto fornire le basi per l'accoglimento ovvero per il rigetto della domanda attorea.

Sul punto, però, a causa delle gravi lacune, omissioni e contraddizioni presenti nella documentazione clinica versata in atti, i consulenti non sono in grado di fornire un parere, in merito al susseguirsi delle operazioni anestesiologiche messe in atto dai professionisti intervenuti per risolvere l'episodio di desaturazione occorso al minore: né da un punto di vista “temporale”, quanto all'individuazione esatta del momento dell'intubazione orotracheale, dell'insorgenza della crisi respiratoria e del conseguente rilevamento da parte dell'anestesista della criticità insorta; né da un punto di vista “qualitativo” e “quantitativo”, quanto alla registrazione dei farmaci utilizzati e soprattutto delle concentrazioni somministrate dopo la crisi respiratoria.

Ai fini di una integrale ed esaustiva ricostruzione della vicenda, non è risultata utile nemmeno la Relazione integrativa stilata, subito dopo l'evento, da parte degli stessi anestesisti coinvolti nella vicenda, sebbene la stessa fosse stata redatta al superamento della concitazione propria degli eventi critici e comunque in prossimità dell'accaduto.

Le annotazioni integrative in essa contenute, infatti, anziché fornire chiarimenti e precisazioni utili in ordine allo sviluppo degli eventi, hanno contribuito solo a suscitare ulteriori dubbi sull'accaduto.

Come rilevato dal Tribunale milanese, dunque, i vizi di compilazione della cartella clinica e le carenze della Relazione ad essa allegata hanno costituito uno «sbarramento insormontabile» alla verifica della tempestività della diagnosi e dell'idoneità della terapia praticata dai sanitari per la cura ed il superamento delle criticità respiratorie insorte dopo la somministrazione dell'anestesia.

Per queste ragioni, non essendovi elementi per ricondurre l'incidente occorso al minore ad una evenienza imprevedibile e non altrimenti evitabile e non essendo stato provato, altrimenti, il corretto adempimento dei sanitari, la struttura sanitaria viene condannata al pagamento di una somma di oltre quattro milioni e mezzo di euro in favore del minore e del padre, per gli esborsi già sostenuti per l'acquisto di una autovettura e per l'adeguamento dell'abitazione.

Nella decisione in esame, il Tribunale di Milano ha quindi scelto di far ricadere l'incertezza in ordine alla sussistenza di un nesso di causa tra la condotta dei sanitari e il danno subìto dal paziente sulla struttura sanitaria (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014 n. 20547, di recente, confermata anche da Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2016 n. 22639), condividendo, in tal senso, l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui la tenuta difettosa della cartella clinica consente di ritenere provata, tramite il ricorso alle presunzioni, il nesso eziologico tra la condotta dei medici e la patologia patita dal paziente, ove risulti accertata l'idoneità di tale condotta a provocarla e qualora la prova del corretto adempimento non possa essere fornita, a causa di un comportamento ascrivibile proprio alla parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato (Cfr. Cass. civ., sez. III, n. 11316/2003 e Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2004 n. 19133).

Muovendo, infatti, dal presupposto che il creditore potrebbe incontrare difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di aver ricevuto la prestazione, il Tribunale di Milano ha inteso ripartire l'onere probatorio, tenendo conto della possibilità di ognuna della parti di provare i fatti e le circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d'azione, in ossequio al principio della c.d. vicinanza della prova, ponendo a carico della parte nella cui sfera d'azione si è svolto il fattore da provare (ossia la struttura) un maggiore onere (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 577, si veda anche, Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2011 n. 15993, Cass. civ.,12 settembre 2013 n. 20904 e Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2013 n. 27855).

Del resto, non vi è dubbio che - nello specifico ambito sanitario – sia il medico, sia la struttura ospedaliera risultino certamente più facilitati a fornire la prova del corretto adempimento, soprattutto, quando si tratti di prestazioni che prevedano l'applicazione di regole tecniche sconosciute al paziente, in quanto estranee al bagaglio della comune esperienza (cfr. Cass. civ., n. 11488/2004).

Il fatto, peraltro, che la cartella clinica sia redatta dalla stessa parte che svolge la prestazione sanitaria comporta una assoluta posizione di dominio del medico sulla principale prova documentale della propria condotta.

In quest'ottica, pertanto, non è accettabile che il difetto di compilazione della cartella clinica possa tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (si veda, sul punto, anche la recente pronuncia della S.C., Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016 n. 6209).

