La rateizzazione chiesta dal ricorrente non costituisce acquiescenza

La Redazione
09 Febbraio 2017

La Cassazione ha specificato, con la sentenza n. 3347/2017, che la rateizzazione richiesta dal contribuente sulla cartella di pagamento non costituisce acquiescenza al contenuto.

La Corte di Cassazione, con la sentenza dell'8 febbraio 2017, n. 3347, ha valutato il ricorso proveniente da un Istituto religioso nei confronti di Equitalia, chiarendo così i requisiti considerati necessari per configurare la rinuncia all'impugnazione.

Infatti, costituisce principio generale nel diritto tributario che «non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d'essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamento, domande di rateizzazione o di altri benefici), l'effetto di precludere ogni contestazioni in ordine all'an debeatur, salvo che nn siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto bancario». Il contribuente può comunque rinunciare a contestare la pretesa, eppure è necessario che vi siano alcuni requisiti fondamenti: vale a dire

«1) che una controversia tra contribuente e Fisco sia già nata e risulti chiaramente nei suoi termini di diritto o, almeno, sia determinabile oggettivamente in base agli atti del procedimento;

2) che la rinuncia del contribuente sia manifestata con una dichiarazione espressa o con un comportamento sintomatico particolare, purché entrambi assolutamente inequivoci».

Sentenziando che la rateizzazione richiesta dal contribuente sulla cartella di pagamento non costituisce acquiescenza al contenuto, la Cassazione ha specificato che ciò non rappresenta una dichiarazione di rinuncia al diritto di contestazione della pretesa erariale.

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