Interessi moratori nel contenzioso assicurativo: i “nuovi” commi 4 e 5 dell’art. 1284 c.c.
23 Marzo 2015
Quadro normativo
L'art. 17 D.l. 12 settembre 2014, n. 132 ha modificato l'art. 1284 c.c., introducendo i nuovi commi 4 e 5 e disponendo che, ove le parti non ne abbiano determinato la misura, «dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali» (comma 4) e che medesima disciplina «si applica anche all'atto con cui si promuove il procedimento arbitrale» (comma 5). Poiché l'art. 1284 c.c. si riferisce, in generale, alle obbligazioni pecuniarie, ci si è chiesti se le nuove disposizioni – certamente penalizzanti per il debitore inadempiente – calzino ai contenziosi assicurativi, con particolare riferimento ai giudizi aventi ad oggetto indennizzi e risarcimenti dovuti in forza di polizze del ramo danni. Il dubbio circa l'ambito di applicazione della normativa è stato da più parti sollevato in relazione a quanto stabilito dal D.lgs. n. 231/2002 sulle transazioni commerciali, al quale la novella legislativa rinvia; ciò, in particolare, nella parte in cui esclude espressamente (al suo articolo 1) «l'applicazione del tasso ai pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo dall'assicuratore». Ora, nella sua formulazione letterale, il nuovo comma 4 dell'art. 1284 c.c. non sembra rinviare in toto alla disciplina del D.lgs n. 231/2002, ma solo al saggio degli interessi moratori ivi stabiliti. In altri termini, non vi è un richiamo all'ambito oggettivo di operatività della «disciplina sulle transazioni commerciali», limitandosi, il rinvio, a recepire la maggior misura degli interessi di mora ivi previsti, imponendone l'applicazione a tutte le ipotesi riconducibili entro il paradigma dell'art. 1284 c.c. (a prescindere, dunque, che si tratti di transazioni commerciali o meno). D'altra parte, se venisse riferito al medesimo campo di inferenza della normativa speciale sulle transazioni commerciali, l'intervento legislativo si rivelerebbe del tutto inutile, atteso che per quelle fattispecie il tasso di interesse maggiorato troverebbe applicazione già dall'insorgere del ritardo (risultando perciò del tutto ininfluente la proposizione del giudizio o dell'arbitrato). La ratio della riforma va, inoltre, apprezzata tenendo conto di quanto specificamente dichiarato nella relazione di presentazione al Senato del d.d.l. di conversione del D.l. n. 132/2014, nella quale veniva espressamente chiarito che le nuove norme sarebbero state introdotte «al fine di evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell'applicazione del tasso legale d'interesse)». Il che, dunque, focalizza una finalità di ordine generale, non compatibile con una lettura settoriale della norma. Ciò posto, il riverbero della novella sulle obbligazioni dell'assicuratore del ramo danni, e quindi sui contenziosi avviati per ottenerne l'adempimento in sede giudiziale, va considerato operando i necessari distinguo. Obbligazioni di valuta e obbligazioni di valore
A tal fine occorre anzitutto rilevare come l'art. 1284 c.c. – nell'impianto codicistico di riferimento – si limiti ad individuare la misura del tasso degli interessi dovuti dal debitore di un'obbligazione pecuniaria, siano essi corrispettivi (ovvero quelli che remunerano la disponibilità di una somma denaro altrui, ad es. nel mutuo oneroso v. art. 1815 c.c.) o moratori (ovvero quelli che ristorano il pregiudizio derivante dell'inadempimento dell'obbligazione, salvo il diritto il diritto al maggior danno ex art. 1224 c.c.). Pertanto, per sua stessa collocazione sistematica (Libro IV, Titolo I, Capo VII, Sezione I – «Delle obbligazioni pecuniarie»), l'art. 1284 c.c. trova applicazione per i soli debiti di valuta (aventi cioè ad oggetto una somma determinata di denaro) e non anche per i debiti di valore, ovvero quei debiti per i quali il denaro non costituisce l'oggetto dell'obbligazione ma semplicemente esprime – come nel caso del debito risarcitorio – la misura equivalente della prestazione dovuta al creditore. Proprio in tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, le Sezioni Unite (Cass. civ., S.U., 17 febbraio 1995, n. 1712) hanno chiarito che«se la liquidazione viene effettuata per equivalente, e cioè con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche in sede