L'applicabilità del principio di non contestazione nel processo tributarioFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 115
14 Giugno 2017
Premessa
La codificazione del principio di non contestazione, avvenuta ad opera dell'art. 45, comma 14, Legge n. 69/2009, rappresenta il punto di arrivo di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul tema, sorto in occasione della riforma dell'articolo 167 c.p.c. ex Legge n. 353/1990 e proseguito con diverse pronunce di legittimità, da cui è derivato l'intervento del legislatore di cui sopra, che ha modificato l'art. 115 c.p.c.. Ciononostante, permangono contrasti interpretativi sulla portata applicativa del principio in parola nel processo tributario, soprattutto per quanto concerne l'applicabilità dello stesso ai diritti indisponibili, il suo oggetto, le modalità di contestazione e la contestazione tardiva, derivanti dalla natura impugnatoria del rito tributario, dalla specialità del regime di acquisizione delle prove e dalla discussa indisponibilità dell'oggetto della lite.
A seguito della novella normativa entrata in vigore il 4 luglio 2009, l'art. 115 c.p.c. contempla il potere-dovere del giudice di porre a fondamento della decisione, non soltanto le prove proposte dalle parti e dal pubblico ministero e, nei casi previsti dalla legge, quelle disponibili d'ufficio, ma anche i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Così facendo, quindi, il legislatore ha normativamente previsto quello che la giurisprudenza e la dottrina affermavano da diverso tempo, e cioè che deve essere considerato giuridicamente rilevante il comportamento processuale omissivo della parte costituita, che assuma un atteggiamento di inerzia rispetto all'onere, su di essa incombente, di prendere posizione sui fatti principali dedotti. Ne deriva che la parte costituita, ove voglia evitare che i fatti allegati dalla parte avversa siano qualificati come pacifici e, quindi, non bisognosi di prova, ha l'onere di prendere posizione su di essi, essendo la non contestazione specifica un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio. Tale principio generale trova il suo fondamento nel carattere dispositivo del processo, che comporta per entrambe le parti l'onere di collaborare, fin dall'inizio del giudizio, a circoscrivere la materia del contendere ed è attuativo dei principi della ragionevole durata e di economia processuale di cui all'art. 111 Cost.. Esso troverebbe applicazione anche nel processo tributario, ex art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui le norme del codice di rito sono applicabili anche in tale sede, ove non diversamente disposto e se compatibili. Sotto tale profilo, però, l'accennato dibattito dottrinale e giurisprudenziale risulta caratterizzato da una molteplicità di contrasti interpretativi, ancora oggi non superati, in merito alla sua portata applicativa, che derivano segnatamente dalla specialità del rito tributario, di cui si darà evidenza nei successi paragrafi.
Secondo alcuni autori, l'ostacolo ermeneutico principale all'applicabilità del principio di non contestazione nel rito tributario è rappresentato dalla indisponibilità dell'obbligazione tributaria, in quanto nei processi relativi a diritti indisponibili il legislatore vuole impedire che le parti attraverso i contegni processuali o le dichiarazioni possano vincolare il giudice, ottenendo tramite sentenza ciò che non potrebbero ottenere tramite l'autonomia privata. Al contrario, altri autori affermano che il principio di cui all'art. 115 c.p.c. trovi indubbiamente applicazione anche nel processo tributario, essendo irrilevante ogni questione relativa alla indisponibilità del diritto controverso per l'assenza di qualunque distinzione normativa tra diritti disponibili ed indisponibili nel novellato testo normativo, con la conseguenza che il silenzio al riguardo del legislatore può assumere un preciso significato alla luce del brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit. Quindi, il principio di non contestazione troverebbe applicazione anche nel processo tributario, ex art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, in quanto principio generale che risponde ad esigenze di semplificazione probatoria, stante la natura impugnatoria del rito fiscale. Le medesime considerazioni sono state coltivate anche dalla giurisprudenza di legittimità più recente, la quale ha affermato, conformemente all'orientamento dottrinario appena evidenziato, che, stante la specialità del rito tributario e, in particolare, l'indisponibilità dei diritti controversi, gli effetti dell'applicazione del principio di non contestazione possono promanarsi esclusivamente sul piano probatorio. Altra questione di confronto è rappresentata dall'oggetto del principio di non contestazione, e cioè se oggetto della non contestazione siano solo i fatti principali, ovvero i fatti costitutivi posti a fondamento del diritto dedotto in giudizio o quelli impeditivi, modificativi ed estintivi posti a fondamento di un'eccezione, o anche i fatti secondari, ovvero quelli dedotti in giudizio al fine di dimostrare l'esistenza dei fatti principali. A tal proposito, è stato sostenuto, anche se la questione non è così pacifica, che la mancata contestazione possa assumere rilievo solo quando si riferisca ai fatti principali, per i quali il comportamento della parte costituisce manifestazione dell'autonomia ad essa riconoscibile in un processo dispositivo, a differenza dei fatti secondari, che necessitano comunque di un controllo probatorio, con la conseguenza che essi, se non contestati, possono rappresentare solo un mero argomento di prova ex art. 116 c.p.c.. Quindi, il principio di non contestazione investirebbe solo i fatti storici e processuali, purché conosciuti dalla parte nei cui confronti sono allegati, ma non le valutazioni giuridiche che da quei fatti si volessero trarre.
