Prospetto delle rimanenze e accertamento induttivo
15 Maggio 2017
Massima
Una valutazione delle rimanenze effettuata in maniera complessiva e non analitica, come prescritto dall'art. 15, comma 2 del d.P.R. n. 600/1973 (secondo cui l'inventario deve indicare i beni raggruppati per categorie omogenee per natura e valore, specificando il valore attribuito a ciascun gruppo), legittima l'accertamento induttivo ai sensi del successivo art. 39, comma 2, lett. d): in questi casi l'Amministrazione Finanziaria può utilizzare presunzioni cc.dd. “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. Il caso
In accoglimento dell'appello dell'Agenzia delle Entrate, la CTR Piemonte riformava la sentenza di primo grado e, per l'effetto, confermava l'avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente in qualità di titolare di una ditta individuale di commercio al dettaglio di articoli di cartoleria. Secondo il giudice d'appello doveva ritenersi fondato l'accertamento induttivo alla luce dell'inattendibilità dell'inventario e delle discordanze nel ricarico.
Col successivo ricorso in Cassazione la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 600/1973, art. 39, comma 1, lett. d, d.P.R. n. 633/1972, art. 54, artt. 2697 e 2729 c.c., d.P.R. n. 600/1973, art. 39, comma 3 e art. 18, comma 2, D.L. n. 69/1989, art. 9, comma 1, lett. b, conv. L. n. 154/1989, art. 92, comma 7, d.P.R. n. 917/1986, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi: secondo il ricorrente la commissione tributaria regionale avrebbe ritenuto legittimo l'impiego del metodo induttivo pur in presenza di una contabilità regolare. Le questioni
La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la corretta tenuta dell'inventario ed in particolare del prospetto delle rimanenze che deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario, pena la legittimità dell'accertamento induttivo effettuato dall'Amministrazione finanziaria. Le soluzioni giuridiche
L'art. 39, comma 2 del d.P.R. n. 600/1973 consente all'Amministrazione Finanziaria di procedere alla rettifica induttiva del reddito di impresa: presupposto di tale tipologia di accertamento è il disconoscimento dell'intero impianto contabile per la presenza di irregolarità formali così numerose da rendere la contabilità inattendibile nonché carente dal punto di vista della sistematicità. In questi casi l'Ufficio può anche prescindere, nella ricostruzione del reddito, dalle risultanze delle scritture contabili, procedendo in base a dati e notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, avvalendosi cioè anche di presunzioni cc.dd. “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
L'art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 stabilisce: "l'inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario".
Il d.P.R. n. 570/1996 (recante il regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile) fissa dei casi al verificarsi dei quali scatta l'inattendibilità delle scritture contabili, tra cui vi è anche la mancata annotazione, nel libro degli inventari o nella nota integrativa, dei criteri di valutazione delle rimanenze.
La pronuncia in commento si pone in linea con l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, molto rigoroso sugli effetti della mancata o irregolare tenuta della contabilità di magazzino. Emblematica sul punto la pronuncia n. 8273/2003 con cui la Cassazione ha chiarito che l'inventario e il bilancio sono scritture aventi una diversa finalità: "il bilancio…deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e passività relative all'impresa”…l'inventario ai sensi dell'art. 2217 c.c., si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite".
Tali scritture contabili non sono quindi fungibili e il contribuente può salvarsi dall'accertamento induttivo solo mettendo a disposizione dell'Ufficio le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario. Coerentemente con tale orientamento i giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, hanno ritenuto infondato il ricorso del contribuente in quanto “la descritta incompletezza contabile e l'inattendibilità scritturale che ne deriva giustificano finanche l'accertamento induttivo puro d.P.R. n. 600/1973, ex art. 39, comma 2, lett. d, nel quale - com'è noto - hanno cittadinanza le presunzioni c.d. supersemplici, cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza”.
Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, come avallato dal giudice di appello, aveva adottato un onere motivazionale rinforzato, non limitandosi a contestare e valorizzare la non corretta tenuta dell'inventario ma corroborando tale elemento con altri, come l'esistenza di notevoli scostamenti sulle percentuali di ricarico, in tal modo fornendo un quadro indiziario complesso ai sensi dell'art. 2729 c.c. che farebbe propendere per la natura analitico-induttiva dell'accertamento emesso in quanto basato su presunzioni gravi, precisi e concordanti.
