L'oggetto della prova per l'accertamento di un reddito da partecipazione in capo al socio di società a ristretta base proprietaria

26 Ottobre 2016

Nelle società di capitali a ristretta base proprietaria, in ipotesi di contestazione di maggiori utili non contabilizzati, l'Ufficio non può fondare l'accertamento in capo al socio sul mero dato della ristrettezza della compagine sociale, risultando necessaria la prova, ricadente sulla parte pubblica, dell'avvenuta distribuzione dei dividendi: tale distribuzione rappresenta il fatto costitutivo della pretesa evasione del socio.
Massima

Nelle ipotesi di società di capitali a ristretta base proprietaria, se dall'attività di accertamento sfocia nella contestazione di maggiori utili non contabilizzati, l'Ufficio non può fondare l'accertamento in capo al socio sul solo dato della ristrettezza della compagine sociale, essendo necessaria la prova, ricadente sulla parte pubblica, dell'avvenuta distribuzione dei dividendi, essendo questa distribuzione il fatto costitutivo della pretesa evasione del socio.

Il caso

La controversia decisa con la sentenza annotata origina dall'impugnazione, da parte di un socio di una società di capitali, di un avviso di accertamento col quale veniva contestata l'omessa dichiarazione di un maggior utile da partecipazione, presuntivamente ritenuto distribuito a seguito dell'accertamento di un maggior reddito in capo ad una società a ristretta base proprietaria.

Da quanto si può desumere dalla decisione in commento, il contribuente lamentava l'illegittima applicazione della menzionata presunzione in quanto lo stesso non aveva mai rivestito la qualità di amministratore della società né aveva legami di parentela con l'amministratore di diritto o gli altri soci.

La questione

La questione analizzata dalla sentenza in commento riguarda l'oggetto della prova che deve essere fornita dall'Amministrazione finanziaria per fondare l'accertamento di un reddito da partecipazione in capo al socio di una società a ristretta base proprietaria.

L'imputazione pro-quota ai soci del reddito prodotto è normativamente prevista soltanto per le società di persone, alle quali si applica il c.d. “principio di trasparenza”, di cui all'art. 5, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917: le società di persone, infatti, non hanno una propria soggettività fiscale ai fini delle imposte sul reddito ed i redditi dalle medesime prodotti sono imputati in capo ad ogni socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.

Le società di capitali hanno, invece, una propria soggettività fiscale ai fini delle imposte sul reddito, in quanto soggetti passivi IRES: è per questo che detti enti subiscono la diretta tassazione del reddito prodotto, tramite applicazione dell'aliquota pro tempore vigente, a meno che non optino espressamente per la tassazione secondo il principio di trasparenza, secondo la disciplina appositamente prevista dal TUIR, artt. 115 e ss.

Soltanto in un secondo momento, e cioè a seguito di specifica delibera assembleare ai sensi dell'art. 2433, comma 1, c.c., le società di capitali possono distribuire utili ai propri soci, per i quali, una volta che siano stati effettivamente percepiti, divengono reddito di capitale, secondo il principio di cassa, ai sensi dell'art. 45, d.P.R. n. 917/1986.

È in questo quadro che si inserisce la questione analizzata e risolta dalla C.T.P. di Sondrio con la sentenza in commento, la cui soluzione si pone in contrasto con l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, per la quale è possibile presumere la distribuzione di utili extra-bilancio nei casi in cui l'accertamento dell'Ufficio venga condotto su una società di capitali a ristretta base proprietaria. In altre parole, per detto orientamento, il ribaltamento sui soci dei maggiori ricavi accertati in capo all'ente non trova fondamento in una disposizione normativa, ma si basa su di un semplice ragionamento presuntivo, ex se dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, necessari affinché possa essere legittimamente utilizzato nell'accertamento tributario.

Le soluzioni giuridiche

Sul punto, si registrano due diversi orientamenti.

Il primo, costante e consolidato, come detto, in seno alla giurisprudenza di legittimità, ritiene legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extra bilancio accertati in capo ad una società di capitali, purché essa sia a ristretta base proprietaria o familiare. Ciò in quanto una compagine sociale così caratterizzata integra tra i suoi partecipanti un vincolo di solidarietà o un legame familiare che costituisce il fatto noto dal quale presumere quello ignoto della distribuzione ai soci del predetto reddito occulto societario.

In una società ad azionariato diffuso, invece, è evidente che non esista tale vincolo o legame; ne segue che, in dette ipotesi, la presunzione de qua non risulta ammissibile.

Trattandosi di presunzione semplice, è sempre ammessa la prova contraria, che sarà - per l'orientamento qui in esame - il contribuente a dover fornire. Essa dovrebbe consistere nella dimostrazione dell'estraneità del socio alla gestione della società, per esempio provando che non ha mai rivestito cariche sociali e non ha mai avuto poteri di controllo, così da escludere l'esistenza di quel vincolo di solidarietà, o rapporto di complicità, che porterebbe a concludere per la sussistenza di un accordo informale di distribuzione degli utili extra bilancio.

