Alcune considerazioni in merito alla legittimità costituzionale dell'IMU
21 Ottobre 2016
Premessa
Giova preliminarmente rammentare che l'art. 8 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2014, l'IMU, sostitutiva, per la componente immobiliare, dell'IRPEF e delle relative addizionali dovute in ordine ai redditi fondiari afferenti ai beni non locati, nonché dell'ICI. Nell'istituire tale nuova imposta (art. 8, comma 1) il legislatore ha sostanzialmente mutuato l'impianto generale dell'ICI, conosciuto e collaudato da circa un ventennio, assumendo:
a) il medesimo presupposto impositivo – vale a dire il possesso di beni immobili diversi dall'abitazione principale (art. 8, comma 2) – previsto per l'ICI dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, in combinato con l'art. 1, comma 1, D.L. 27 maggio 2008, n. 93; b) la medesima base imponibile (art. 8, comma 4), ossia il valore dell'immobile come determinato per l'ICI dall'art. 5 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504; c) i medesimi soggetti passivi, identificati nel proprietario o titolare di diritti reali su beni immobili, nel concessionario di aree demaniali e nel locatario nel caso di locazione finanziaria (art. 9, comma 1), così come avveniva per l'ICI ai sensi dell'art. 3 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504; d) il medesimo soggetto attivo, ossia il Comune (art. 9, comma 3), analogamente all'ICI, ex art. 4, comma 1, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
L'art. 13 D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, ha anticipato «in via sperimentale» l'IMU a decorrere dall'anno 2012, richiamando la disciplina degli artt. 8 e 9 D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, «in quanto compatibili» con le disposizioni modificative contenute nello stesso art. 13, tra cui spiccava l'assoggettamento ad imposizione dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, seppur con applicazione di un'aliquota ridotta ed il riconoscimento di una detrazione.
Come si evince dalla pur sintetica disamina che precede, l'IMU che ha trovato applicazione negli anni 2012 e 2013 – quelli riguardati dai giudizi a quibus – per quanto ispirata al modello dell'ICI, è un'imposta regolata da una normativa nuova, il cui grado di complessità e problematicità interpretativa ed applicativa è accentuato dalla molteplicità di rinvii alla disciplina dell'imposta comunale sugli immobili e dell'IMU “di prima emanazione”. Inoltre, la fretta con la quale la versione “anticipata” è stata confezionata dal Governo Monti per fronteggiare l'emergenza finanziaria all'epoca particolarmente pressante ha condotto a trascurare una serie di esigenze equitative che l'ultima disciplina ICI in vigore aveva soddisfatto, al contempo facendo presagire la sopravvenienza di modifiche correttive, che si sono effettivamente accavallate con notevole frequenza nel corso dei mesi e degli anni successivi.
Ciò che può senz'altro essere rimarcato – in quanto tornerà utile nel prosieguo – è che l'aver sottoposto a tassazione, quantomeno nel 2012, l'abitazione principale e le relative pertinenze e l'aver incrementato le basi imponibili dei beni immobili, aumentando i coefficienti moltiplicatori concernenti le rendite catastali dei fabbricati urbani e rurali ed i redditi dominicali dei terreni agricoli, ha significativamente inasprito il carico fiscale sui contribuenti rispetto al regime precedente, come peraltro emerge dal gettito che il legislatore si aspettava di rinvenire dall'IMU sperimentale – stimato, per l'anno 2012, in complessivi 21,8 miliardi di euro (3,8 miliardi relativi a prime case e pertinenze) – a fronte di quello delle imposte sostituite, pari a complessivi 10,8 miliardi di euro (9,2 miliardi a titolo di ICI).
Alla luce di simili dati, risulta di tutta evidenza l'impatto che una pronuncia di accoglimento avrebbe avuto sui bilanci pubblici – considerato anche il mancato decorso dei termini prescrizionali in ordine ai relativi pagamenti – rilievo che non poteva sfuggire ai giudici a quibus e che avrebbe dovuto indurli ad una maggiore attenzione nella redazione delle ordinanze di rimessione, sanzionate dalla pronuncia di manifesta inammissibilità. Ad avviso della Corte, infatti, entrambi i giudici rimettenti hanno sostanzialmente omesso di individuare le norme censurate di cui avrebbero dovuto fare applicazione nei giudizi innanzi ad essi pendenti, con inevitabile riverbero sulla valutazione di rilevanza della questione: quello toscano limitandosi ad indicare la «legge istitutiva» dell'IMU ed omettendo di descrivere compiutamente la fattispecie al suo esame; quello piemontese denunciando l'intero complesso normativo, eterogeneo per oggetto, riguardante l'istituzione e la disciplina dell'imposta, senza selezionare esplicitamente le norme cui circoscrivere lo scrutinio ed al contempo incorrendo nell'analoga omissione descrittiva.