Osservazioni
L'accertamento induttivo costituisce una deroga alle metodologie che precedono, caratterizzata dalla circostanza che l'Agenzia delle Entrate può avvalersi di dati e notizie comunque raccolti, avvalendosi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Ne consegue che la ricostruzione della posizione fiscale del contribuente avviene attraverso procedure di quantificazione e qualificazione della base imponibile che prescindono dalle informazioni o dalla documentazione proveniente dal contribuente stesso, con l'attribuzione all'Amministrazione finanziaria di poteri d'accertamento particolarmente incisivi, volti a contrastare le ipotesi più gravi di violazione degli obblighi dichiarativi e contabili di carattere sostanziale.
Altra caratteristica dell'accertamento induttivo è che esso è finalizzato a ricostruire e determinare principalmente i redditi d'impresa e, per espressa estensione di legge, anche i redditi derivanti dall'esercizio di arti e professioni.
Da questo punto di vista si evidenzia che la facoltà attribuita all'Agenzia delle Entrate di disattendere completamente le scritture contabili costituisce un'eccezione alla regola generale, che il legislatore contempla solo quando le irregolarità constatate sono tali da far perdere alle scritture contabili il carattere privilegiato che ad esse è altrimenti riconosciuto, ma attribuendo in ogni caso all'ufficio la possibilità di ricavarne elementi utili a rideterminare il presupposto d'imposta con notevoli margini di apprezzamento discrezionale.
Nell'ambito di applicazione della metodologia in esame all'ufficio è attribuita la facoltà di ricorrere a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza: infatti, l'accertamento induttivo potendo essere utilizzato in presenza di patologie molto gravi sul piano della illegittimità del comportamento del contribuente, può essere sostenuto da presunzioni “semplici”, vale a dire a basso grado di attendibilità, seppur sufficiente per convincere eventualmente il giudice che la ricostruzione induttiva assume una affidabilità maggiore rispetto a quella prospettata dal contribuente.
Del resto in siffatte ipotesi l'utilizzo di presunzioni non qualificate risulta l'unico strumento a disposizione dell'ufficio per poter ricostruire una realtà complessa come la situazione economico-patrimoniale di un'impresa priva di contabilità attendibile, anche se supportato da informazioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Ma l'assenza di tali requisiti non deve far ritenere che si tratti di presunzioni imprecise o contraddittorie: in realtà esse sono le migliori che possono essere ottenute in situazioni simili.
Peraltro, al fine di contemperare il carattere sostanzialmente sanzionatorio dell'accertamento induttivo il legislatore ha comunque ritenuto opportuno individuare tassativamente i presupposti in presenza dei quali tale strumento può essere utilizzato: l'ufficio, infatti, deve innanzitutto dimostrare la presenza delle condizioni che consentono il configurarsi della inattendibilità della contabilità e successivamente individuare gli elementi che legittimano la pretesa erariale. In particolare, ai fini delle imposte sui redditi, l'art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973, prevede che l'ufficio può determinare il reddito d'impresa con metodo induttivo nelle seguenti ipotesi:
Di contenuto analogo le disposizioni recate dall'art. 41 del d.P.R. n. 600/1973 e dall'art. 55 del d.P.R. n. 633/1972 in caso di omessa presentazione della dichiarazione, o di dichiarazione nulla, ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, che autorizzano l'Agenzia delle Entrate a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell'accertamento, utilizzando metodologie induttive e quindi anche presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza: a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall'Ufficio, spetta al contribuente l'onere di dimostrare i fatti impeditivi, modificativi o estensivi della pretesa avanzata dall'ufficio. Una delle contestazioni che vengono maggiormente mosse al contribuente in caso di verifica, prodromica all'attivazione dell'accertamento induttivo, attiene a violazioni riguardanti la tenuta del prospetto delle rimanenze.
L'art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 stabilisce che "l'inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario".
Sia in caso di irregolarità che, a maggior ragione in caso di omessa presentazione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali, l'ufficio può procedere ad accertamento di tipo induttivo, attraverso una determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisito. Ciò in quanto l'omissione determina l'impossibilità di una ricostruzione analitica dei ricavi con conseguente inattendibilità complessiva delle scritture contabili.
Lo ha stabilito ormai in maniera consolidata la Cassazione, ad esempio con la sentenza n. 24016 del 24 novembre 2016 con cui ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate.
