Danno da fermo tecnico: come provarlo? Le indicazioni dalla Cassazione

Redazione Scientifica
20 Gennaio 2016

Ai fini del risarcimento del danno da fermo tecnico, il ricorrente deve provare la spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero dimostrare la perdita subita per aver dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mezzo.

Sì al risarcimento... no al danno da fermo tecnico. A seguito di un incidente stradale, un uomo chiedeva il risarcimento dei danni patiti, convenendo in giudizio il proprietario dell'auto coinvolta e la di lui assicurazione.

Mentre il giudice di pace riconosceva il danno come richiesto dall'attore, , il tribunale, in parziale riforma, riduceva l'ammontare del risarcimento, escludendo, in particolare, che fosse dovuto il danno da fermo tecnico.

Il ricorso alla Suprema Corte. L'uomo adiva allora la Cassazione, censurando la pronuncia di seconde cure sotto diversi profili.

In particolare, il ricorrente censura l'impugnata sentenza per aver rigettato la domanda di risarcimento del danno da fermo tecnico senza motivazione.

I presupposti del “danno da fermo tecnico”. Il motivo è infondato dal momento che la sentenza motiva il rigetto, ricordando che «il danno da fermo tecnico va allegato e provato, sia pure in via presuntiva»; motivazione del tutto conforme al principio, pacifico in sede di legittimità (Cass., sez. III, sent., 14 ottobre 2015, n. 20620), per cui:

  1. l'indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato;
  2. la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per aver dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mezzo.

Il danneggiato, inoltre, deve anche dimostrare la effettiva necessità di dover utilizzare il mezzo, oltre che la concreta perdita economica da mettere in correlazione causale con il mancato uso dello stesso.

Il danno in esame, infatti, non è in re ipsa e non può essere ritenuto sussistente per il solo fatto che un veicolo non abbia circolato perché in riparazione.

La liquidazione del danno. Erroneo, inoltre, è ritenere che una volta fornita la prova del mancato utilizzo del veicolo per un certo numero di giorni, sia possibile liquidare il danno in via equitativa ex art. 1226 c.c.. Per giurisprudenza conclamata, la liquidazione in via equitativa è consentita solamente quando il danno sia certo nella sua esistenza, ma indimostrabile nel suo ammontare

Né, infine, può accettarsi l'affermazione secondo cui l'indisponibilità del veicolo durante il tempo delle riparazioni costituirebbe un danno patrimoniale «a prescindere dall'uso a cui esso era destinato». Non potere utilizzare un veicolo per svago o diporto non costituisce una perdita patrimoniale, ma un pregiudizio d'affezione: come tale non risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c., mancando la lesione d'un interesse della persona costituzionalmente garantito.