Ciò tuttavia non impedisce, in questa sede, qualche considerazione in ordine al merito delle censure formulate, spunto di riflessione – quantomeno parziale – circa la costituzionalità dell'imposta. Natura del tributo
L'esame dei profili di illegittimità denunciati dai rimettenti necessita di una breve premessa riguardo alla natura del tributo. Esso sembra corrispondere esattamente alla fattispecie dell'imposta patrimoniale speciale, per tale intendendosi quella assisa sulla titolarità di una certa tipologia di diritti – purché si tratti di situazioni giuridiche idonee alla circolazione, ossia suscettibili di scambio contro denaro – senza che rilevi l'avvenimento dello scambio (perché in tal caso si tratterebbe di un'imposta sui trasferimenti) e la destinazione del bene su cui il diritto insiste, eventualmente foriera di proventi (perché in tal caso si sarebbe di fronte ad un'imposta sui redditi) – (si veda al riguardo – nel contesto di una più amplia riflessione sulle imposte patrimoniali speciali e generali – E. Marello, Disuguaglianza, consenso, visibilità: riflessioni sull'introduzione di un'imposta generale sul patrimonio).
Tanto premesso, sembra che, soprattutto con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost., entrambe le ordinanze di rimessione scontino un vizio di fondo, ossia che il nostro ordinamento costituzionale ammetta un'imposta speciale sul patrimonio immobiliare solo in correlazione alla capacità dello stesso di produrre reddito o solo in correlazione ad un reddito altrimenti disponibile da parte del contribuente. Tale assunto, oltre ad essere smentito dalla dottrina più recente (si veda al riguardo E. Marello, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006), sembra sconfessato dall'evoluzione della giurisprudenza costituzionale. Quest'ultima in origine non riconosceva un'autonoma rilevanza impositiva al patrimonio, per cui l'attitudine alla contribuzione non veniva individuata nella titolarità del diritto ma nella produttività del bene (Corte cost. 31 marzo 1965, n. 16, in www.cortecostituzionale.it).
Detta impostazione venne mantenuta a lungo (Corte cost. 24 giugno 1994, n. 263), ma iniziò a vacillare nella seconda metà degli anni '90, in cui la Corte riconobbe dapprima rilievo al valore del bene piuttosto che alla redditività dello stesso (Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 21) e poi affermò, con specifico riferimento all'ICI, che essa «è conformata quale imposta patrimoniale, è dovuta in misura predeterminata e non si basa su indici di produttività» (Corte cost.12 aprile 1996, n. 113).
Successivamente, la Corte, sempre a proposito dell'ICI, giunse a sostenere apertis verbis che «il patrimonio nella sua oggettività» costituisce indice rivelatore di capacità contributiva (Corte cost. 22 aprile 1997, n. 111), concetto consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale successiva, che ha espressamente smentito l'assunto «per cui, in definitiva, le imposte patrimoniali sono costituzionalmente legittime solo se possono essere pagate con il reddito ritraibile dal cespite oggetto d'imposta».
Chiarito l'equivoco di fondo da cui in parte muovono i rimettenti, si deve ricordare che per costante giurisprudenza costituzionale la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese esige solo l'oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (desumibile «non solamente dal reddito individuale») (Corte cost. 21 maggio 2001, n. 156) – nella fattispecie espresso dal valore del bene immobile posseduto (Corte Cost. 28 novembre 2008, n. 394) – e nulla più (rimane sullo sfondo il dibattito – ne dà conto E. Marello in Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, cit. – secondo cui, per alcuni, il contribuente dovrebbe poter assolvere al proprio obbligo cedendo una quota dell'oggetto d'imposta, mentre, per altri – che trovano conforto anche in un orientamento della giurisprudenza costituzionale già menzionato nel testo: Corte Cost. 22 aprile 1997, n. 111, cit. – il presupposto d'imposta varrebbe come indizio di una capacità contributiva generale).