di rinvio), è dovuto inoltre il danno da ritardo e cioè il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato dal creditore» e che tale prova «può essere data e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi e quindi anche mediante l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito per il mancato godimento - nel tempo - del bene o del suo equivalente in denaro». Con riguardo al debito di valore, pertanto, il riconoscimento degli interessi costituisce un mero criterio di calcolo e quantificazione dell'obbligazione risarcitoria per equivalente. Conseguentemente, il tasso degli interessi applicati dal giudice come criterio di calcolo del danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria potrebbe non necessariamente corrispondere a quello fissato dall'art. 1284 c.c. dovendo il giudice, al contrario, individuare - ai sensi all'art. 1226 c.c. - un tasso che sia congruo rispetto al danno concretamente patito dal creditore. In ogni caso, deve escludersi«che gli interessi possano essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente» mentre «è consentito invece calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma, equivalente al bene perduto, si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio» (Cass., S.U., n. 1712/1995). Interessi e principio della domanda
La distinzione tra obbligazioni di valuta e obbligazioni di valore (e il differente atteggiarsi dell'istituto dell'interesse nell'uno e nell'altro caso) comporta alcune conseguenze sotto il profilo processuale. La Corte di legittimità (v. Cass. civ. sez. II, 22 novembre 2010, n. 23603) ha infatti avuto modo di chiarire che «fuori dell'ipotesi di interessi su somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (ndr: debiti di valore), i quali devono essere riconosciuti anche di ufficio, in tutti gli altri casi (ndr: debiti di valuta) gli interessi possono essere attribuiti solo se la parte ne abbia fatto richiesta. Infatti, mentre nella prima ipotesi gli interessi, mirando a scongiurare il pregiudizio che deriva al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente monetario del danno, costituiscono una componente del danno stesso e nascono dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, contemporaneamente e inscindibilmente, in tutti gli altri casi, invece, gli interessi, siano essi moratori, corrispettivi o compensativi, avendo un fondamento autonomo rispetto a quello dell'obbligazione pecuniaria, possono essere attribuiti solo su espressa domanda che ne indichi la fonte e la misura». Tale domanda, peraltro, non può essere proposta per la prima volta in appello. Per sgombrare il campo da qualsivoglia equivoco semantico, peraltro, occorrerà tener conto che anche gli interessi applicati dal giudice per quantificare il debito risarcitorio sono talvolta definiti, forse atecnicamente, come “compensativi” dalla medesima giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22384), senza che ciò influisca sulla qualificazione giuridica del debito sottostante (che rimane, comunque di valore). In senso più generale, la necessità di distinguere tali interessi lato sensu compensativi da quelli propriamente e tecnicamente definiti come «interessi compensativi sul prezzo» (di cui all'art. 1499 c.c. cui, peraltro, quella specifica pronuncia si riferisce) è stata ben evidenziata dalle S.U. nella già citata sentenza n. 1712/1995. Il regime degli interessi applicabili ad una data domanda giudiziale di pagamento dipenderà dalla natura del credito azionato, a prescindere da eventuali “confusioni” qualificatorie . Per comprendere, ora, se ed in che termini l'art. 1284 c.c. – così come novellato dal D.l. n. 132/2014 – trovi applicazione nel contenzioso assicurativo con tutte le implicazioni di cui sopra, bisognerà individuare quali, tra le prestazioni dell'assicuratore del ramo danni, configurino una prestazione di valuta e quali, invece, una prestazione di valore. Ora, secondo il prevalente – ed ormai costante - orientamento giurisprudenziale, nelle assicurazioni contro i danni (e soprattutto in quelle aventi ad oggetto la perdita o il danneggiamento di cose) il debito dell'assicuratore è qualificato come «debito di valore non di valuta. Infatti l'oggetto dell'assicurazione è costituito, a norma dell'art. 1905 