Riflessioni sull'autonoma impugnabilità del diniego di autotutela tributaria

29 Luglio 2016

L'autotutela rappresenta un tipico potere discrezionale dell'amministrazione, tuttavia in ambito tributario una parte della dottrina e della giurisprudenza hanno sottolineato il carattere di dovere dell'istituto al fine di ristabilire la legalità dell'imposizione. Si è quindi formato un orientamento giurisprudenziale che ammette l'autonomia dell'impugnabilità del diniego espresso. Nel presente contributo si cercherà di approfondire l'evoluzione giurisprudenziale di merito e di legittimità.
L'autotutela tributaria, natura e limiti

L'istituto dell'autotutela rappresenta la capacità dell'Amministrazione Pubblica di riesaminare criticamente i propri atti al fine di risolvere eventuali conflitti attuali o potenziali, perseguire efficacemente l'interesse pubblico e non rappresenta in ogni caso un mezzo ulteriore di difesa del cittadino, rispetto a quelli ordinari di natura giurisdizionale.

Costituiscono esempi di autotutela il potere di revoca, di sospensione o proroga degli effetti, ovvero di annullamento, di riforma, sanatoria, ratifica o rinnovazione degli effetti di un atto amministrativo e, pertanto l'obiettivo dell'istituto è quello di dirimere e risolvere possibili controversie nel proprio rapporto con il cittadino attraverso l'annullamento degli atti illegittimamente assunti.

Tale potere “finalizzato a rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale operante anche in assenza di specifica previsione normativa o contrattuale” (Consiglio di Stato, 25 marzo 2004, n. 1613), risulta intrinsecamente collegato ai principi del buon andamento ed imparzialità amministrativa, efficienza ed economicità, così come definiti dall'art. 97 della Costituzione e dall'art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

Nei rapporti del Fisco – Contribuente che, secondo quanto statuito dallo Statuto del Contribuente sono improntati alla collaborazione e buona fede (Art. 10, comma 1, L. n. 212/2000), il compito principale dell'istituto è quello di ristabilire la legalità dell'imposizione (Art. 23 Cost.), garantendo che il cittadino sia chiamato a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (Art. 53 Cost.), e di conseguenza, non pagare più delle imposte dovute in ragione del proprio reddito.

In tal proposito si rammenta che risalente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 29 marzo 1990, n. 2575), ben antecedente all'introduzione dell'autotutela tributaria e dello Statuto del contribuente, ha affermato il principio secondo cui “non ha alcun pregio la tesi della definitività dell'accertamento allorché la pretesa della Pubblica Amministrazione sia stata considerata oggettivamente ingiusta. Incombe alla Pubblica Amministrazione un dovere di correttezza nel non profittare di situazioni contingenti favorevoli quali appunto un accertamento non impugnato nei termini”, in considerazione del fatto che “in uno Stato moderno, il vero interesse del Fisco non è affatto quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti favorevoli al Fisco sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelievo fiscale sia sempre in armonia con l'effettiva capacità contributiva del soggetto passivo, sì da non compromettere per il futuro la fonte del gettito (…)”, potendo quindi concludere che incombe sull'Amministrazione finanziaria il dovere si riesame in autotutela degli atti inficiati da vizi.

In diritto tributario, la specificità dell'azione amministrativa e degli interessi posti a fondamento del rapporto Erario-Contribuente, ha spinto il legislatore a disciplinare tale potere mediante l'introduzione di una normativa ad hoc (Art. 68 comma 1 del d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, successivamente integrato e modificato con l'art. 2 del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 e convertito con L. 30 novembre 1994, n. 656 Decreto Ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37), attuata mediante decreto (Decreto Ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37) che, secondo attenta dottrina ha travalicato i limiti tradizionali imposti all'autotutela, introducendo nell'istituto anche l'ipotesi di rinuncia all'imposizione in caso di auto accertamento.

L'autotutela tributaria è definita come il potere con cui l'Amministrazione revoca o rinuncia ad un atto impositivo illegittimo, tuttavia, sebbene la prassi amministrativa (Min. Finanze, Circolare 8 luglio 1997, n. 195) abbia preso atto dell'opportunità e doverosità dell'esercizio della medesima in presenza dei relativi presupposti, non manca di sottolineare come il Fisco possa scegliere se e quando esercitare tale potestà, in quanto potrebbe decidere (correttamente) di confermare un atto illegittimo che abbia esplicato senza contestazioni i propri effetti, dando prevalenza all'interesse della stabilità e certezza dei rapporti giuridico-tributari. Inoltre, sempre secondo l'indicato documento di prassi, l'Erario ha il potere di decidere, in caso di annullamento dell'atto presupposto in via amministrativa o contenziosa di una pluralità di atti collegati di non procedere ad annullare gli atti consequenziali.

