La vita breve di un'imposta incostituzionale
06 Luglio 2015
Inquadramento
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 10 dell'11febbraio scorso, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la “Robin Hood Tax”, affermando che la cessazione degli effetti avrà luogo solo a partire dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale, limitando al futuro gli effetti della decisione e annullando così la sua retroattività. Il dubbio sulla legittimità costituzionale era stato sollevato nel marzo del 2011 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, analizzando un ricorso proposto dalla Scat Punti Vendita Spa (una rete di punti vendita di carburanti) contro l'Agenzia delle Entrate. Nella sentenza la Consulta afferma che “l'addizionale” all'imposta sul reddito delle società viola gli articoli 3 e 53 della Costituzione, “sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, per incongruità dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo, in sé e per sé legittimo, perseguito.” Il vizio di irragionevolezza della Robin Hood Tax sorge dalla determinazione della base imponibile che risulta costituita dall'intero reddito anziché dai soli “sovra-profitti”, e dalla prospettiva temporale “dell'addizionale”, che non appare limitata a uno o più periodi di imposta, ma che va a incidere strutturalmente nell'ordinamento tributario italiano come “addizionale” autonoma ed ordinaria. Manca nella previsione del Legislatore la predisposizione di un meccanismo che consenta di tassare più severamente solo l'eventuale “sovra-profitto” connesso alla posizione privilegiata dell'attività esercitata dal contribuente al permanere di una congiuntura economica favorevole. La Robin Hood Tax, istituita con Decreto Legge nel 2008 per fronteggiare una congiuntura economica eccezionale, si è invece stabilita come un'imposizione permanente da applicarsi senza limiti di tempo. Il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo risulta difficilmente assoggettabile a controlli efficaci, idonei a garantire che il divieto non sia eluso. Sui distributori ricadono, infatti, onerose pratiche contabili derivanti dall'obbligo di dimostrare all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) la mancata traslazione. L'inadeguato meccanismo di controllo previsto dalla norma inoltre non garantisce che gli oneri aggiuntivi non si riversino sui prezzi al consumo; il rischio quindi, che gli oneri ricadano sui consumatori finali è reale. Nel motivare la non retroattività degli effetti della sentenza, la Giunta ha addotto la necessità di “impedire alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri”. Su questa base ha ritenuto quindi opportuno deliberare affinché la cessazione degli effetti della norma dichiarata illegittima decorra solo dal giorno dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, in quanto l'applicazione retroattiva della decisione "determinerebbe anzitutto una grave violazione dell'equilibro di bilancio ai sensi dell'art. 81 della Costituzione”. La vita breve della Robin Hood Tax è iniziata con l'art. 81 del D.L. n. 112/2008, convertito dalla Legge n. 133/2008. Qualificabile più correttamente come “mera maggiorazione” dell'aliquota ordinaria, si applica nei confronti delle imprese operanti nei settori della ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, della raffinazione del petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale, e della produzione o commercializzazione di energia elettrica. Tale maggiorazione, stabilita inizialmente nella misura del 5,5%, riguarda l'intera filiera dei mercati energetici di riferimento, ossia dalla fase cosiddetta “upstream” a quella cosiddetta “downstream” e si applica a decorrere dall'anno d'imposta 2008 a tutte quelle imprese che abbiano conseguito un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro nel periodo di imposta precedente. Un aspetto importante della normativa di riferimento è contenuto nel comma 18 dell'art. 81 del D.L. n. 112/2008: si tratta del divieto, posto a carico dei soggetti passivi dell'imposta, di traslare l'onere sui prezzi al consumo. Il divieto cosiddetto “salva-utenti” impone che tale maggiorazione non venga riversata sul prezzo al consumo, evitando che l'aggravio venga “traslato” sul consumatore finale. L'organo investito del compito di vigilare sull'osservanza di tale