L’interpello “anti abuso”
02 Marzo 2017
Premessa
L'introduzione di un interpello che interessa ogni ipotesi di “abuso del diritto” e contempla un procedimento più sollecito e meno farraginoso di quello disciplinato dall'art. 21, L. 413/1991 rappresenta un'apprezzabile novità della recente riforma degli interpelli. Infatti, all'interpello “speciale”, regolato dall'art. 21 cit., si poteva ricorrere solo per le presunte condotte elusive ex art. 37-bis, d.P.R. n. 600/1973. Era palese la disparità di trattamento fra coloro che, potendo ricondurre il proprio caso all'art. 37-bis, erano in grado di conoscere l'interpretazione del Fisco sulla potenziale elusività della fattispecie rappresentata e quanti invece, pur consapevoli di poter incorrere in analoga censura, si vedevano precluso l'accesso all'interpello perché la vicenda che li riguardava non rientrava fra quelle enunciate in tale norma. Poi, per conseguire il responso all'interpello “speciale”, occorreva, di regola, attendere fino a 180 giorni e una diffida perché il “silenzio assenso” operasse. Ciò che dissuadeva molti contribuenti dall'avvalersene, vanificandone così l'utilità. Il fatto che ora questo interpello sia fruibile per ogni fattispecie di “abuso del diritto” e la relativa risposta sia resa entro 120 giorni (pena, altrimenti, il “silenzio assenso”) merita, quindi, apprezzamento. Non convince, invece, che l'interpello “anti abuso” non operi in materia doganale, sebbene la disciplina sull'“abuso del diritto” (recepita dall'art. 10-bis, L. 212/2000) spieghi i propri effetti in tale contesto.
Qualificazione giuridica della fattispecie
Il parere invocato con l'istanza di interpello concerne la qualificazione giuridica di una fattispecie. Il privato vuol sapere se il Fisco consideri elusiva o meno una certa vicenda.
La ricostruzione dei fatti correlati a tale qualificazione giuridica risulta essenziale. Ma il parere non verte sulla valutazione delle prove addotte dal richiedente. L'esame dei mezzi istruttori è funzionale solo alla qualificazione giuridica che il Fisco deve rendere.
Resta, perciò, inalterata la differenza fra questo interpello e quello “ordinario”. Essa si coglie quanto al presupposto dell'istanza “anti-abuso”: il dubbio riguarda la qualificazione di un fatto al cospetto della norma, al fine di affermarne la riconducibilità o meno al relativo regime precettivo. Mentre, nell'interpello “ordinario”, il dubbio attiene alla lettura della norma posta a contatto con un fatto. Oggi, l'art. 11, co. 1, lett. a), L. 212/2000 disciplina un interpello “ordinario qualificatorio” che si distingue dall' “ordinario interpretativo”, appena ricordato.
Dunque, la richiesta della qualificazione giuridica di una fattispecie non caratterizza solo l'interpello “anti abuso”, ma – stante la peculiarità del regime dell'“abuso del diritto” – è ragionevole preservare l'autonomia del relativo interpello. La delicatezza e la complessità delle valutazioni sottese alle potenziali operazioni elusive giustifica una distinta figura di interpello e un termine di risposta più ampio (120 giorni) di quello (90 giorni) previsto per quello “ordinario qualificatorio”. Pertanto, con l'interpello testé menzionato si avanzano le istanze di qualificazione giuridica diverse da quelle sulle vicende abusive, comprese quelle sulla distinzione fra spese pubblicitarie e di rappresentanza e per appurare l'interposizione fittizia nel possesso dei redditi, ex art. 37, co. 3, d.P.R. n. 600/1973, finora interessate dall'interpello “speciale”. Qualificazione della condotta non elusiva
Posto che l'istante deve esporre “in modo chiaro ed univoco” la soluzione proposta, vanno evidenziati i profili rilevanti per qualificare come non elusiva l'operazione considerata e, quindi, per poter argomentare detta soluzione. Alla luce dell'art. 10-bis, L. 212/2000,una condotta è elusiva quando essa sia priva di sostanza economica, consenta di conseguire un indebito vantaggio fiscale e detto vantaggio ne rappresenti l'effetto essenziale. Proprio il primo elemento è decisivo nel prospettare la soluzione che l'istante aspira a veder condivisa.
In proposito, sono significativi gli indicatori della mancanza di sostanza economica recepiti nella lett. a) del co. 2 dell'art. 10-bis, ossia “la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme” e “la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”.
Il contribuente dovrà escludere anzitutto la sussistenza di siffatti indici. Parimenti, rilevano gli altri sintomi di carenza di “sostanza economica” menzionati nella raccomandazione della Commissione Europea 2012/772/UE (“la costruzione o la serie di costruzioni comprende elementi che hanno l'effetto di compensarsi o annullarsi reciprocamente; le operazioni concluse hanno natura circolare; la costruzione o la serie di costruzioni comporta un significativo vantaggio fiscale, di cui tuttavia non si tiene conto nei rischi commerciali assunti dal contribuente o nei suoi flussi di cassa; le previsioni di utili al lordo delle imposte sono insignificanti rispetto all'importo dei previsti vantaggi fiscali”). Dato che tale raccomandazione è stata richiamata dall'art. 5, L. 23/2014 perché il legislatore delegato ne tenesse conto nel regolare l'“abuso del diritto”, il contribuente avrà interesse ad apprezzare pure i parametri ivi indicati per segnalarne l'insussistenza e giustificare così la propria soluzione.