Per quanto concerne le modalità di contestazione, il tenore letterale dell'art. 115 c.p.c. non lascia dubbio alcuno sul fatto che essa debba avvenire con un grado di specificità proporzionato al contenuto delle deduzioni ed allegazioni avversarie, senza quindi limitarsi ad una generica contestazione, che equivarrebbe alla mancata contestazione, producendone i medesimi effetti. Ne deriva che, se la contestazione è meramente generica, non può pretendersi una contestazione specifica dalla controparte; mentre, se la parte deduce e allega fatti specifici, una contestazione generica va equiparata alla non contestazione. Anche il mero silenzio non può essere valutato quale mancata contestazione specifica dei fatti o ammissione implicita degli stessi, così come l'affermazione della parte intimata che l'attore ha l'onere di provare un fatto da esso dedotto non equivale a contestazione del fatto, risolvendosi nel generico richiamo all'art. 2697 c.c., inidoneo ad integrare la contestazione specifica imposta dall'art. 115 c.p.c.. Altro dubbio è rappresentato dall'eventuale individuazione di un termine utile entro il quale contestare. Ancorché l'art. 115 c.p.c. non precisi nulla al riguardo, è stato rilevato che, alla luce dei principi sistematici del processo civile e tributario, la parte ha l'onere di contestare il fatto allegato dalla controparte nella prima difesa utile. Tale momento coinciderà per la parte ricorrente con la presentazione del ricorso, mentre per la parte resistente anche con l'udienza di trattazione, potendo costituirsi tardivamente senza che ciò comporti alcuna preclusione nell'esposizione delle difese in merito ai motivi di ricorso, ferma restando la decadenza dalla possibilità di proporre eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché dalla richiesta di chiamata di terzi in causa. Infine, si rileva che il principio di non contestazione non trova applicazione in caso di contumacia, atteso il chiaro richiamo dell'art. 115 c.p.c. alla parte costituita in giudizio. In conclusione
La modifica all'art. 115 c.p.c. ha avuto il pregio di risolvere il vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale che nell'ultimo decennio ha animato le discussioni in tema di non contestazione dei fatti allegati dalla parte avversaria, offrendo sicuramente un punto di riferimento normativo per l'applicabilità di tale principio sia nel rito ordinario che in quello tributario. Tuttavia, occorre evidenziare, proprio con riferimento a quest'ultimo, che la pacifica applicabilità del principio di non contestazione al rito tributario non può essere accolta sic et simpliciter dagli operatori del diritto, poiché permangono taluni contrasti interpretativi, come quelli prima enunciati, che richiedono quantomeno una valutazione del singolo caso concreto. Ad esempio, il principio di non contestazione non può trovare applicazione in ambito tributario nell'ipotesi in cui si verta su qualificazioni giuridiche che devono essere dimostrate da chi le adduce a fondamento della pretesa tributaria o per contrastarla, come per il diritto di rimborso dell'imposta. Da ultimo, si evidenzia che, ad ogni modo, il giudice tributario può disattendere espressamente o implicitamente i fatti allegati dalla parte costituita, indipendentemente dalla specifica contestazione, laddove la motivazione della sentenza risulti incompatibile con i fatti allegati dalla controparte.
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