Gli effetti giuridici di quest'ultima interpretazione sono aberranti anche in considerazione dell'assenza dell'assoluta indisponibilità ontologica del credito tributario che, sebbene sia irrinunciabile ed indisponibile nel concreto rapporto d'imposta, si interrela al principio di capacità contributiva in forza del quale i cittadini-contribuenti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche.

Bisogna quindi interrogarsi sull'obbligatorietà della rimozione degli atti viziati da parte dell'Amministrazione; all'uopo giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Toscana, 22 ottobre 1999, n. 767) ha sottolineato che deve essere riconosciuto al contribuente “un interesse legittimo di tipo pretensivo e a contenuto patrimoniale che la propria istanza venga esaminata e decisa alla luce di quei presupposti che il legislatore, sia pure non tassativamente, ha elencato nella norma regolamentare”. Si deve evidenziare che, da un punto di vista strettamente normativo, l'unico limite all'adozione di un provvedimento di annullamento in autotutela di un atto è rappresentato dal giudicato definitivo, decisorio del merito della pretesa, che sia favorevole all'amministrazione, pertanto l'esercizio del potere è un atto dovuto qualora manchi la causa ostativa del giudicato sostanziale e nel caso in cui la pretesa impositiva sia illegittima ed infondata, in quanto l'Amministrazione finanziaria “ha il dovere di riconsiderare i propri atti e di porre rimedio agli errori commessi seppure nell'ambito di scelte discrezionali che non possono, comunque, prescindere dal tipo di errore commesso, ovvero dal rimedio da assumere, ed, altrettanto, dal rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento (…)”. (CTP Alessandria, 23 luglio 2009, n. 72).

L'immediata lesività dell'atto tributario, il dovere in capo al fisco di curare il prelievo fiscale in armonia con la capacità contributiva, al fine anche di stimolare il cittadino ad un comportamento di lealtà fiscale, e non costringerlo a soddisfare pretese tributarie sostanzialmente ingiuste (Cass. civ., 29 marzo 1990, n. 2575) ed il dovere di correttezza che impernia i rapporti fisco-contribuente, fanno propendere lo scrivente verso una conclusione diversa rispetto a quanto affermato dalla dottrina tradizionale e dal predetto documento di prassi, con la conclusione che l'omissione dell'annullamento in autotutela di un atto viziato è lesiva di un vero e proprio diritto soggettivo del contribuente.

Specularmente l'Amministrazione nell'annullamento dell'atto non persegue un interesse generale, bensì rinuncia ad un credito tributario illegittimo, con la conseguenza che la stessa non può rimanere indifferente e tergiversare, in ragione di una supposta potestà discrezionale del potere di autotutela, poiché tale condotta configura un “abuso di diritto”, principio, che ben può essere ritenuto suscettibile di applicazione nei confronti della Pubblica Amministrazione allorché essa stessa utilizzi impropriamente un istituto giuridico per finalità contrarie al preminente interesse pubblico di cui è portatrice (CTR Puglia, 9 gennaio 2012, n. 3).

A tal punto deve propendersi per una soluzione diversa, potendosi affermare l'appartenenza del potere – dovere di autotutela ad un istituto diverso da quello propriamente amministrativo (Circolare 7/IR del 10 novembre 2008 IRDCEC: “Vi è poi da ultimo chi sostiene che con l'emanazione della disciplina regolamentare, il legislatore avrebbe sancito la peculiarità dell'autotutela in materia tributaria, in quanto, a seguito della presentazione dell'istanza di parte, il procedimento deve ritenersi ormai avviato senza possibilità per l'amministrazione di decidere se collaborare o meno o se concluderlo pronunciandosi in modo espresso.”), difatti, il legislatore tributario ha introdotto una normativa ad hoc al fine di regolare l'istituto in esame.