c.c., del risarcimento del danno sofferto dall'assicurato in conseguenza del sinistro, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto. Il riferimento al risarcimento del danno ed al valore della cosa è costante in tutte le disposizioni di legge che regolano la materia ed, in particolare, negli articoli che vanno dal 1904 al 1909 c.c. ed a nulla rileva l'adempimento dell'assicuratore consista non nella reintegrazione in forma specifica, bensì nell'erogazione di una somma di danaro, non predeterminata, ma commisurata alla valutazione del danno […] il massimale, nato per limitare le assicurazioni del patrimonio anche se convenzionalmente applicato all'assicurazione contro i danni resta del tutto estraneo alla logica dell'art. 1908 c.c. cioè al risarcimento del danno riferito al momento del sinistro ed alla regola proporzionale tra i valori prevista nell'art. 1907 c.c. per cui non può in alcun modo trasformare l'originario debito di valore in debito di valuta» (così, ex multis, Cass. civ., sez. I, 4 giugno 1987, n. 4883; quanto alla giurisprudenza di merito, si veda Trib. Bari, sez. II, 6 maggio 2013). Sulla base di tali premesse dovremmo dunque ritenere che il nuovo saggio di interessi previsto dall'art. 1284 c.c. non si applichi, in linea di principio, alle controversie giudiziali assicurative aventi ad oggetto la liquidazione ed il pagamento di indennizzi relative a danni a cose. Ciò, naturalmente, al di fuori dei casi in cui le parti abbiano già concordato – ad esempio, in via di transazione - la misura della prestazione assicurativa (o l'impresa l'abbia formalmente liquidato ed offerto l'indennizzo dovuto, riconoscendo il proprio debito): in queste ipotesi, il successivo inadempimento della compagnia (che non versi quanto promesso, transatto o comunque concordato) darebbe luogo ad un debito di valuta, con tutte le conseguenze del caso e, in particolare, con applicazione dell'art. 1224 c.c. e dell'art. 1284 c.c., nella sua nuova formulazione. I termini del problema si complicano, tuttavia, e non poco, in relazione alle coperture della responsabilità civile (e della rc auto, in particolare) atteso che secondo un tralatizio orientamento giurisprudenziale l'obbligazione dell'assicuratore di RC, «non avendo ad oggetto direttamente il risarcimento dei danni bensì il pagamento, nei limiti del massimale, di una somma di importo pari all'ammontare del danno che l'assicuratore deve corrispondere o ha già corrisposto al danneggiato - dà luogo ad un credito di valuta e non di valore, il quale sorge quando sia divenuto liquido ed esigibile il debito dell'assicurato nei confronti del danneggiato» (Cass. civ., sez. I, 6 marzo 1996, n. 1785). Tale inquadramento dovrebbe condurre sempre e comunque ad aggravare la posizione di debito dell'assicuratore della responsabilità civile con applicazione, in caso di giudizio, del nuovo disposto dell'art. 1284 c.c.. Senonché la perentorietà di un tale sillogismo merita di esser messa in discussione, sotto più punti di vista. Ed invero, la particolarità della garanzia della responsabilità civile impone di andar oltre all'inquadramento teorico genericamente proposto dalla giurisprudenza. La struttura dell'art. 1917 c.c. - a maggior ragione nell'ambito del (assai più ibrido) istituto della copertura della rc auto - impone infatti di distinguere i casi in cui la compagnia debba rifondere l'assicurato dei costi dallo stesso (già) sostenuti per tacitare o resistere alla domanda del terzo dall'ipotesi in cui, invece, la compagnia sia tenuta ad assolvere direttamente il debito risarcitorio (in caso di azione diretta, ex art. 144 Cod. Ass.) ovvero venga chiamata in giudizio (ex art. 1917, comma 4, c.c.) al fine di tenere indenne il proprio assicurato a fronte di una pretesa risarcitoria non ancora liquidata. D'altra parte, ben consapevoli della difficoltà di approdare a classificazioni unitarie ed indefettibili, le più recenti posizioni della giurisprudenza di legittimità hanno saputo coniugare – sia pur con qualche forzatura - l'inquadramento teorico dell'obbligazione dell'assicuratore della rc auto (di valuta) con la necessità di regolarne la liquidazione in modo sostanzialmente uniforme rispetto all'obbligazione risarcitoria sottostante (di valore). Sul punto, la recentissima