Come più volte ribadito dalla giurisprudenza, invero, tra i diversi obblighi dei sanitari, ricade anche quello di controllare la completezza e l'esattezza del contenuto della cartella clinica, dovendosi altrimenti presumere un difetto di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c., in termini di inesatto adempimento della prestazione dovuta (Cfr. Cass. civ., n. 12273/2004 – si veda, in merito, anche gli artt. 5 e 7 del d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128, in tema di soggetti responsabili della compilazione e conservazione della cartella clinica).

Sulla scorta di tali principi, dunque, anche se non in maniera automatica, l'incompletezza della cartella clinica diviene una circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere provata l'esistenza di un valido nesso di causa tra l'operato del medico ed il danno patito dal paziente.

Perché questa presunzione operi, occorre tuttavia la concomitanza di due requisiti:

1. che l'incertezza in ordine al nesso di causa tra la condotta dei sanitari e il danno lamentato dal paziente sia conseguenza dell'incompleta compilazione della cartella clinica;

2. che il sanitario abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno (v. Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015 n. 12218; si veda anche, sul punto, Cass. civ., sez. III, 13 settembre 2000 n. 12103 e Cass. civ., sent. n. 12273/2004).

La decisione del Tribunale di Milano ha trovato conferma nella successiva e recente sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2016 n. 22639).

Osservazioni

La sentenza in esame offre un utile spunto di riflessione per comprendere quali possano essere, in concreto, le pesanti ricadute, in termini processuali e risarcitori, di una inadeguata compilazione della cartella clinica.

Sebbene, infatti, come abbiamo visto, la cartella clinica ricopra un ruolo “principe” quanto alla ricostruzione degli eventi, in sede processuale, e la tematica sia sempre più di frequente oggetto di approfondimenti in ambito formativo e dottrinale, molti operatori del settore sanitario continuano a sottovalutare il valore di tale documento, nell'errata convinzione che la cartella clinica sia solo uno strumento di supporto all'attività sanitaria, ad uso esclusivo del medico.

Non è dunque raro trovare cartelle cliniche con annotazioni frettolose, spesso indecifrabili, al punto da rendere incomprensibile, sia lo specifico contesto di cura del paziente, sia il percorso diagnostico e terapeutico seguito dai sanitari, a discapito della stessa sicurezza del paziente.

Proprio al fine di scongiurare tali evenienze, nell'ottica di garanzia del paziente e, nel contempo, di tutela dei sanitari, la Regione Lombardia, già a far data dal 2001, con la prima edizione del Manuale della Cartella Clinica (poi rivista nel 2007) e con il Manuale della documentazione Sanitaria e Sociosanitaria del 2013, si è preoccupata di delineare le coordinate per un corretto approccio da parte delle strutture ospedaliere e dei sanitari in esse operanti, fornendo informazioni utili in ordine ai requisiti di contenuto di tale documento.

In particolare, viene dato ampio spazio alle modalità di compilazione della cartella clinica, sia per quanto concerne, per esempio, i mezzi di registrazione (sempre indelebili - no lapis, ma penna con inchiostro blu scuro o nero), sia per quanto concerne il contenuto delle informazioni annotate, nell'ottica di poter documentare, con accuratezza ed appropriatezza, anche a distanza di tempo, tutti i vari passaggi dell'iter clinico-assistenziale, con specifico riguardo ai diversi momenti del percorso di ricovero del paziente (data, ore e minuti), all'identità degli autori (firma leggibile e timbro), alle linee guida e ai protocolli seguiti.

Un monito particolare viene fatto all'utilizzo di una grafia leggibile a tutti gli operatori, così come all'utilizzo di sigle e codici standardizzati, che non diano adito ad interpretazioni difformi.

Quella della mancata chiarezza della grafia dei medici è una problematica assai sentita e spesso causa di numerosi errori in sanità. Non a caso, nel 2015, la Regione Lazio si è preoccupata di inserire nelle Linee Guida per la Gestione del Rischio Clinico in Ospedale, tra le altre,anche la prescrizione di compilare la cartella clinica in stampatello.

Le pesanti ricadute in ambito risarcitorio non sono però le uniche conseguenze di una inadeguata compilazione della cartella clinica.

Non possono, infatti, essere trascurate nemmeno le possibili ricadute in ambito amministrativo, nel caso in cui il risarcimento al paziente, in sede civile, sia stato versato direttamente dalla Struttura Sanitaria pubblica - magari perché non assicurata o perché la somma da riconoscere al paziente risultava compresa nella franchigia contrattuale.