Da un punto di vista procedimentale la rimozione dell'atto viziato può essere attivata dall'Amministrazione finanziaria stessa, nel caso di auto accertamento, ovvero su istanza del contribuente indirizzata all'Ufficio che ha emesso l'atto illegittimo (Art. 5 del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37).

A seguito del riesame dell'atto, come stabilito dalla circolare precedentemente indicata in nota, deve essere data comunicazione all'istante con provvedimento motivato in caso di accoglimento dell'istanza; al contrario, qualora il procedimento si concludesse con la conferma dell'atto emesso dell'Amministrazione finanziaria, la stessa potrebbe comunicare all'istante un mero diniego senza esplicitazione delle motivazioni.

Tale assunto, invero, deve ritenersi poco convincente, difatti, l'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 240, richiamato dall'art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, ha stabilito l'obbligo di motivazione degli atti amministrativi in generale ed erariali in particolare ed, inoltre, si deve considerare che nel rapporto d'imposta, l'Amministrazione finanziaria, in quanto fa valere la pretesa fiscale, assume la veste di attrice in senso sostanziale e, pertanto, a mente dell'art. 2697 c.c., è tenuta a dimostrare i fatti costitutivi dell'obbligazione tributaria (Cass. civ., 28 aprile 1990, n. 3605; Cass. civ., 15 maggio 1989, n. 2221; Cass. civ., 21 marzo 1995, n. 3235; Cass. civ., 19 aprile 1993, n. 4564; Cass. civ., 19 aprile 2000, n. 4955; Comm. Trib. Centrale, sez. XI, 8 ottobre 1990, n. 2698), con la conseguenza che anche la giurisprudenza di merito ha decretato la necessità della motivazione dell'accoglimento o rigetto dell'istanza. (CTR Roma, sez. trib., 23 febbraio 1998, che testualmente afferma: “l'Amministrazione avrebbe nuovamente dovuto valutare il rapporto sostanziale, motivando l'accoglimento o il rigetto dell'istanza con ragioni non meramente formali, nelle quali si desse conto anche dei motivi che l'hanno indotta a non coltivare ulteriormente il giudizio conclusosi con decisione a lei sfavorevole.”).

Giurisdizione in materia di controversie avverso il diniego di autotutela

Dopo una prima analisi dell'istituto, è opportuno comprendere se vi possa essere un rimedio giurisdizionale avverso il diniego di autotutela ed anche in relazione a tale problematica la soluzione appare non essere univoca.

In subiecta materia la posizione della giurisprudenza circa la competenza delle controversie in materia di diniego si è divisa tra, una corrente minoritaria che considera tali controversie di giurisdizione del giudice amministrativo, un'altra maggioritaria e aderente al corpus normativo, secondo cui rientra nel novero degli atti impugnabili innanzi alle commissioni tributarie.

La sentenza del T.A.R. della Toscana richiamata nel precedente paragrafo, riconoscendo l'interesse legittimo del contribuente all'esame dell'istanza di autotutela da parte della Pubblica Amministrazione, ha attratto tali controversie nella giurisdizione amministrativa, in quanto portatrici di un mero interesse (T.A.R. Toscana, sez. I, 22 ottobre 1999, n. 767).

Invero, tale soluzione non può ritenersi appagante, infatti, l'art. 12 della L. 28 dicembre 2001, n. 448 ha attribuito alla giurisdizione tributaria la competenza esclusiva sulle controversie aventi ad oggetto tributi di qualunque genere e specie. Tale orientamento è chiaramente avallato dalla dottrina nonché dalla giurisprudenza di merito (ex multis CTP Como, 22 settembre 2015, n. 348, che afferma quanto segue: “È stato (…) affermato il principio generale secondo cui deve ritenersi impugnabile ogni atto che porta a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, in quanto idonea a far sorgere il suo interesse (art 100 c.p.c.), a chiarire, in modo definitivo, la sua posizione di fronte alla pretesa impositiva.”) che, individua nel concetto di tributo qualsiasi prelievo anche non dotato della generalità ed astrattezza, purché dotato dei caratteri di imperatività tipici dell'atto della pubblica amministrazione anche se non previsto nell'elencazione dell'art. 19, D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Secondo la giurisprudenza di legittimità l'elencazione dettata dall'art. 19, D.lgs. n. 546/1992 degli atti impugnabili innanzi alle commissioni tributarie ha carattere meramente esemplificativo, in quanto deve essere oggetto di interpretazione estensiva (Cass. civ. 18 novembre 2008, n. 27385 e Cass. civ. 8 ottobre 2007, n. 21045), esegesi respinta da una parte della dottrina anche autorevole che ritiene tale enumerazione tassativa.