Nel caso di specie con più avvisi di accertamento l'Agenzia delle Entrate richiedeva ad una società di persone maggiori IVA ed IRAP e, ai relativi soci, una maggiore IRPEF: il tutto sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza con cui era stata contestata un'errata modalità di valutazione delle rimanenze che non erano state raggruppate per categorie omogenee per natura e valore, in violazione del disposto di cui all'art. 15 del d.P.R. n. 600/1973 nonché l'omessa conservazione delle distinte. Tali rilievi avevano dato origine agli avvisi di accertamento impugnati, emessi con il metodo induttivo.
I ricorsi instaurati dai contribuenti venivano rigettati dalla CTP di Nuoro, con sentenza poi riformata in grado di appello con conseguente annullamento degli atti impugnati. La CTR ha ritenuto, in particolare, che difettavano i requisiti per l'accertamento induttivo in quanto l'indicazione in bilancio e nel libro degli inventari delle rimanenze non distinte per categorie omogene rappresenta solamente un'irregolarità formale incapace di inficiare l'intero impianto contabile rendendolo inattendibile.
Con il successivo ricorso per Cassazione l'Agenzia delle Entrate denunciava, tra l'altro, violazione dell'art. 39 e dell'art. 15 del d.P.R. n. 600/1973, per avere la CTR ritenuto irregolarità solamente formali, non idonee a fondare l'accertamento induttivo, l'indicazione in bilancio e nel libro degli inventari delle rimanenze non distinte per categorie omogenee e la mancata conservazione delle distinte di cui all'art. 15 del d.P.R. n. 600/1973. La Suprema Corte ha considerato fondato il motivo di ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Secondo i giudici, “l'omissione delle scritture ausiliarie di magazzino, infatti, generando un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell'inventario, rifluisce indubbiamente sulla possibilità per gli accertatori di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio e determina perciò quella "inattendibilità complessiva delle scritture contabili" che è presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell'accertamento (cfr. sez. VI-T, n. 14501/2015, sez. trib., n. 7653/2012, n. 16499/2006, n. 13816 del 2003)”.
La pronuncia impugnata ha fatto dunque malgoverno di tale principio nel momento in cui ha escluso che tali violazioni potessero legittimare un avviso di accertamento con metodo induttivo. Nel solco di tale rigoroso orientamento si segnala anche la sentenza n. 16477 del 2014 secondo cui una valutazione delle rimanenze effettuata in maniera complessiva e non analitica o per gruppi omogenei di beni, come prescritto dall'art. 15, comma 2 del d.P.R. n. 600/1973, legittima l'accertamento induttivo ai sensi del successivo art. 39, comma 2, lett. d): in questi casi l'Amministrazione Finanziaria può utilizzare presunzioni cc.dd. “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Nel caso di specie, in cui l'inventario era stato tenuto in maniera irregolare, non è valso a sanare tale lacuna neppure il riferimento al bilancio e alla nota integrativa. Infatti “l'inventario e il bilancio costituiscono scritture contabili distinte, aventi contenuto e finalità diverse, ai sensi dell'art 15 del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 2217 dei c.c., ed alla cui redazione sono obbligati i soggetti indicati nel primo comma dell'art. 13 del citato d.P.R. Ne deriva che la violazione consistente nell'omessa o irregolare redazione dell'inventario non può ritenersi sanata, né resa meramente formale, dall'avvenuta redazione del bilancio” (cfr. Cass. civ.,n. 8273/2003). Con tale ultima pronuncia la Cassazione ha anche chiarito che l'inventario e il bilancio sono scritture aventi una diversa finalità: "il bilancio deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e passività relative all'impresa”, l'inventario ai sensi dell'art. 2217 c.c., si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite".
Tali scritture contabili non sono quindi fungibili e il contribuente può salvarsi dall'accertamento induttivo solo mettendo a disposizione dell'Ufficio le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario. La Cassazione, in definitiva, considera fondamentale non solo la tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino nonché delle distinte necessarie alla compilazione dell'inventario, ma anche la corretta e ordinata compilazione delle stesse. Del resto è chiaro sul punto il d.P.R. n. 570/1996 (recante il regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile) secondo cui le irregolarità delle scritture contabili si considerano gravi al punto da rendere inattendibile la contabilità, tra l'altro, quando “i criteri adottati per la valutazione delle rimanenze non sono indicati nella nota integrativa o nel libro degli inventari”. |