Dunque, parrebbe potersi concludere che, secondo quanto previsto dall'art. 53, comma 1, Cost. come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, il presupposto su cui è assisa l'IMU costituisca effettivamente fatto espressivo di capacità contributiva quale indice dell'idoneità del soggetto passivo all'obbligazione tributaria (Corte Cost. 30 aprile 2015, n. 70, Corte Cost. 16 luglio 2014, n. 201 e Corte Cost. 12 dicembre 2013, n. 304), la cui identificazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore con il solo limite della non arbitrarietà (Corte Cost. 15 dicembre 2005, n. 453, Corte Cost. 10 aprile 2003, n. 124, Corte Cost. 18 ottobre 2002, n. 426, Corte Cost. 14 giugno 2002, n. 250, Corte Cost. 10 aprile 2002, n. 103, e Corte Cost. 21 maggio 2001, n. 156).
Ne conseguirebbe la legittimità dell'imposta sotto il profilo in questione. La Commissione tributaria provinciale di Novara, oltre a lamentare il contrasto con il principio di capacità contributiva sulla base di un'ottica non meramente patrimoniale dell'IMU, sembra dedurre anche la violazione del principio di progressività di cui all'art. 53, comma 2, Cost., atteso che il tributo, a parità di base imponibile e di aliquota, inciderebbe maggiormente sui contribuenti a reddito più basso. Se in dottrina paiono rinvenirsi, accanto a posizioni caute in ordine all'effetto progressivo riconducibile all'introduzione di un'imposta patrimoniale speciale, quale abbiamo visto essere l'IMU (si veda E. Marello, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, che ravvisa un effetto progressivo solo quando il bene oggetto d'imposta sia statisticamente più diffuso tra i possessori di elevati patrimoni o redditi), orientamenti che ciò sostengono in via più generalizzata (in tal senso sembra orientato R. Rizzi, Profili di illegittimità costituzionale dell'ICI nella ordinanza del Tar dell'Umbria n. 480/1993), non può non rilevarsi come, ai sensi dell'art. 53, comma 2, Cost., sia «il sistema tributario» ad essere «informato a criteri di progressività».
Ciò ha consentito alla Corte costituzionale di affermare che la progressività attiene al sistema impositivo tributario nel suo complesso (Corte cost. 30 dicembre 1999, n. 464, e Corte cost. 6 aprile 1995, n. 107, e Corte Cost. 24 giugno 1994, n. 263, cit.; nello stesso senso, più di recente, correlando alla progressività «il quadro di sistema», Corte cost. 30 aprile 2015, n. 70, cit., e Corte cost. 11 febbraio 2015, n. 10, mentre per le imposte di natura reale la proporzionalità in luogo della progressività – per quanto quest'ultima non sia con esse necessariamente incompatibile (Corte cost. 15 dicembre 2005, n. 453) – non contrasta con l'evocato parametro né con il principio di uguaglianza, «dal momento che, come già affermato dalla Corte, sono le imposte personali a dover essere tecnicamente adeguate all'attuazione del principio di progressività, nel senso di prevedere aliquote che aumentano con il crescere del reddito» (Corte cost. 2 novembre 1996, n. 377, che pronuncia su censure sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. sostanzialmente analoghe a quelle proposte dalla Commissione tributaria provinciale di Novara; nello stesso senso, Corte cost. 24 giugno 1994, n. 263, cit.).
Così ragionando, si dovrebbe escludere anche la violazione del principio di progressività di cui all'art. 53, comma 2, Cost.
Il giudice di Novara, congiuntamente alla violazione dell'art. 53 Cost. e per gli stessi motivi indicati a sostegno delle censure formulate in riferimento a detto parametro, deduce anche la lesione dei principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di solidarietà (art. 2 Cost.).