Per quanto argomentato non si comprende come possa la posizione giuridica tutelata (diritto soggettivo o interesse legittimo) decretare l'impugnabilità del diniego di autotutela in sede amministrativa o tributaria, in quanto risulta opportuno rammentare che non è la posizione giuridica da tutelare a determinare la giurisdizione quanto l'oggetto della controversia che, in caso di autotutela tributaria, è necessariamente la Commissione Tributaria.

A conferma di tale interpretazione che sconfessa quanto affermato dal T.A.R. della Toscana è intervenuta copiosa giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Campania, 16 dicembre 2003, n. 12816; T.A.R. Campania, 31 luglio 2010, n. 4610; T.A.R. di Firenze, sez. I, 13 aprile 2004, n. 1256), la quale rinvia alla competenza della giudice tributario. Sul punto si è anche espresso il Consiglio di Stato con Sentenza 19 marzo 2009, n. 1645, riconoscendo l'esclusiva competenza della giustizia tributaria sulla decisione di tali controversie, evidenziando tuttavia dei dubbi circa l'impugnabilità dell'atto (Testualmente ha affermato che “A nulla vale obiettare, in contrario che il silenzio serbato sull'istanza di autotutela, non potendo costituire rifiuto tacito, non sarebbe compreso tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie ai sensi dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Infatti, come anche di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, a prescindere dalla possibilità di una lettura della norma da ultimo citata che sia coerente con il riconosciuto carattere generale della giurisdizione tributaria (lettura all'interno del quale potrebbe considerarsi non più tassativa l'elencazione degli atti impugnabili ex art. 19), questione altra e diversa da quella di giurisdizione è quella relativa all'impugnabilità dell'atto contestato, che presuppone risolto il problema preliminare dell'individuazione del giudice competente, al quale spetterà affrontarla.”), tuttavia già risolti dalla giurisprudenza delle Commissioni Tributarie e della Cassazione, nonché da quella amministrativa (T.A.R. Lazio, sez. II, 29 luglio 2010, n. 29052).

Il riconoscimento della giurisdizione tributaria delle controversie in materia di autotutela è avvenuto da parte della stessa giurisprudenza amministrativa di merito (C.T.R. della Liguria, 5 maggio 2004, n. 10) secondo cui “Appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie nelle quali si impugni il rifiuto espresso o tacito dell'amministrazione a procedere ad autotutela, alla luce dell'art. 12, comma 2, L. 28 dicembre 2001 n. 448, in forza del quale la giurisdizione tributaria è divenuta, nell'ambito suo proprio, una giurisdizione a carattere generale (…)”; tale interpretazione è stata autorevolmente confermata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., SS.UU., 10 agosto 2005, n. 16776, Cass. civ., sez. trib., 8 ottobre 2007, n. 21045, Cass. civ., SS. UU., 27 marzo 2007, n. 7388, secondo cui “la natura discrezionale dell'esercizio dell'autotutela tributaria non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, la cui giurisdizione è ora definita mediante una clausola generale, per il solo fatto che gli atti di cui tal giudice si occupa sono vincolati”), tanto da rendere incontrovertibile la competenza delle controversie e far interrogare sulle modalità ed i limiti del sindacato giurisdizionale.

L'impugnabilità del diniego espresso di autotutela

Sulla base di quanto già argomentato si rende necessario comprendere se il diniego di autotutela rientri nel novero degli atti impugnabili ai sensi dell'art. 19 del D. Lgs 546/1992.

Ad avviso di chi scrive la questione va risolta favorevolmente per le seguenti motivazioni di diritto:

  • gli atti tributari viziati da nullità risultano in ogni caso idonei a ledere dei diritti soggettivi del contribuente destinatario dell'eventuale diniego esplicito o tacito dell'Amministrazione finanziaria;
  • l'elenco degli atti impugnabili deve intendersi in modo non tassativo con l'effetto che una interpretazione diversa priverebbe irragionevolmente il contribuente della possibilità di difendersi da una pretesa tributaria ingiusta (CTP Bari, 31 dicembre 2007, n. 357; Cass. civ., SS.UU., 10 agosto 2005, n. 16776);
  • l'autotutela si estrinseca mediante un'istruttoria tesa all'annullamento dell'atto, che viene disposto mediante un provvedimento di diniego equiparabile ad un nuovo atto di accertamento impugnabile ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. a del D.Lgs. n. 546/1992 (favorevole a tale interpretazione la Circolare 7/IR del 10 novembre 2008 dell'Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili).