divieto, l'AEEG, ha inoltre l'incarico di presentare al Parlamento una relazione sugli effetti del tributo entro la fine di ogni anno. L'imposizione è stata giustificata dalla volontà di colpire due categorie di profitti: i profitti “di congiuntura” e i “sovra-profitti”. I profitti di congiuntura derivano dalla rivalutazione delle scorte in caso di aumento del prezzo delle materie prime (in particolare grezzo e gas naturale) e sono determinati dalla crescita “speculativa” delle quotazioni. Il D.L. n.112/2008 ai commi dal 19 al 25 dell'art. 81 ha fissato l'obbligo, in sede di prima applicazione, di effettuare la valutazione delle scorte finali di magazzino secondo i metodi F.I.F.O. o del costo medio ponderato e di assoggettare l'eventuale maggior valore determinato, ad un'imposta sostitutiva all'IRPEF, all'IRES e all'IRAP con l'aliquota del 16%. I profitti di congiuntura sono realizzabili da un numero molto limitato di operatori a livello prevalentemente internazionale, e più precisamente operanti nel settore dell'estrazione; tutti gli altri operatori domestici che hanno dovuto affrontare una situazione di crisi crescente, proprio a partire dal 2008, hanno invece visto ridursi ulteriormente margini già limitati. Per quanto riguarda i sovra-profitti, è stato rilevato che la maggiorazione dell'aliquota, applicandosi all'intero reddito di impresa anziché ai soli sovra-profitti, non giustifica una tassazione differenziata nel settore. La norma introduce una semplice maggiorazione rispetto alla normale aliquota IRES, quindi non rende possibile la tassazione separata e più severa applicabile solo dell'eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla posizione di mercato “privilegiata”. Questo sarebbe ipoteticamente possibile individuando, con tutte le difficoltà che ne deriverebbero, il livello “normale” di utile per queste imprese e applicando una tassazione aggiuntiva solo alla quota eccedente. Il gettito generato dall'addizionale avrebbe dovuto avere finalità etiche, ossia alimentare un fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze di natura alimentare, energetica e sanitaria dei residenti di cittadinanza italiana che versano in condizione di disagio economico. Tutto ciò sarebbe dovuto avvenire attraverso l'attribuzione di una "carta acquisti" il cui onere sarebbe poi stato ribaltato a carico dello Stato. In realtà, l'intero gettito generato della Robin Hood Tax è stato destinato all'alleggerimento dei tagli precedentemente inflitti sulle autonomie locali. L'aliquota "aggiuntiva" all'IRES, inizialmente fissata nella misura del 5,5%, a partire dall'anno d'imposta 2009, ha subito numerose variazioni nel corso degli anni. Con la Legge n. 99/2009 l'aliquota è aumentata di un punto percentuale, passando al 6,5% per gli anni d'imposta 2009 e 2010 e portando quindi l'aliquota IRES complessivamente al 34%; tale incremento era destinato a finanziare contributi in favore dell'editoria. Dall'anno 2011, poi, a seguito dell'emanazione del D.L. n. 138/2011, convertito con la Legge n. 148/2011, la modifica è stata più profonda: oltre ad aumentare significativamente l'aliquota aggiuntiva all'IRES portandola al 10,5% per gli anni d'imposta dal 2011 al 2013, il suddetto Decreto ha esteso l'applicazione della maggiorazione al settore della trasmissione, del dispacciamento, della distribuzione di energia elettrica e a quello del trasporto o distribuzione del gas naturale, eliminando al contempo la clausola di esclusione in favore dei produttori di energia “verde”, ossia quella derivante da fonti rinnovabili e dall'impiego prevalente di biomasse. Inoltre, le soglie richieste per l'applicazione del prelievo si sono ridotte, andando quindi ad includere tutti quei soggetti che avevano registrato nell'anno precedente un volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e, congiuntamente, un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro. Un'ulteriore modifica normativa proviene dal D.L. n. 69/2013 (convertito con la Legge n. 98 del 9 agosto 2013), che ha ancora una volta ampliato il numero dei soggetti sottoposti alla maggiorazione, riducendo le soglie richieste per l'applicazione del tributo ad un volume di ricavi di 3 milioni di euro e ad un reddito imponibile di 300.000 euro. Dal 2014, invece, l'aliquota dell'addizionale ritorna al 6,5%, fissando l'aliquota IRES al 34%.