Anche il co. 3 dell'art. 10-bis orienta il compito del privato nell'illustrare il fondamento “economico” di quanto rappresentato nell'istanza di interpello. Nel precisare che “in ogni caso” non sono abusive “le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente”, questa norma fornisce degli indici “positivi” ed “ulteriori” della rammentata “sostanza economica”. Ossia, pure le condotte che non evidenziano un'immediata proficuità possono considerarsi dotate di “sostanza economica” ove presentino dette finalità organizzative e gestionali. Finalità che, per risultare “non marginali”, dovranno palesare la loro valenza decisiva per motivare l'opzione assunta dal contribuente. Questi, pertanto, ne potrà fare proficuo impiego, nel fornire la propria soluzione, dimostrandone la portata determinante nella realizzazione delle attività oggetto della domanda di interpello. Una volta dimostrata la “sostanza economica”, nessun vantaggio fiscale indebito può prospettarsi. Ad ogni modo, all'istante meriterà indicare quali siano i riflessi fiscali della fattispecie descritta e di escluderne il contrasto con le relative finalità o con quelle dei precetti tributari che non risulteranno applicati. Un indebito beneficio fiscale, difatti, può apprezzarsi sia valutando la ratio di un dato regime applicativo che operando un raffronto fra diversi regimi e le rispettive finalità.
Stando all'art. 11, co. 3, L. 212/2000, il responso, consistente in un parere motivato, vincola ogni organo dell'Amministrazione finanziaria, ivi compresa la Guardia di Finanza. Inoltre, la stessa disposizione – oltre a ribadire la nullità degli atti difformi dalla risposta – aggiunge che l'efficacia del parere “si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salva rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'Amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell'istante”. Di modo che l'eventuale revirement del Fisco non rileva quando il contribuente abbia realizzato l'operazione conformemente al responso. La rettifica interessa i soli “eventuali comportamenti futuri”. Ciò riguarda essenzialmente i tributi “periodici”, ma non può escludersi che possa interessare pure il caso nostro. Si immagini che – in esito alla risposta all'interpello “anti abuso” – il privato abbia operato ammortamenti o dedotto perdite: il mutamento di avviso dell'Amministrazione potrà rilevare per le sole condotte successive.
... ma non per il privato
Quindi, il parere impegna il Fisco, ma non il privato. Questi è libero di adeguarvisi o meno, pur sapendo che la mancata adesione al parere lo esporrà alle pretese impositive e sanzionatorie dell'Amministrazione, senza peraltro sottostare ad alcun limite o preclusione nel poterle poi contrastare. Perciò, la risposta non può cagionare la lesione di alcun diritto o interesse del contribuente che richieda un'immediata tutela giurisdizionale. Solo se l'istante non si conformerà al parere e il Fisco ne trarrà le conseguenze, muovendo i correlati addebiti, vi sarà interesse ad agire in sede giurisdizionale avverso il provvedimento che recepirà detti rilievi. Questo è sempre stato pacifico per la risposta al previgente interpello “speciale”. Adesso, comunque, il legislatore delegato ha chiarito, con l'art. 6, co. 1, D.Lgs. n. 156/2015, che le risposte alle istanze di interpello non sono impugnabili (eccezion fatta per quelle all'interpello “disapplicativo”, censurabili “unitamente all'atto impositivo”). In conclusione
In conclusione, l'evoluzione dall'interpello “speciale” a quello “anti abuso” va salutata con favore.
Anzitutto, ne è significativo l'inserimento nella L. 212/2000, che non è solo coerente con l'approdo in detto provvedimento normativo dell'“abuso del diritto”, ma è altresì espressione della relativa “dignità” di istituto generale e fondamentale dell'ordinamento tributario. Inoltre, le più evidenti criticità dell'interpello “speciale”, ossia l'impossibilità di avvalersene per ogni fattispecie elusiva, l'eccessiva lunghezza del termine di risposta e la necessità della messa in mora perché operasse il “silenzio assenso”, sono state superate. I contribuenti possono ora conseguire la qualificazione giuridica richiesta entro un termine ragionevole, che – auspicabilmente – potrebbe in futuro essere ancora ridotto (equiparandolo a quello di 90 giorni, previsto per l'interpello “ordinario”). Fra l'altro, ne risulta valorizzato un altro criterio direttivo della L. 23/2014 in relazione all'“abuso del diritto”, ossia quello dell'art. 5, lett. f), secondo cui vanno adottate “specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l'Amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”. Un efficiente assetto dell'interpello favorisce, difatti, l'attuazione del contraddittorio e assicura al contribuente la facoltà di far valere le proprie ragioni in via preventiva rispetto ad un'eventuale censura del Fisco. |