La sindacabilità del diniego espresso di autotutela è stato risolto ampiamente dalla giurisprudenza di merito ed ha origini lontane, anteriori anche alla riforma del processo tributario del 2001 (CTR Roma, sez. trib., 23 febbraio 1998, in cui si afferma anche l'obbligo di motivazione riguardo anche al rapporto sostanziale e non meramente formale della pretesa tributaria; CTP Lecce, sez. VIII, 7 novembre 2001, n. 159) e la giurisprudenza di merito si è spinta addirittura nel dichiarare impugnabile il diniego relativo ad atti divenuti definitivi a seguito della dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti (CTP Lecce, sez. III, 23 aprile 2002, n. 455, testualmente “per completezza va rilevato che la esistenza del giudicato formatosi sugli avvisi di rettifica, per effetto della dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi a suo tempo proposti, non è di ostacolo all'esercizio del potere di autotutela. A prescindere dalla considerazione che i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili per ragioni formali, è decisiva la circostanza che l'autotutela è stata richiesta con riferimento a fatti verificatisi successivamente alle dette decisioni di inammissibilità. Sicché in concreto ricorre l'ipotesi della mancata proposizione del ricorso con il quale avrebbe dovuto essere dedotta, in particolare, la tardiva iscrizione a ruolo delle somme dovute e la conseguente decadenza del diritto alla riscossione”).

Scopo della nostra analisi e anche trovare il limite oggettivo alla sindacabilità giurisdizionale del diniego di autotutela per atti in oppugnati al fine di prevenire il rischio di rendere impugnabili atti divenuti ormai definitivi, in spregio di qualsiasi logicità giuridica e del principio generale di certezza del diritto (cfr Cass. civ., SS.UU., 16 febbraio 2009, n. 3698), sebbene non possa sottacersi che risalente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 29 marzo 1990, n. 2575 cit. “omettere di difendersi nei confronti di una pretesa ingiusta della pubblica Amministrazione non soltanto può essere dovuto alle cause più svariate (non escluse quelle dovute al fortuito o alla forza maggiore) sicché sarebbe arbitrario ravvisarvi sic et simpliciter una vera e propria volontà di acquiescenza o, peggio, un comportamento meritevole d'essere sanzionato con il costringimento all' ottemperanza di una pretesa ancorché riconosciuta oggettivamente ingiusta, ma non fa venire meno il suo carattere intrinsecamente ingiusto e il dovere, di diritto oggettivo, della pubblica Amministrazione di correggerla nell' esercizio dei suoi poteri di autotutela”) ha precisato che non si deve desumere dall'omessa impugnazione di un atto un'automatica acquiescenza, tuttavia ammettere un sindacato giurisdizionale in capo ad un atto divenuto definitivo, rischia di apparire un' indebita sostituzione al potere amministrativo.

Secondo un interessante orientamento di merito (CTR Lombardia, 19 giugno 2009, n. 68; CTR Potenza, 11 aprile 2014, n. 271; Cass. civ., 12 ottobre 2015, n. 22253. Si veda anche FUOCO, Diniego di autotutela, impugnabilità limitata, in Italia Oggi del 30 novembre 2015.) risulta autonomamente impugnabile il diniego di autotutela di atti definitivi, sulla scorta di quanto affermato dalla sentenza n. 9669/09 della Corte Suprema di Cassazione del 23.04 2009, solo qualora il contribuente si limiti a contestare la legittimità del rifiuto e non il fondamento della pretesa tributaria.