Giova a questo punto ricordare che i principi di capacità contributiva e di progressività di cui all'art. 53 Cost. rappresentano specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. (Corte Cost. 28 maggio 2014, n. 142, Corte Cost. 29 maggio 2013, n. 113, e Corte Cost. 11 ottobre 2012, n. 223) e che il primo dei due è altresì specificativo del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., considerato che il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva costituisce il principale dei doveri inderogabili di solidarietà (Corte Cost. 18 febbraio 1992, n. 51), la quale trova il proprio terreno d'elezione proprio nell'ambito tributario, in ragione dell'universalità dell'intervento correlato al presupposto impositivo (Corte cost. 11 ottobre 2012, n. 223), ed ivi la sua più autentica dimensione. D'altra parte, a riprova dell'intima correlazione tra i principi di cui all'art. 53 Cost. e quelli di uguaglianza e solidarietà, la giurisprudenza costituzionale sostiene che un indefettibile raccordo con la capacità contributiva in un quadro di sistema informato a criteri di progressività «si collega al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali che di fatto limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione» (Corte cost. 30 aprile 2015, n. 70). Nell'ambito di siffatta impostazione, pertanto, il mancato riscontro della violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività determinerebbe anche il rispetto degli artt. 2 e 3 Cost., stante la coincidenza degli argomenti addotti a supporto di tutte le doglianze fin qui esaminate.
Parimenti insussistente, infine, sembrerebbe il dedotto contrasto con il principio di capacità contributiva e con l'art. 3 Cost. in ragione della mancata considerazione da parte del regime IMU delle eventuali passività gravanti sul titolare del diritto. La Corte costituzionale, pronunciandosi a proposito dell'ICI, ha escluso la sussistenza di simile vizio, evidenziando, per quanto qui interessa, che dette passività non afferiscono al bene immobile, bensì al patrimonio generale del soggetto che ne assume il carico, onde la ragionevolezza della loro mancata considerazione al fine di dedurli dalla base imponibile (Corte cost. 22 aprile 1997, n. 111), in coerenza, peraltro, con la prospettiva di autonomia tra patrimonio immobiliare e condizione reddituale del contribuente. Passando all'esame del secondo gruppo di possibili profili di illegittimità, le ordinanze evocano l'art. 42 Cost. – genericamente la Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, specificamente il comma 2 quella di Novara – a tutela della proprietà e l'art. 47, comma 1, Cost. – solo il giudice di Novara – a salvaguardia del risparmio. In sostanza, le censure si traducono nella doglianza secondo cui l'IMU impedirebbe il mantenimento della proprietà (art. 42 Cost.) – in pratica perché, prescindendo dal reddito, indurrebbe chi non fosse in grado di far fronte all'obbligazione tributaria a disfarsi del bene – e colpirebbe quella particolare forma di risparmio statico in cui il diritto dominicale consiste (art. 47, comma 1, Cost.).
Sotto il primo profilo, in dottrina è stato evidenziato come il precetto costituzionale che garantisce la proprietà non costituisca un impedimento generico all'imposizione patrimoniale, essendo nella logica di ogni tributo che il contribuente si privi di una parte della propria ricchezza per destinarla all'Erario, non diversamente da quanto accade nel caso delle imposte sui redditi, una parte dei quali viene ceduta al Fisco. Inoltre, si potrebbe anche ritenere che l'imposta sul patrimonio, inducendo all'utilizzo più redditizio dei cespiti – atteggiamento che consentirebbe al contribuente di sopportare più agevolmente il costo di detenzione derivante dall'imposta – non sarebbe costituzionalmente irrilevante, atteso che, ha sostenuto la Corte, «l'imposta costituisce anche incentivo ad una congrua utilizzazione del bene e favorisce tra l'altro un migliore adempimento dei doveri di solidarietà economica e un più ampio contributo al progresso materiale del Paese (artt. 3 e 4 della Costituzione)» (Corte cost. 31 marzo 1965, n. 16).
Tali argomenti, peraltro, non varrebbero quando l'imposta speciale immobiliare assida sull'abitazione principale (come, in particolare, nel caso dell'IMU applicata nel 2012). Il problema, sottolineato dalla già citata dottrina, consisterà semmai nello stabilire (se e) quale sia il limite quantitativo al sacrificio imponibile al contribuente – limite sostanzialmente derivante dai valori presidiati dagli artt. 41 (iniziativa economica), 42 (proprietà) e 47 (risparmio) Cost. – che tuttavia non è venuto in rilievo nella fattispecie, visto che i rimettenti – a parte un cenno nell'ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Novara, ove si rileva un'incidenza della precedente ICI «in misura più ridotta rispetto all'IMU» – non si dolgono del suo superamento.