sentenza di Cassazione n. 13537/2014 ha sì ribadito che «l'obbligazione dell'assicuratore della r.c.a., tanto nei confronti dell'assicurato, quanto nei confronti del terzo danneggiato, è una obbligazione di valuta, in quanto ha ad oggetto il pagamento d'una somma di denaro, pari al danno causato dall'assicurato e col limite del massimale» ma ha altresì chiarito che, ove il danno subito dal terzo sia inferiore al massimale, «l'obbligazione indennitaria dell'assicuratore, pur avendo natura di obbligazione di valuta, andrà monetizzata con i medesimi criteri applicabili alle obbligazioni di valore, perché tale è la natura dell'obbligazione dell'assicurato, sul cui ammontare è ricalcato il debito dell'assicuratore […] quando, invece, il danno causato dall'assicurato eccede il massimale, l'obbligazione dell'assicuratore (tanto nei confronti della vittima, quanto nei confronti dell'assicurato) è delimitata dall'importo del massimale. Essa, pertanto, in questo caso ha non solo il nome, ma anche gli effetti di una obbligazione di valuta» (Cass. civ., 13 giugno 2014, n. 13537). Né avrebbe senso opinare diversamente: in tutti i casi in cui l'assicuratore venisse chiamato in causa dal responsabile, convenuto in via principale nel giudizio, il saggio degli interessi non potrebbe esser calcolato in modo diverso per l'obbligazione risarcitoria del danneggiante/assicurato rispetto al debito derivante dall'adempimento della garanzia assicurativa. Peraltro, nel caso in cui il massimale risultasse interamente impegnato, l'obbligazione dell'assicuratore assumerebbe effettivamente i connotati di un obbligazione di valuta, ragguagliata alla misura (certa e liquida) del massimale stesso e indifferente alla modulazione di un debito risarcitorio comunque eccedente quella misura. Altra ipotesi particolare potrebbe verificarsi, sempre nell'ambito delle assicurazioni di rc generale, laddove l'assicurato abbia di sua sponte tacitato il danneggiato e chieda alla compagnia il pagamento dell'indennizzo, pari all'ammontare del risarcimento pagato al terzo. In questa fattispecie, la natura di debito di valuta non potrebbe revocarsi in dubbio. Un discorso a parte merita di esser svolto per la rc auto, nell'ambito della quale l'assicuratore subisce, del tutto ordinariamente, l'azione diretta del danneggiato. Vi è da chiedersi se, al di là delle forzature e delle smagliature giurisprudenziali, l'esercizio di quell'azione diretta collochi l'assicuratore – come invero ci sentiamo di affermare - in una posizione sostanzialmente equiparabile a quella del responsabile civile (e ciò proprio in forza della propria diretta ed immediata responsabilità risarcitoria, entro i limiti del massimale di polizza o, in ogni caso, del massimale minimo di legge, ex art. 128 Cod. Ass.). Tale equiparazione dovrebbe dunque ricondurre la relativa obbligazione di pagamento, ex se e senza la necessità di ricorrere ad altri artifizi logico giuridici, entro il paradigma dei debiti di valore. In questo senso del resto, meritano di esser ricordate le interessanti suggestioni proposte da chi ebbe a sostenere che l'azione diretta e la correlativa obbligazione dell'assicuratore della rca fossero originate direttamente dall'art. 2054 c.c. di tal che la formula «assicurazione della responsabilità» andrebbe ribaltata in quella opposta «responsabilità dell'assicuratore» (La Torre, Scritti di diritto assicurativo, Milano, 1979, p. 611) Sempre nel campo dell'assicurazione obbligatoria della rc auto rimangono infine da considerarsi alcune ipotesi particolari quale, ad esempio, quella in cui l'assicuratore, nell'ambito della procedura liquidativa stragiudiziale abbia formulato la propria congrua e motivata offerta di risarcimento senza poi provvedere al relativo pagamento entro il termine normativamente stabilito (si pensi a quanto disposto dall'art. 148 commi 6, 7 e 8 Cod. Ass.): in tal caso riterremmo che il debito dell'impresa, proprio perché tenuta al rispetto di un'obbligazione ex lege di pagamento della somma formalmente offerta al danneggiato (anche nel caso in cui questo abbia comunicato di non accettare l'offerta) sia certamente di valuta e in quanto tale assoggettato al nuovo saggio degli interessi moratori. Casistica
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