Di certo appare difficilmente applicabile il sindacato di legittimità in capo alle Commissioni, in quanto, come anche evidenziato dalla circolare dell'I.R.D.C.E.C., “il giudice deve sostituirsi all'amministrazione e verificare la legittimità della pretesa tributaria alla luce degli elementi (in fatto ed in diritto) fatti valere dal contribuente in sede di impugnativa del diniego”. All'uopo di particolare interesse è l'interpretazione fornita dalla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia (CTP Brescia, 18 ottobre 2010, n. 133) secondo cui è impugnabile un accertamento definitivo per decadenza termini qualora sia basato su un errore del presupposto d'imposta e addirittura, secondo un recentissimo arresto giurisprudenziale (CTR Catania, 15 luglio 2015, n. 3177) non rilevano le vicende processuali cui l'atto oggetto di riesame sia andato incontro in quanto l'ufficio non possiede una potestà discrezionale di decidere se rimuovere o meno i vizi di un atto, bensì è tenuto a osservare i principi di diritto tributario, con la conseguenza che l'atto va comunque annullato in presenza della lesione dei principi costituzionali.

Complessa e discutibile appare la posizione delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. civ., SS.UU., 27 marzo 2007, n. 7388 cit.) che “gradua” il sindacato del giudice in relazione alla tipologia di provvedimento che qualora sia motivato, consente al giudice di verificare la legittimità del debito tributario, in caso di omessa motivazione deve essere limitato alla sola legittimità del rifiuto, mentre alcuna tutela deve essere garantita in caso di silenzio – diniego dell'amministrazione. Tale ultima affermazione tuttavia non pare essere coerente al sistema, infatti, il silenzio – diniego ha lo stesso effetto del rifiuto espresso e tale orientamento lascerebbe il contribuente privo della tutela giurisdizionale garantita per un provvedimento che sostanzialmente ha i medesimi effetti di rigetto.

Secondo autorevole dottrina in ogni caso il contribuente non sarebbe sprovvisto di rimedi giurisdizionali in quanto gli sarebbe riconosciuta una tutela differita al silenzio rifiuto mediante l'impugnazione del silenzio diniego in sede di ricorso avverso l'atto successivo cautelare o di riscossione.

In evidenza:
Per completezza espositiva si segnala l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7511, depositata in cancelleria in data 15 aprile 2016, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto a ritirare in via di autotutela un atto impositivo definitivo, non rientrando nella previsione di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, non è autonomamente impugnabile, in quanto determinerebbe l'introduzione di una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto ormai consolidatosi per decadenza dei termini. L'indicata sentenza tuttavia afferma che possa e debba ammettersi una autonoma impugnabilità del provvedimento di autotutela qualora quest'ultimo fosse di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa.

Conclusioni

L'evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria ha certamente posto particolare attenzione verso tale istituto, tuttavia ad oggi, come esaminato nel presente contributo, manca un'interpretazione di univoca che risolva definitivamente la questione dei limiti d'impugnabilità del diniego di autotutela.

In ogni caso, sarebbe auspicabile che l'Amministrazione Finanziaria si rendesse collaborativa all'applicazione di tale strumento deflativo del contenzioso, infatti come stabilito dalla arresti giurisprudenziali di merito (CTP Udine, 8 aprile 2009, n. 50), l'ingiustificata e tardiva risposta all'istanza del contribuente che ha successivamente adito la commissione tributaria, costituisce motivo di condanna alla rifusione delle spese di lite e potrebbe essere valutazione ai fini del danno erariale da rimettere innanzi alla Corte dei Conti.

All' uopo val la pena ricordare che la stessa direzione centrale affari legali dell'Agenzia delle Entrate, ha inviato ai propri uffici periferici la Direttiva n. 48/2012, con la quale ha esortato i vari funzionari in organico ad avvalersi dell'istituto dell'autotutela nel caso di atti illegittimi, in quanto possibile fonte di responsabilità patrimoniale dell'ente (Cass. civ., SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500).

Guida all'approfondimento

AA.VV., Il processo tributario, a cura di TESAURO F., Torino, 1998;

CERIONI F., Procedimenti di autotutela, dovere di riesame e tutela giurisdizionale in ambito tributario, in GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria n. 11/2005;

DONATELLI S., Osservazioni critiche in tema di ammissibilità dell'impugnazione del diniego di autotutela innanzi alle commissioni tributarie, Nota a Cass. civ., n. 16776/2005;

FICHERA F., L'oggetto della giurisdizione tributaria e la nozione di tributo, in Rassegna Tributaria n. 4/2007;

RUSSO P., Indisponibilità del credito tributario, in Rassegna Tributaria 3/2008;

TESAURO F., Riesame degli atti impositivi e tutela del contribuente, in www.giustiziatributaria.it;

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