Nell'ottica dottrinaria poc'anzi ricordata sembra collocarsi, in alcuni passaggi, l'arresto giurisprudenziale più volte citato (Corte cost. 22 aprile 1997, n. 111) – che, pur riconoscendo l'esigenza «di riferire le valutazioni di costituzionalità, in via prioritaria, al fondamentale parametro dell'art. 53, non esclude che, in occasione di tale giudizio, possa emergere anche la coesistente lesione di altri interessi costituzionalmente protetti, tra i quali quello oggetto dell'art. 42 evocato dal rimettente, ma certamente non solo esso», riferendosi anche al favor per la proprietà della casa di abitazione (art. 47 Cost.) – apparentemente richiamando il parametro dell'art. 42 Cost. quale strumento di valutazione della legittimità del prelievo nella sua entità.
Tuttavia, in generale, la giurisprudenza costituzionale sembra svalutare simile approccio. Più in particolare, in riferimento all'art. 42 Cost. – anche con espresso riguardo al caso in cui il contribuente non abbia a disposizione denaro liquido e, per adempiere all'obbligo, alieni a terzi uno o più beni di sua proprietà (similmente a quanto deduce la Commissione tributaria toscana, che paventa la dismissione dello stesso bene oggetto di imposizione) – la Corte afferma che quando, come nella fattispecie, «sia censurata una misura fiscale alla stregua di provvedimento ablatorio, la denuncia di incostituzionalità è disattesa ove sia rinvenibile una giustificazione economica alla specifica imposizione, indipendentemente dall'incidenza sul patrimonio del soggetto passivo, purché sussista il collegamento oggettivo del tributo ad un concreto presupposto impositivo» (Corte cost. 28 novembre 2008, n. 394, cit., e Corte cost. 25 luglio 2002, n. 395; nello stesso senso, Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 21, cit.).
Tale ultimo requisito risulterebbe integrato nella fattispecie tributaria all'esame, come in precedenza si è cercato di dare conto, onde l'ossequio al parametro in questione. Quanto poi all'art. 47 Cost., la Corte – con riguardo ad imposte sugli immobili e sui depositi bancari e postali – ne ha escluso la violazione in quanto «tale disposizione contiene un principio al quale il legislatore ordinario è certamente tenuto ad ispirarsi, ma che non può impedire al medesimo di emanare, in materia finanziaria, disposizioni volte a disciplinare il gettito delle entrate, con l'unico limite della vera e propria contraddizione o compromissione del principio stesso» (Corte cost. 26 luglio 1996, n. 322, Corte Cost. 15 marzo 1996, n. 73, Corte Cost. 24 ottobre 1995, n. 453, n. Corte Cost. 4 maggio 1995, n. 143, e Corte Cost. 27 luglio 1982, n. 143), che nella fattispecie parrebbe potersi escludere analogamente alle precedenti occasioni.
Comunque si ragioni, quindi, le doglianze formulate in relazione alla violazione degli artt. 42 e 47 Cost. risulterebbero destituite di fondamento: nell'ottica più prettamente dottrinaria, per mancata allegazione, prima ancora che dimostrazione, dell'eccessività del prelievo; in quella giurisprudenziale, in applicazione dei principi testé rammentati. In conclusione
Il complesso delle considerazioni che precedono sembra avvalorare la legittimità di fondo dell'istituzione di quell'imposta patrimoniale speciale in cui consiste l'IMU (quantomeno con riferimento ai profili di censura nell'occasione dedotti). Residua, forse, qualche margine, seppur ristretto, di doglianza potenzialmente idonea a scalfire – o, quantomeno, a mettere a più dura prova – la tendenziale ritrosia della Corte costituzionale ad accogliere questioni di legittimità in materia tributaria – capaci di incidere pesantemente sui bilanci pubblici – richiamandola all'assolvimento del più alto compito di presidio della legalità costituzionale; tanto più in situazioni emergenziali quale quella odierna, in cui le tentazioni del legislatore si fanno meno resistibili ed il correlato rischio di abuso si accentua. S. Baruzzi, La disciplina dell'Imu, in Il fisco 2012. E. Marello, Disuguaglianza, consenso, visibilità: riflessioni sull'introduzione di un'imposta generale sul patrimonio, in Rass. trib. 2014, n. 5. E. Marello, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006. A. Piccolo, L'imposta municipale propria, in Il fisco 2012, n. 3. R. Rizzi, Profili di illegittimità costituzionale dell'Ici nella ordinanza del Tar dell'Umbria n. 480/1993.
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