In tal caso, non è da escludere che la presunzione di inadempimento attuata dal giudice civile, sulla base dell'impossibilità di ricostruire correttamente la vicenda, possa essere valutata dalla Corte dei Conti come un'ipotesi di colpa grave del medico (dipendente pubblico), allorquando una adeguata compilazione della cartella clinica avrebbe potuto evitare l'esborso per la struttura sanitaria, in ragione della prova del corretto adempimento (sul punto, si rimanda alla sentenza resa dalla C. Conti, Sez. Reg. Emilia Romagna, 17 luglio 2014 n. 124 - che, nel valutare la gravità della colpa del medico, ha altresì tenuto conto della negligenza dello stesso per non aver correttamente annotato i fatti occorsi al paziente, nel diario operatorio e nella lettera di dimissioni, ritenendo l'incompleta redazione dell'atto operatorio e la mancata annotazione delle complicanze insorte al paziente come violazione diretta del dovere professionale).

Alle ricadute in ambito amministrativo, possono poi affiancarsi anche le conseguenze in ambito penale, qualora, per esempio, la compilazione della cartella clinica non sia avvenuta in prossimità dell'accadimento dei fatti.

Come più volte ribadito dalla giurisprudenza, infatti, trattandosi di un atto pubblico con fede privilegiata - con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza - la cartella clinica non può subire modificazioni, anche nell'ipotesi in cui l'intento dell'agente sia quello di renderne il contenuto conforme al vero (cfr. Cass. pen., sez. V, 16 aprile 2009 n. 31858).

La cartella clinica viene, invero, considerata dalla stessa giurisprudenza come il “diario” della malattia del paziente oltre che dei fatti clinici più rilevanti; per questo, essa esce dalla sfera di disponibilità del suo autore e acquisisce carattere definitivo, in relazione ad ogni singola annotazione, nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata e, quindi, contestualmente al suo verificarsi (si veda, sul punto, Cass. pen., sez. V, 11 luglio 2005 n. 35167).

Ogni modificazione all'atto già definitivamente costituito configura, pertanto, gli estremi del reato di falso materiale in atto pubblico, ex art. 476 c.p. (ex multis, Cass. pen., sez. V, 29 maggio 2013 n. 37314; in tema di modalità di correzione degli errori materiali e di valutazione, per scongiurare ipotesi di falso, si rimanda alle indicazioni del Manuale redatto da Regione Lombardia, sopra richiamato).

Al fine di scongiurare tali eventualità, molte strutture sanitarie si sono dotate di sistemi di compilazione della cartella clinica elettronici che, oltre a garantire l'identificazione dei diversi autori e la tracciabilità delle tempistiche di annotazione, permettono di documentare ogni tentativo di alterazione.

In tema di alterazioni della cartella clinica, è possibile ipotizzare anche l'ulteriore reato di falso ideologico, ex art. 479 c.p., nell'ipotesi in cui il medico decida scientemente di alterare la realtà, omettendo, per esempio, la registrazione di alcuni fatti occorsi durante la cura del paziente ovvero registrandone diversi da quelli in concreto verificatesi, al fine di evitare una richiesta risarcitoria.

Da ultimo, non devono trascurarsi nemmeno le potenziali ricadute in ambito deontologico.

Nell'art. 26 del Codice deontologico medico, viene infatti definito uno specifico onere di redazione della cartella clinica, fondato sui principi di completezza, chiarezza e diligenza.

All'uopo, vengono indicate specificamente le informazioni che il medico è tenuto a riportare nella cartella clinica, quali i dati anamnestici e obiettivi relativi alla condizione clinica, le attività diagnostico-terapeutiche, il decorso clinico assistenziale, oltre ai tempi e ai modi dell'informazione e ai termini del consenso.

Alla luce di quanto detto, dunque, non vi è dubbio che l'attività sanitaria non possa più prescindere anche dalla corretta tenuta della cartella clinica.

Oltre, infatti, a rispondere ad un interesse pubblico di tutela della salute del paziente, la cartella clinica garantisce altresì un interesse del medico e della struttura sanitaria (Cfr. Trib. Roma, sez. XIII, sent. 13 novembre 2011), dal momento che, come abbiamo visto, una compilazione inadeguata della stessa può rappresentare un pregiudizio anche per questi ultimi, in relazione ai diversi profili descritti.

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