Fin dalla pubblicazione della sentenza, sono sorti rilevanti dubbi dal punto di vista applicativo sull'efficacia temporale della declaratoria di incostituzionalità. Appurata la non retroattività della decisione, e quindi il decorrere degli effetti dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, occorre individuare operativamente con chiarezza il momento dal quale la Robin Hood Tax cessa di avere effetto. Assonime, con la Circolare n. 5 del 6 marzo 2015, si sofferma sugli effetti contabili e fiscali della sentenza, auspicando tempestivi chiarimenti in merito. La prima: facendo riferimento al periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, non sarebbe più dovuto il saldo relativo all'anno 2014, a differenza degli acconti già versati precedentemente alla suddetta data. Questa soluzione genererebbe una disparità di trattamento tra i soggetti che hanno già versato gli acconti maggiorati e coloro che, al contrario, non li hanno versati e di conseguenza non sono più obbligati al loro versamento. La seconda: interrompe gli effetti di quanto dovuto circoscrivendolo ai periodi d'imposta chiusi prima del 12 febbraio 2015. In questo modo, sempre facendo riferimento al periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, si renderebbero dovuti sia gli acconti che il saldo per il solo anno 2014, in quanto ricollegabili ad un'obbligazione tributaria perfezionata in data precedente a quella di abrogazione della norma. La terza: pone al centro il possesso dei presupposti da parte dei soggetti fino al momento della declaratoria di incostituzionalità. In sintesi, secondo questo approccio, se un soggetto nel 2014 ha superato le soglie di inclusione stabilite dal D.L. n. 69/2013, la maggiorazione risulterebbe ancora dovuta in riferimento all'anno 2015; si avrebbe così un versamento “maggiorato” sia degli acconti che del saldo per l'anno 2015. In questo modo, si estenderebbero il più possibile gli effetti della maggiorazione, con la conseguenza di “recuperare” gettito relativamente ad un periodo che va oltre la cessazione degli effetti a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Si pone poi il problema della gestione delle eventuali eccedenze maturate dai contribuenti in relazione “all'addizionale”. Durante il periodo di efficacia, l'Amministrazione Finanziaria si è dimostrata orientata a considerare la Robin Hood Tax un'imposta diversa e autonoma rispetto all'IRES e, quindi, a sottoporre alle regole previste per la compensazione orizzontale l'utilizzo delle eccedenze della Robin Hood Tax per il pagamento dell'IRES. Di conseguenza viene posto il limite quantitativo di 700.000 euro a questo tipo di compensazione. Rimane comunque invariata la possibilità di richiederne il rimborso o di effettuare, senza limiti quantitativi, compensazioni verticali, ossia di utilizzare in compensazione tali eccedenze per il pagamento dei debiti relativi alla Robin Hood Tax. La soluzione arriva con la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 18/E del 28 aprile 2015 con la quale vengono fornite indicazioni e chiarimenti relativamente al decorrere degli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale. L'Agenzia afferma che la declaratoria non può “produrre effetti sulle obbligazioni tributarie riguardanti adempimenti relativi ai periodi d'imposta chiusi in data antecedente al 12 febbraio 2015”. In questo modo si lascia invariato l'obbligo di rispettare gli adempimenti (in termini di versamento di acconto e saldo) relativi ai periodi d'imposta chiusi prima della pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Pertanto, spiega l'Agenzia delle Entrate, “i soggetti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare sono tenuti, per il periodo d'imposta 2014, al versamento del saldo entro la scadenza naturale della Robin Hood Tax, prevista in via ordinaria il 16 del mese di giugno 2015, compreso l'obbligo di versamento degli acconti dovuti nel corso dell'anno 2014.” Per i soggetti il cui esercizio non coincide con l'anno solare, non ci sarà l'assoggettamento alla maggiorazione a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 12 febbraio 2015, giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Per quanto riguarda le eccedenze maturate dai contribuenti in relazione all'addizionale, l'Agenzia delle Entrate sostiene “che l'addizionale mantenga, rispetto all'IRES, una specifica connotazione che non consente di qualificarne l'eventuale eccedenza di versamento come eccedenza IRES in senso proprio.” Quindi la compensazione tra le due imposte non può qualificarsi come “verticale”, bensì come “orizzontale” e, in quanto tale, da sottoporre al limite previsto dalla normativa vigente di 700.000 euro annuali.
In conclusione
“La vita breve di un'imposta incostituzionale”, si conclude con una declaratoria con effetti solo a posteriori per ragioni di bilancio, sacrificando nei fatti l'interesse di alcuni a favore dell'intera collettività. L'applicazione retroattiva della sentenza di illegittimità costituzionale della norma, determinerebbe una grave violazione dell'equilibrio di bilancio dello Stato, tutelato dall'art. 81 della Costituzione. Pertanto, far decorrere gli effetti solo a partire dal giorno successivo della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale risulta inevitabile al fine di contemperare tutte le esigenze, “garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali”. La Robin Hood Tax (dall'eroe della foresta di Sherwood che rubava ai ricchi per dare ai poveri) portava mediamente nelle casse dello Stato più di un miliardo di euro all'anno. Ora che la Consulta l'ha annullata, anche se solo a partire dal 12 febbraio 2015, resta il problema di come colmare il buco creato dal mancato gettito. |