Sono espressione del richiamato orientamento le sentenze n. 5488 del 6 marzo 2009 e n. 3972 del 19 febbraio 2009, dove la Corte di Cassazione ha stabilito che “nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti”.

Per la Suprema Corte sarebbe un dato di esperienza comune che una società di capitali a ristretta compagine sociale (o familiare) sia caratterizzata da un vincolo di solidarietà tale per cui, in caso di esistenza di utili occulti, questi vengano “spartiti” tra tutti i soci.

Come si nota, per la Suprema Corte, l'avvenuta distribuzione e l'effettiva percezione dell'utile sociale, da parte del socio, non deve essere oggetto di prova da parte dell'Ufficio, essendo il fatto noto costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società caratterizzata dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci.

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Per contro, la sentenza qui in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale favorevole alla posizione del contribuente, filone che caratterizza principalmente la giurisprudenza di merito.

Questa, difatti, in più occasione ha stabilito che l'Amministrazione non può “ribaltare” automaticamente sul socio il maggior reddito societario sulla semplice considerazione che l'ente sia a ristretta base proprietaria: sull'Ufficio incombe la prova della (quanto meno plausibile) avvenuta distribuzione e percezione degli utili.

Ne sono espressione, oltre alla decisione de qua, C.T.P. Reggio Emilia, 22 aprile 2014, n. 186, secondo cui la presunzione che in una società a ristretta base partecipativa il maggior reddito, eventualmente accertato in capo alla stessa, venga automaticamente “girato” ai soci, in percentuali esattamente proporzionali alle loro quote partecipative, è una presunzione semplice, carente della qualità di gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge; pertanto, afferma la decisione, il solo richiamo alla stessa (presunzione) non è sufficiente a legittimare un tale tipo di accertamento.

Anche in C.T.R. Toscana, 23 novembre 2012, n. 144 è stato stabilito che ai fini della validità della presunzione di distribuzione ai soci di maggiori utili è necessario dare prova che sussista l'effettivo trasferimento di determinati utili extra contabili.

Osservazioni

La sentenza in commento ha ritenuto che incomba sull'Ufficio l'onere di provare l'effettiva avvenuta distribuzione degli utili accertati in capo alla società. Ciò perché “la presunzione fondata sulla sola ristretta base societaria non è da sola probante”: per la C.T.P. di Sondrio, a fronte di utili extra-contabili realizzati da una società di capitali, sono ipotizzabili, “con uguale grado di probabilità, altre diverse conclusioni”, tra le quali - per usare le parole del Collegio - la creazione di riserve occulte, la destinazione delle diponibilità ad altri usi, la possibilità di appropriazione degli utili da parte di chi amministra o, infine, la destinazione degli utili alla creazione di fondi nei da utilizzare per il pagamento di costi non contabilizzati.

Insomma, per la C.T.P., non può sussistere un automatismo tra condotte fiscalmente non virtuose realizzate dal soggetto passivo IRES e la presunzione di distribuzione, in capo al socio, del frutto di tali condotte: la ristretta base proprietaria è un fatto che, di per sé- cioè se non corroborato da ulteriori elementi- non è in grado di fondare l'automatica ripresa in capo al socio, perché occorre- citando la sentenza- “il superamento di un test di plausibilità della distribuzione”.

La posizione espressa si pone in evidente contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, in particolar modo di quella richiamata nella sentenza stessa: proprio in Cass. civ., sez. trib., 18 maggio 2006, n. 11724, la Suprema Corte ha stabilito che non occorre una prova specifica circa l'attribuzione e la riscossione di utili non contabilizzati così come accertati nei confronti della società: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti”.

Inoltre, in tema di presunzione, in Cass., sez. trib., 11 ottobre 2007, n. 21415 (anch'essa richiamata dalla C.T.P. di Sondrio), i Giudici di piazza Cavour hanno stabilito che nel caso di società a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, “la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale”.

Risulta evidente, in conclusione, la diversità di impostazione che caratterizza la sentenza in commento rispetto alla posizione dei giudice di vertice, creatori - per così dire - della presunzione fondata sulla ristretta base societaria: per la C.T.P. di Sondrio, a differenza di quanto sostenuto a più riprese dalla Corte di Cassazione, l'oggetto della prova, che incombe sull'Ufficio, deve essere la plausibilità di avvenuta distribuzione degli utili sociali, pena l'illegittimità della pretesa impositiva.

Bibliografia essenziale

A. Contrino, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, in Rass. trib., 2013, 1113; ID, Ristretta base sociale e prova mediante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili, in GT – Riv. giur. trib., 2014, 701;

S. Muleo, Alcune perplessità in ordine a recenti orientamenti in tema di imputazione ai soci dei maggiori utili accertati in capo a società a ristretta base sociale, in GT – Riv. giur. trib., 2008, 707 ss.;

A. Giovannini, La presunzione di distribuzione ai soci di utili extra bilancio accertati in capo ad una società di capitali a ristretta base proprietaria, in I principi certificati di diritto tributario, Roma, 2015, 33 ss.

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